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IL CARNEVALE TOPLe
origini
Secondo una definizione generica, il carnevale è una festa popolare collettiva trasmessa oralmente attraverso i secoli come usanza nelle feste pagane comprese tra il 17 dicembre (Saturnali in onore al dio Saturno nella mitologia greca) e il 15 febbraio (Lupercali in onore a Dio Padre, nella Roma antica). In verità non vi è ancora certezza sulle origini di questa tradizione, così come su quelle del significato stesso della parola carnevale. Alcuni studiosi affermano che la tradizione trae origine da feste primitive, di carattere orgiastico, celebrate in vista della primavera e ad essa dedicate. In alcuni rituali antichi risalenti a 10mila anni avanti Cristo, uomini e donne dipingevano effettivamente le loro facce e i loro corpi, abbandonandosi ai rituali della festa e della danza e all’abbondante uso di libagioni. Altri autori ritengono che il rito del carnevale risalga alla civiltà egizia, basando le loro teorie sulle feste organizzate in onore della dea Iside già 2mila anni prima di Cristo. A Roma vi era invece l’usanza di organizzare danze in onore di Dio Padre (chiamate Lupercali) e del dio Bacco (che era Dioniso per i Greci). Rituali Dionisiaci o Baccanali. All’inizio dell’era cristiana, la Chiesa mutò radicalmente il significato di queste feste punendo severamente ogni abuso. Se il cattolicesimo non arrivò mai ad adottare il carnevale tra le sue ricorrenze, gli riservò una certa tolleranza per il fatto che questa tradizione ricorre in un periodo contiguo a quello di alcune tra le più importanti ricorrenze cristiane. Tutto lascia infatti pensare che la Chiesa fissò l’inizio del calendario religioso durante il carnevale perché quest’ultimo precede la Quaresima. Infatti si tratta di una festa dalle caratteristiche pagane che termina in penitenza, nel dolore del mercoledi delle ceneri. Originariamente i cristiani cominciavano i festeggiamenti del carnevale il 25 dicembre, continuando la festa nel primo dell’anno fino all’Epifania. Già nella tradizione romana potevano vedersi corse di cavalli, sfilate di carri allegorici, lanci di uova e altri divertimenti. I balli in maschera, introdotti da papa Paolo II, presero piede nei secoli XV e XVI per influenza della Commedia dell’arte. In Francia il carnevale resistette fino alla Rivoluzione francese, tornando a rinascere con vigore nell’epoca del Romanticismo, tra il 1830 e il 1850. Manifestazione artistica caratterizzata dall’ordinata eleganza dei suoi balli e delle sfilate allegoriche, il carnevale europeo con il passare degli anni andò progressivamente in disuso tra la fine dell’800 e l’inizio del ‘900. La tradizione carnevalesca sopravvive ancora in alcune città europee tra cui Nizza, Monaco e Venezia.
Perché
carnevale Così come le origini del carnevale, anche la derivazione etimologica di questo termine è oggetto di discussioni. Per alcuni il vocabolo deriva dall’espressione latina carrum novalis (carro navale), una sorta di carro allegorico a forma di barca mediante il quale i romani inauguravano i festeggiamenti. Nonostante tale espressione sia accettabile, è invece rifiutata da alcuni ricercatori poiché non avrebbe fondamento storico. Per altri, la parola deriverebbe dall’espressione latina carnem levare, poi modificata in carne, vale! (addio, carne!), espressione che avrebbe origine tra i secoli XI e XII con la quale si definiva il mercoledi delle ceneri e annunciava la soppressione dell’uso alimentare della carne in vista della Quaresima. Per antitesi viene probabilmente da lì l’espressione giorni grassi (cioè quelli del carnevale), durante i quali l’ordine è trasgredito e gli abusi tollerati, in contrapposizione all’astensione totale dei giorni magri, tipici della quaresima. Al contrario di ciò che si immagina, l’origine del carnevale brasiliano è totalmente europea. Come afferma la ricercatrice Maria Isaura Pereira de Queiros, i festeggiamenti carnevaleschi datano all’inizio della colonizzazione, essendo determinati da una fusione tra il carnevale di derivazione portoghese con l’uso delle maschere italiane. Soltanto molti anni più tardi, all’inizio del XX secolo furono introdotti elementi africani che concorsero definitivamente al suo sviluppo e originalità. Fu pertanto grazie al Portogallo che il carnevale sbarcò a Rio de Janeiro nel 1641. Il termine entrudo che in portoghese definisce il carnevale e derivante dal latino introitus significava entrata, ovvero inizio, con cui la Chiesa definiva l’inizio delle solennità della Quaresima. Tanto in Portogallo così come in Brasile, il carnevale non era per nulla simile ai riti dell’Italia rinascimentale, ma era una festa di strada a volte violenta, nella quale si commettevano abusi e atrocità. Era comune a quei tempi vedere gli schiavi neri gettarsi l’un l’altro uova, farina, arance e resti di cucina mentre le famiglie bianche si divertivano a gettare sulle loro teste secchiate di acqua sporca “in un clima di trasgressione favorito dall’estrema rigidità della famiglia patriarcale”. Fu questo carnevale più o meno selvaggio a sbarcare in Brasile insieme alle prime caravelle portoghesi e ai primi istrioni. Con il passare del tempo e in seguito ad insistenti proteste, il carnevale si civilizzò, acquistando maggior leggerezza e senso civico, sostituendo l’utilizzo di sostanze grossolane con altre meno fastidiose come i limoes de cheiro, piccole sfere di cera ricolme di acqua profumata, oppure con fiaschi di vino. Le cosiddette “armi” che sarebbero in seguito divenute tradizionali durante le sfilate del carnevale consistevano nel lança-perfume (lancia profumo) – bottiglia di vetro o metallo che conteneva liquido profumato. Di origine francese, giunse in Brasile nel 1903. La serpentina (stella filante) - di origine francese, giunse in Brasile nel 1892. I Confetes (coriandoli) – Di origine spagnola, anche essi arrivarono in Brasile nello stesso anno. Per quanto riguarda l’uso della musica, tutto era assolutamente estemporaneo: il carnevale non possedeva ancora ritmi o melodie che lo rappresentassero. Soltanto nella prima metà del secolo XIX, con l’arrivo dei balli in maschera di stampo europeo, si può osservare uno sviluppo musicale più raffinato. Nel 1834 il gusto per il travestimento si accentuò. Le maschere di origine francese erano fatte di cera molto elaborata oppure di carta, e simulavano i volti degli animali, soprattutto nelle smorfie. Balli di sala e di piazza Il primo ballo di maschere di cui si ha notizia in Brasile fu svolto presso l’Hotel Italia in largo do Rocio, a Rio de Janeiro nel 1840, per iniziativa dei proprietari italiani dell’albergo, influenzati dal successo dei grandi balli in maschera che si tenevano in Europa. Il risultato fu tale che questa esperienza fu replicata da molti altri sottolineando così, anche attraverso il carnevale, le differenze sociali nella società brasiliana dell’epoca: da un lato la festa di strada di profilo spontaneo e popolare; dall’altro, i balli di sala graditi soprattutto alla classe media emergente del paese. Dalle sale, i balli si trasferirono nei teatri, animati principalmente dal ritmo della polka – primo genere ad essere adottato come musica carnevalesca in Brasile – e, più tardi, dal suono di quadriglia, valzer, tango, charleston e maxixe. Fino ad allora questi ritmi erano eseguiti soltanto in versione strumentale. Solo dopo il 1880 i balli passarono ad includere la versione cantata, intonata da cori. Nel 1907 fu realizzato il primo ballo infantile, dando inizio alle famose matinee. Le novità non finirono lì e le modalità si moltiplicavano, con feste organizzate dalle famiglie, balli all’aria aperta, danze infantili fino ai balli al circo. Nel 1909 fu organizzato il primo concorso in cui veniva premiata la donna più bella, la fantasia più fervida nella realizzazione dei costumi e la migliore danza. I premi consistevano in gioielli preziosi e soltanto gli uomini avevano diritto di voto. Infine, il carnevale cominciò a crescere di anno in anno entrando a pieno titolo nella realtà culturale del paese, mentre in Europa sarebbe iniziata una fase di decadenza. Nello stesso periodo la classe media si preparava ad invadere le strade con un’altra novità: le sfilate di carri allegorici. Pioniere fu lo scrittore José de Alencar, uno dei fondatori di una società denominata Sumidades Carnevalescas. Le
percussioni e la “rivoluzione” di Zé Pereira Fino
alla comparsa delle prime scuole di samba, i cortei carnevaleschi chiamati
sociedades
predominavano nel carnevale carioca. Il primo gruppo a sfilare,
nel 1855, si chiamava
Congresso das sumidades carnavalescas.
Le società erano gruppi o aggregazioni che trovavano motivo di
competizione nel realizzare allegorie o satire del governo. Con il tempo,
il numero di società si moltiplicò; ma competizione e contrasti interni
finirono con il ridurne il numero a tre grandi gruppi che si consolidarono
e che caratterizzarono le manifestazioni dell’epoca: Tenentes,
Democraticos e Fenianos.
Nel 1846 vi fu una novità che rivoluzionò il carnevale di Rio: la
comparsa di Ze’
Pereira (suonatore di bumbo). Per alcuni, tra cui alcuni
studiosi, questo era il nome o il soprannome dato al cittadino portoghese José
Nogueira de Azevedo Paredes, che si dice avesse introdotto in
Brasile l’abitudine portghese di animare lo spirito carnevalesco al
suono delle percussioni bumbos,
zabumbas e tabores,
suonate disordinatamente per le strade. Questa novità si espanse
rapidamente e il successo di Zé Pereira divenne tanto grande che, 50 anni
più tardi, una compagnia teatrale decise di rappresentarlo in una parodia
della piece
Le
pompiers de Nanterre, intitolata Zé
Pereira Carnavalesco, nella quale l’attore Francesco Correia
Vasquez cantava su musica francese una quadrilha
che sarebbe diventata famosa: "E
viva o Zé Pereira Evviva
Zé Pereira Poiché
nessuno fa del male Viva
la sbornia Nei giorni del carnevale Scomparso
all’inizio del ‘900, Zé Pereira lasciò come suoi successori la cuica,
il tamborim, il reco-reco,
il pandeiro
e la frigideira,
strumenti che accompagnavano i blocchi
de sujos che ancora oggi animano le scuole di samba brasiliane. Nonostante
lo strepitoso successo dei balli di sala, fu nella sfera popolare che il
carnevale acquisì forme autenticamente brasiliane. A causa della costante
repressione da parte del governo, il popolo si vide obbligato a
disciplinare le proprie sfilate di strada, adottando l’organizzazione
dei cortei religiosi. Fu così che iniziarono ad apparire i blocos
e i cordoes,
gruppi che più tardi avrebbero dato vita alle scuole di samba. Formati da
negri, mulatti e bianchi di origini umili, i cordoes animavano le strade
al suono degli strumenti a percussione. L’influenza dei rituali festivi
e religiosi africani era forte, e questa tradizione unì le generazioni
seguenti nell’abitudine di travestirsi per il carnevale. I cordoes
suonavano musica propria e sfilavano diretti dall’apito
(una sorta di fischietto) suonato da un mestre,
un direttore. Di qui sorse l’importanza di una figura che sarebbe
divenuta fondamentale nelle future scuole di samba. Il primo cordao sorse nel 1885 e si
chiamava Flor
de Sao Lourenço. Dopo di questo, molti altri ne seguirono la
popolarità fino ai primi anni del ‘900. Così come il cordao, il rancho
era una aggregazione carnevalesca modesta, composta da persone di basso
livello sociale. Fece la sua
prima apparizione nel carnevale carioca nel 1873. I ranchos esistevano già
in città prima di allora, ma la loro esistenza era legata a motivi
eminentemente religiosi. Sfilavano per festeggiare le festività natalizie
il giorno dell’epifania. Travestiti da pastori diretti a Betlemme, il
gruppo percorreva la città cantando e chiedendo ospitalità nelle
famiglie. Per poter disporre di musica propria, finirono con il creare un
genere musicale cadenzato, di grande ricchezza melodica: la marcha-rancho.
Con l’evoluzione delle scuole di samba, a partire dal 1920, i ranchos
entrarono in declino, lasciando ai posteri le figure di mestre-sala
(maestro di sala), di porta-estandarte
(porta-stendardo) e di pastoras
(donne pastori) riccamente adornate. Il Corse, lanciato negli anni precedenti al 1910, era una
sfilata di carri senza copertura, adornati, condotti da famiglie o gruppi
carnevaleschi che scherzavano con i passanti o gli occupanti degli altri
veicoli. Coriandoli, stelle filanti e lancia-profumi erano molto
utilizzati per animare le sfilate. L’Avenida Central, oggi Rio Branco,
era congestionata dalla presenza di questi veicoli, che circolavano a
passo ridotto e costituivano una delle attrazioni principali del corteo.
La consuetudine si trasformò in moda nel 1907, quando le figlie
dell’allora presidente Alfonso Pena, fecero una
sfilata nell’automobile presidenziale, attraverso il corteo
carnevalesco, andandosi a
fermare di fronte ad un edificio da cui si godettero tutto lo spettacolo.
C’è chi afferma che il
corso si estinse con l’evoluzione dei mezzi di locomozione. E’ infatti
probabile che la popolarità delle automobili abbia appannato la
consuetudine di sfilare da parte della classe alta e media. In verità vi
furono anche altri motivi legati alla scomparsa del corso: il traffico
congestionato, l’alto costo
della benzina e il decentramento del carnevale contribuirono al
trasformarsi di questa in altre forme di manifestazione. La
marchinha, quasi una meteora La
prima musica composta espressamente per il carnevale che rimase indelebile
nella storia culturale brasiliana fu la marcia O abre alas di Chiquinha
Gonzaga, grande figura umana, compositrice, pasionaria e
femminista ante-literam del Brasile. La marcia fu composta nel 1899 e
ispirata, nelle cadenza ritmiche, ai ranchos
e ai cordoes degli anni
precedenti. Questa musica animò il carnevale carioca per tre anni
consecutivi ed è conosciuta fino ai giorni nostri dal grande pubblico. Da
allora le marce, dette anche machinas,
diventarono popolari. Di movimento binario, con accento sul tempo forte
(prima misura), erano inizialmente più lente per far si che i ballerini
danzassero al suo ritmo. Con il passare del tempo, presero un andamento più
accelerato per l’influenza delle jazz
band; da quel momento furono conosciute come marchinhas.
Dalla musica O abre alas ai successi carnevaleschi di oggi, furono molte
le strade percorse dai generi musicali, fino al predominare definitivo del
samba e della marchinha come
ritmi prediletti: tango-chula, polka,
marcha-rancho, fado brasiliano, marcha portoghese, toada, cançao, toada
sertaneja, valzer, caterete, chula baiana e marcha-batuque, tra
gli altri. La tradizione in BrasileBahia
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CAPOEIRA TOPIntrodotta
in Brasile dai neri dell’Angola durante il periodo della schiavitù, la capoeira è nata come potente sistema di autodifesa,
trasformandosi nel tempo in una disciplina a metà tra lotta e danza. Oggi
la capoeira è danza, lotta, difesa personale, ginnastica acrobatica e
arte. In una parola: cultura, uno degli elementi più ricchi e distintivi
della cultura brasiliana. E consiste essenzialmente in una gara di abilità
che mette in gioco soprattutto i piedi dei contendenti, accompagnati dal
movimento del corpo e delle braccia, queste ultime usate per lo più per
mantenere l’equilibrio. Per chi ha la ventura di assistere ad una
dimostrazione di capoeira si tratta di uno spettacolo suggestivo; ma a chi
la esercita necessitano forza, flessibilità e grande rapidità di
movimento. E una buona dose di coraggio, considerato che alcuni colpi
sferrati con i piedi sono talmente pericolosi da poter divenire mortali.
La musica, e ancora di più il ritmo, sono tra gli ingredienti più
importanti per la realizzazione di uno spettacolo di capoeira, come in
quasi tutte le manifestazioni di tradizione afro-brasiliana. Durante la
loro esibizione gli atleti sono accompagnati e incitati da canti e
strumenti a percussione, di origine essenzialmente africana, quali berimbau, atabaque, agogo, pandeiro.
La manifestazione viene avviata dal suono del berimbau, seguito
dagli altri strumenti e dalla voce del cantante solista accompagnata da
quelle del coro. E i capoeiristi,
dopo i primi minuti trascorsi a concentrarsi ascoltando la musica, ad un
cenno del berimbau solista iniziano il jogo
de baixo dopo essersi baciati religiosamente. Si tratta di una
postura caratteristica di attesa, attraverso la quale gli atleti, mani e
piedi sul terreno, strisciano spiando le mosse dell’avversario.
Terminata questa fase interlocutoria, inizia il jogo vero e proprio ad un
ritmo sempre più incalzante e caratterizzato dal dialogo tra coro e
strumentisti, durante il quale i capoeristi, a coppie, si scambiano i
colpi osservando strettamente le regole della disciplina. Chapa de frente, Meia lua, Cabeçada,
, Rabo de arraia, , Chapa de costas, Cutilada de mão e
Rasteira sono i nomi dei colpi più noti della capoeira; ma in
realtà le possibili posizioni sono molte di più. Quella fondamentale si
chiama ginga
(che significa dondolamento) ed è una sorta di falso movimento che ha lo
scopo di confondere l’avversario e che generalmente precede un colpo
principale di quelli sopra menzionati, compiuto dopo aver effettuato uno
scatto felino. Altri movimenti fondamentali sono la rasteira
(una sorta di sgambetto che ha lo scopo di disorientare l’avversario),
la cabeçada
(testata) e l’au (movimento rotatorio) L’accompagnamento
ritmico e musicale Non
c’e’ capoeira senza musica e ancora di più non c’è capoeira senza
ritmo, ingredienti questi ultimi indispensabili non soltanto all’aspetto
spettacolare, ma anche per la tensione e la concentrazione che riescono a
suscitare nei partecipanti al jogo (esibizione). E tra tutte le
percussioni, fondamentale è il ruolo del berimbau, una sorta di arco
composto da un bastone di legno e un filo di metallo uniti da una zucca,
all'estremità inferiore, che funge da cassa armonica. E' il suggestivo
lamento del berimbau, prodotto dalla percussione del filo metallico con
una bacchetta, a dare il via all’esibizione e a sottolinearne, insieme
al coro, le fasi di maggior tensione mediante un ritmo che da moderato
diventa rapido, con battute sempre più frequenti. Ogni scuola, di regola,
ne segue uno proprio, chiamato toque. Tra i più noti,
ricordiamo Sao
Bento, Cavalaria e Angola. Anche i canti eseguiti durante
l’esibizione hanno l’obiettivo di accompagnare i movimenti dei capoeiristi
e vengono suggeriti da un solista a cui risponde il coro, che può
ripetere l’intero verso oppure soltanto l’ultima parola. Buona parte
della riuscita dello spettacolo è dovuta all’abilità del solista, che
sceglie l’intonazione, il volume e il brano più consono
all’atmosfera di quel momento rispecchiando lo stato d’animo di chi si
sta misurando. Una
tradizione venuta da lontano Nata
durante
l'epoca coloniale nel nordest del Brasile come forma di rivolta degli
schiavi, la capoeira
trae
le sue origini dalla cultura africana e giunge dall’Angola,
sviluppandosi successivamente in tutto il paese. Durante il periodo
della schiavitù, i combattimenti tra neri erano molto frequenti, ma
vietati dai loro padroni, che li interrompevano punendo severamente i
responsabili ogni
qualvolta li sorprendevano ad esercitare questa forma di lotta, che
continuò peraltro ad essere vietata ben oltre la fine della schiavitù.
In seguito la capoeira si è sviluppata assumendo una fisionomia ben
precisa che l’ha trasformata in una danza-lotta che oggi viene praticata
senza usare le mani ed esercitata prevalentemente a Salvador, nello stato
di Bahia. L’unica variante della capoeira è il maculele,
analoga mescolanza di danza e di lotta nella quale i partecipanti
utilizzano mazze di legno della lunghezza di circa mezzo metro. In Bahia
la capoeira si divide in due forme (Sao
Bento Grande e Sao
Bento Pequeno) che si rifanno al sincretismo (vedi capitolo
sulle religioni). Il berimbau, strumento
anch’esso di origine africana, è sempre presente in tutte le
manifestazioni e costituisce un ingrediente sonoro indispensabile per la
corretta esecuzione dei colpi e per l’energia che è capace di
sviluppare nei lottatori. Le
musiche e i ritmi eseguiti durante la capoeira sono tradizionali e vengono
tramandate oralmente dal maestro agli allievi. Le
incertezze sulla provenienza Importata
dall’Angola oppure “inventata” dagli schiavi neri per rompere la
monotonia delle lunghe giornate di lavoro forzato? Su questo punto
ricercatori e studiosi non hanno ancora formulato una risposta univoca. La
documentazione a questo proposito è inesistente, e le tracce storiche si
disperdono con il mutare delle generazioni. Tra l’altro Ruy Barbosa, consigliere del
generale Deodoro
da Fonseca e ministro delle finanze, nel 1890 fece distruggere
tutta la documentazione riguardante la schiavitù in Brasile. In ogni caso
tutti sembrano concordare sul fatto che i primi neri ad arrivare in
Brasile provenissero dall’Angola, anche se questa tesi non è supportata
da alcuna prova certa. Ma ciò non esclude affatto l’ipotesi che la
capoeira possa essere stata inventata durante la loro permanenza in
Brasile e successivamente sviluppata dai loro discendenti. Su questo
dubbio le posizioni più autorevoli sono senza dubbio quelle di Mestre Pastinha, che utilizza il sincretismo per spiegare la
diffusione della capoeira altrimenti vietata come lotta, ma mascherata per
l’occasione con la danza e la musica della terra d’origine; di Oneyda
Alvarenga, che associa ai riti feticisti africani
all’intensità del ritmo che contraddistingue i rituali della capoeira;
di Camara Cascudo, secondo cui la
capoeira brasiliana esiste ancora in Angola in forma di cerimonia
d’iniziazione, forma che con gli anni ha perduto in Brasile: e infine
quella di Lamartire
da Costa, il quale si dice convinto che la capoeira sia nata
come danza rituale mescolata a riti feticisti, aspetti che ancora oggi a
Bahia si potrebbero osservare. Ma nessuna di queste interpetazioni ha
fatto luce sull’interrogativo iniziale – capoeira importata o creata
in Brasile – che a tutt’oggi rimane senza risposta. Trenta
significati differenti Se
come abbiamo visto risulta complesso stabilire come e dove sia esattamente
nata la capoeira, i dubbi in proposito si trasformano in un vero rompicapo
se si intende risalire al significato del suo nome. Esisterebbero infatti
almeno una trentina di definizioni di tale vocabolo, e una ricerca seria
sulle radici etimologiche risulta essere praticamente impossibile.
Sfogliando il dizionario completo di portoghese-italiano di
Vincenzo
Spinelli e Mario Casanta
edito da Hoepli
nella ristampa datata 1990 (pag.231), il termine capoeira viene indicato
come di origine tupì,
derivante da capuera e significa foresta
vergine che si abbatte per ricavarne legna o per trarne terreno per le
coltivazioni; e, al maschile, lo stesso termine assume il
significato di teppista,
malvivente. Esiste anche un’altra accezione del termine
capoeira, derivante da capao, che significa capponaia,
pollaio, ma evidentemente ci porta lontano dal significato che
ci interessa. Ci si avvicina invece con il termine femminile capoiragem, che viene
tradotto come lotta libera praticata dalla malavita brasiliana, oppure gruppo
di teppisti. Nessun riferimento, tuttavia, che riporti al
significato di danza e di lotta tipico della capoeira. Conviene allora
attenersi alla documentazione esistente, secondo la quale il termine
sarebbe stato registrato per la prima volta nel 1712 da Rafael
Bluteau, senza però precisarne l’etimologia. Secondo altri
ricercatori la parola comparve nella descrizione storica della Guerra aos Quilombos dos Palmares, combattuta dagli schiavi
sfuggiti e dalla popolazione locale dell’interior
che aveva dato loro rifugio contro i padroni-dominatori. Riecco in questo
caso comparire il termine capoeiras,
i guerrieri che difendevano i capoes,
ovvero i fuggitivi che si nascondevano nella boscaglia. Ma anche in questo
caso si tratta di ipotesi, per quanto verosimili. Sulla vera origine del
termine capoeira regna, in realtà, il buio più assoluto. Le
prime scuole Durante la sua evoluzione, la capoeira subì una serie di trasformazioni che portano ragionevolmente a pensare che sia oggi molto differente rispetto alle prime forme in cui venne praticata. Osteggiata da tutti e successivamente accettata dal governo e dal clero, anche i suoi esecutori si sono evoluti passando dallo schiavo nero al meticcio che aveva coniugato l’istinto e la prestanza del nero con la furbizia del portoghese. Fu così che, essendosi radicata la tradizione, iniziarono a sorgere le prime scuole, quasi tutte con sede nello stato di Bahia e a Salvador in particolare. La prima sorse nel 1932, fondata da Manuel do Reis Machado, più conosciuto come Mestre Bimba. Fu quest’ultimo a fissarne le regole aumentandone la reputazione agli occhi di chi nutriva ancora pregiudizi e insieme a Mestre Pastinha a farla diffondere come sport nella forma in cui oggi è da tutti riconosciuta. Lealtà, agilità, senso del ritmo e forza sono le caratteristiche di chi la pratica: e oggi tra di essi anche numerose donne. Nonostante la grande popolarità, le scuole di capoeira vivono ancora oggi unicamente grazie all’autofinanziamento prodotto dalle esibizioni e dalle rette pagate dagli alunni. Direttore della scuola è ancora la figura del mestre (maestro), scelto dagli stessi alunni e presenza carismatica cui fare riferimento.
La
capoeira oggi Diventata
sport nazionale e praticata dalla favela alla ricca palestra
metropolitana, la capoeira vive il suo momento di maggior tensione
spettacolare nella cosiddetta roda (ruota), durante la quale maestri e allievi cantano e
suonano in cerchio, mentre due di loro al centro si scambiano eleganti
colpi al suono suggestivo del berimbau e seguendo gli incitamenti del coro
e del solista che propone musiche e parole. E, come quasi tutti gli sport,
costituisce un importante elemento di socializzazione. Le scuole oggi più
note in Brasile sono quelle di: Mestre Bimba, Mestre Eziquiel, Mestre Waldemar, Mestre Canjiquinha, Mestre
Caiçara, Mestre Pastinha, Mestre Joao Pequeno e
Mestre Joao Grande. La più antica può essere senza dubbio
considerata quella di Mestre Bimba un capoeirista nato a Salvador nel
1900. Figlio d’arte (il padre era campione di batuques, una variante della capoeira nella quale vince chi
riesce a rimanere in piedi), apprese i rudimenti della capoeira da Bentinho,
suo maestro africano, e fondò la prima Academia
di capoeira introducendo un proprio metodo noto ancora oggi
come Capoeira
Regional. Di grande importanza anche la scuola di Mestre
Pastinha, grande amico dello scrittore Jorge
Amado e noto in Brasile per rappresentare la forma di capoeira
più ortodossa, quella di Angola, sulla quale scrisse un libro nel 1964;
quella di Mestre Canjinquinha, il cui repertorio di canti, molti dei quali
scritti dallo stesso, è forse il più grande in Brasile; e infine quella
di Mestre Joao Grande, allievo di Pastinha e “missionario” della
capoeira in Africa, Europa e America del Nord dove, a New York, ha fondato
una scuola di fama internazionale che porta il suo nome. Siti consigliati sulla Capoeira The
International Capoeira Angola Foundation--Fundação A Biblioteca Virtual do Estudante Brasileiro Virtual
Bookstore - Camille Adorno - A Arte da Capoeira Associação
de Capoeira Mestre Bimba - Braunschweig
Le
scuole in Italia
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DANZA E TEATRO POPOLARE TOPVi sono molti percorsi possibili da intraprendere per capire la storia e l’evoluzione della cultura brasiliana. Ma uno dei più suggestivi e immediati è senza dubbio quello della danza e del teatro popolare. La ricchezza di espressioni artistiche, gli innumerevoli rimandi storici e la suggestione dei simbolismi rendono eletto questo percorso, che come punto di partenza vede quattro principali gruppi di danze, secondo la classificazione di Mario de Andrade, uno dei massimi esperti di cultura popolare del Brasile: Cheganças, Reisados, Pastoris e Rancho. La chegança si ricollega direttamente alla cultura cristiana, rappresentando durante le festività natalizie la sconfitta dei mori da parte dei cristiani. Il reisado costituisce un complesso di 24 rappresentazioni popolari delle quali la più nota è il Bumba-Meu-Boi, che narra le vicissitudini di un toro scelto per migliorare la qualità dell’allevamento. Pastoris che, come suggerisce il nome, si richiama alla tradizione pastorale, ma con il passare degli anni si è trasformata animandosi di personaggi attuali; il rancho che, come abbiamo visto nel capitolo dedicato al carnevale, è un po’ l’antesignana del samba e rappresentava storie d’amore al ritmo di marcia. Ma accanto a questi quattro gruppi principali esistono numerose altre danze popolari, per lo più di ispirazione bellica, alcune delle quali, come caiapòs e caboclinhos, ripercorrono le prime cruente battaglie tra portoghesi e indiani, mentre altre, come le cavalhadas, ripropongono gli scontri tra mori e cristiani in Spagna e Portogallo. Ma in Brasile il confine tra danza, teatro, musica e la stessa religione, è alquanto labile. Non possiamo dimenticare, ad esempio, che il significato stesso del candomblé, una delle tre religioni di cultura afro-brasiliana praticate in Brasile, riconduce direttamente al concetto di danza. Siti
TEATRO
DE RUA: MITO E CRIAÇÃO NO BRASIL Interpalco
- Teatro Brasileiro Theatre
of the oppressed (BOAL TECHNIQUES)
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RELIGIONI TOP
Il
Candomblé
Un discorso organico ed esaustivo sulla storia delle religioni in Brasile (e su quelle tuttora praticate) implica una conoscenza e una mole di informazioni che in questo momento Musibrasilnet non è in grado di offrire. In questa fase riteniamo valga almeno la pena di soffermarsi su quella che, tra le religioni di cultura afro-brasiliana, è forse la più conosciuta: il Candomblé. Definire i brasiliani un popolo religioso è assolutamente corretto. Pochi paesi (forse nessuno) come il Brasile sentono con urgenza la questione religiosa, e per verificare ciò è sufficiente soffermarsi a parlare con qualcuno. Quasi sempre durante lo scambio di idee il nostro interlocutore avrà modo di dirvi come la pensa in tema di religione, se addirittura non si spingerà a spezzare una lancia a favore della religione che pratica. Definire il Brasile un paese cattolico può essere corretto (almeno per quanto riguarda l’aspetto statistico) e nello stesso tempo alquanto generico, considerato che qui il cattolicesimo ha da sempre subìto l’influenza di riti animisti provenienti dall’Africa, e in particolare dal Sudan. Gli stessi che hanno in seguito dato origine al candomblé. Questo termine di lingua africana deriva etimologicamente dalla parola danza, alla quale è legato perché le invocazioni agli dei venivano e sono tuttora fatte danzando. Si tratta di una religione politeista che durante i propri riti sacri invoca il dio Oxalà e i santi Orixas che si identificano nelle forze della natura (sole, mare, fuoco, terra, etc.). Durante le riunioni religiose, che per la loro drammaticità e suggestione costituiscono spesso un interessante spettacolo per chi le osserva senza partecipare, vengono anche invocati i Cablocos (meticci) e i Pretos Velhos (saggi o antenati neri). La cerimonia, che ha una durata media di tre, quattro ore (ma può prolungarsi per una notte intera), si svolge al ritmo incessante di tre atabaques, tamburi di origine persiana; e la ripetitività ipnotica dei suoni e delle invocazioni induce la trance in molti partecipanti e in particolare in un medium che a seconda dei casi può trasformarsi in caboclo, in preto velho oppure in una figura demoniaca chiamata Exù. I riti si svolgono in spazi privati chiamati terreiros e non sempre viene ammessa la presenza di estranei, mentre molto spesso agli astanti viene vietato fotografare o riprendere immagini. Il momento più importante del candomblé è quello del raggiungimento del sacro attraverso il rito della possessione, quando cioè gli orixas si impadroniscono dei corpi delle Mae.de-Santos (sacerdotesse) e girano danzando tra i presenti diffondendo l’energia vitale (Axé). E’ difficile per un occidentale cogliere il significato interiore della cerimonia, mentre più spesso è attratto dal ritmo incalzante dei tamburi e dalla suggestione dei costumi indossati dai partecipanti. Anche il candomblé, come tutte le tradizioni di estrazione africana, nel corso degli anni ha subìto le influenze da parte dei gruppi etnici da cui è derivato. Si può dire che ogni paese di origine (Guinea, Angola, Congo) possiede riti e usanze differenti, e tra questi mutano anche i nomi degli orixas. Il gruppo più noto per essere stato il primo ad erigere, nel 1830, un proprio centro di culto è quello di Nago-Yoruba. Tra gli orixas, i più importanti sono oxalufam, oxossi, oxodia, oxum, iansà, oxumaré, oçaim, xangò, obà, exu, iemanjà. Ma non si può parlare di candomblé o di cattolicesimo senza soffermarsi sul fenomeno del sincretismo, un aspetto storico-religioso presente soltanto in Brasile. Durante il periodo di schiavitù, ai neri non veniva permesso di poter praticare le proprie religioni di appartenenza. Una delle mille violenze a cui per secoli hanno dovuto sottostare, fino al momento in cui per farle sopravvivere hanno accettato di convertirsi al cattolicesimo, ma continuando ad adorare le loro divinità sotto le spoglie dei santi cattolici. E’ per questo motivo che molti santi cattolici hanno il loro corrispettivo in una religione di origine africana. E così Oxalà, dio del candomblé, corrisponde al Gesù Cristo della religione cattolica. Grazie al sincretismo gli schiavi e i loro discendenti hanno saputo mantenere viva la propria cultura. Siti Os
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