Le cronache dei concerti 


ROSA EMILIA - Milano, 11.4.2002 - di Alfredo del Curatolo
BIA - Torino, 12.4.2002 - di Marina Beccuti
TANIA MARIA - Barletta, 13.4.2002 - di Mauro Mazzacane

 

 

Omaggio a Jobim, ma senza rischio juke - box

di Alfredo del Curatolo

 

 

          Un omaggio in musica al padre della bossanova difficilmente può sfuggire al manierismo, all'ovvietà di un raffinato juke-box. Il rischio, in una serata dedicata a Tom Jobim è proprio quello della doppia delusione: da un lato è impossibile non aspettarsi le pietre miliari della produzione del maestro di Rio de Janeiro, dall'altro si spera sempre nel recupero di qualche gioiello nascosto (sono pochissimi e risalgono ai primi anni della bossa, da "Sinfonia di Rio de Janeiro" fino alla canzone che cambiò per sempre il Brasile musicale, "Chega de saudade", ma pensiamo anche a "Brigas, nunca mais") o in una qualche sorpresa arrangiativa. No, il segreto è affidarsi a navigati jazzisti che hanno nel sangue l'andamento ondulare della musica di Antonio Carlos Jobim, gente che conosce il minimalismo dell'introspezione anti-samba, l'arte di dire poche cose toccando le corde del cuore in profondità ma con leggerezza, come quando si cammina sul bagnasciuga di una spiaggia e, lambendo l'onda (ovvero la "bossa") lo sforzo del peso trattenuto diventa naturale e se il piede affonda è perché è la sabbia umida che glielo chiede. Il segreto è lasciarsi trasportare dall'interpretazione umida e marina, calibrata e sensuale di una voce femminile che ben conosce la misura e gli affondi negli spartiti di Jobim. Ecco Rosa Emilia, sul palco di quel tempio del jazz che è la Salumeria della musica di Milano. Durante l'esecuzione dei brani non vola una mosca e anche i bicchieri sembrano strumenti musicali. La cantante che vive ormai da anni in Italia propone il repertorio classico del compositore con l'accompagnamento del chitarrista Nenè Ribeiro, doppio ciuffo alla Caetano e tocco morbido (unica concessione non jobiniana una sua gradevole composizione, poi interpreta vocalmente "Aguas de março") e di un trio che rappresenta il meglio delle note blu meneghine: l'anziano e poetico pianista Renato Sellani, lo straordinario contrabbassista Massimo Morriconi e il duttile batterista Stefano Bagnoli. Si va sul velluto, con grazia non stucchevole che dolcifica le vene senza stancare. Tiepida e gustosa come un'insalata di polpo con patate l'iniziale "Este seu olhar", effervescenza trattenuta nel Samba di una nota sola, piace il gusto di Rosa Emilia di scivolare sulle note senza inutili birignao, di impoverire la Garota e di ammodernare "Insensatez", senza l'odiata chiave di lettura jazzy di una "How insensitive" qualunque. Morriconi si produce in assoli che coprono la bossa di un velluto necessario e anche nel rullante di Bagnoli non c'è traccia di passaggi ruvidi e secchi. Si procede sul bagnasciuga di Ipanema con il passo naturale di cui si è già detto. C'è tempo per altri classici che altrove potrebbero sfilare in una fiera raffinata del turismo musicale. Rosa ammalia con la "sua" "Chega de saudade" e conclude con una serie da sfinimento: "Wave", "Corcovado", "Eu sei qui te vou te amar" e "A felicidade". Come poterle dar torto, questo è Jobim. L'importante è riviverlo nel miglior modo possibile, senza dimenticare Elizeet Cardoso e guardando con rispetto a Gal Costa. Senza affondare troppo nella sabbia umida, lasciando che l'onda del mare cancelli le impronte con delicatezza. Rosa Emilia, oltre a perfezionare il lavoro che la porterà a pubblicare un disco di canzoni del compositore Nelson Angelo, sta preparando altri due omaggi alla sua terra: a Chico Buarque con la chitarra di Rubinho e a Caetano Veloso, in un sestetto che comprende il marito chitarrista Cristiano Verardo. "E eu, que era triste, discrente deste mundo, ao encontrar voce eu conheci, o que è felicidade". 

 

 

Bia gioca con la sua voce e incanta il pubblico

 


di Marina Beccuti


 

         Il successo riscosso da Bia al Folk Club di Torino non poteva avere miglior epilogo se non quello che ha visto gli spettatori entusiasti fare la coda davanti al suo camerino per farsi dedicare il suo ultimo cd. L’esigente e colta platea torinese che ha seguito il concerto è uscito felice dall’esibizione della cantante brasiliana dopo averle chiesto due bis ed espresso il desiderio di rivederla presto nel capoluogo sabaudo, magari in una sala più grande, perché Bia merita un grande pubblico. La sua performance è stata caratterizzata dall’intimità e dalla complicità che ha saputo creare con gli spettatori, compreso l’ottimo affiatamento raggiunto con i musicisti, tra cui è spiccato lo splendido flauto della raffinata francese Dominique. Bia ha iniziato eseguendo alcuni tra gli standard più classici di bossanova, dall'intensa esecuzione dei quali si aveva la netta sensazione che rappresentassero il suo intimo; ognuno di essi veniva simpaticamente illustrato in un italiano approssimativo dalla stessa cantante, a cui sembrava piacesse dialogare col suo pubblico attento. Così sono state eseguite “Apelo” e “Andorinha”. “Olga” invece, brano dedicato alla sorellina, ha ritmi baiani e ricorda alcune melodie di Gilberto Gil. Non poteva mancare la citazione a Chico Buarque, artista più amato da Bia che gli ha regalato l’intensa “Dans mon coeur”, eseguita in francese, e più tardi gli ha dedicato anche “Malandro”, una delle canzoni più note del grande cantautore carioca. Ma le peculiarità di Bia, le stesse che hanno determinato il successo della serata, sono il suono e la potenza della sua voce che le consente di intonare qualsiasi genere musicale senza difficoltà, come fosse un dono innato. Così ha cantato con la massima intensità i ritmi africani di “Andei”, un fantastico fado che non ha fatto rimpiangere Amalia Rodrigues, ha ha accarezzato la sua “Baby Neném”, fino a esaltare la preghiera Inca “Inti”, bellissima. 

A fine concerto abbiamo avuto l’occasione di scambiare due chiacchiere con l'artista. Bia è il diminutivo di Beatris Krieger, cognome quest'ultimo di origine teutonica, anche se lei ha radici portoghesi e anche un poco italiane. E’ nata a Rio, ma vive da circa dieci anni in Francia che è diventata ormai la sua seconda patria. Dice però di tornare spesso in Brasile, parla molte lingue e se la cava bene anche con l’italiano.

Quando ha cominciato a cantare? 

“Da piccolina. Professionalmente sono nata nel ’95, nel ’96 in Francia ho incontrato Dominique, la mia flautista, così è nato anche il mio primo album nel ’97.” 

Trova che la musica brasiliana si sposi bene con la lingua francese?

 “Sì, anche se penso che per fare una canzone tutte le lingue latine possono unirsi. Come dimostra il fatto che canto anche canzoni italiane, e Gian Maria Testa è uno degli autori di alcuni miei brani.” 

Lei ama molto Chico Buarque. Come è nato il connubio con le sue canzoni? 

“Nel ’95 volevo adattare alcuni suoi brani in francese, così ho scritto alla sua casa discografica per chiedere l’autorizzazione. Dopo qualche giorno mi ha telefonato proprio Chico in persona, mia madre ha preso la telefonata e per poco sveniva dall’emozione. In seguito lui è venuto a vedermi in alcuni miei concerti, non posso dire che ci sentiamo tutti i giorni, però so che mi apprezza.” 

Questa è la seconda volta che viene in Italia: quali sono i luoghi dove fa più frequentemente concerti? 

“Venni in Italia la prima volta nel ’99, con concerti ad Arezzo e Reggio Emilia. Oltre che in Brasile, faccio molti concerti in Francia e ho un ottimo seguito in Canada, dove considerano le mie canzoni come world - music più che brasiliane nel vero senso della parola”.

Lasciamo con un po’ di nostalgia Bia, seguita con orgoglio dalla madre, una dolcissima signora brasiliana che l’ha accompagnata in questo mini tour nella nostra penisola. Ci auguriamo di rivederla presto nel nostro paese, perché assistere al suo concerto è un bellissimo gioco che vorremmo ripetere spesso.

 

 

Tania Maria, il Brasile che si agita

 

 

di Maurizio Mazzacane

 

 

"La mia fonte è il Brasile, il jazz fa parte di me". Tânia Maria Correa Reis è grinta, movimento, energia debordante. E' un piano carico di note, è musica che invade, suono corposo, forza, è voce decisa, profonda. Il suo jazz è colorato, vivace, senza schemi, intimamente brasiliano. Incalzante. "Live at the Blue Note" è la sua fatica più recente, datata duemilauno: pensato a Parigi, registrato dal vivo a New York, distribuito in Italia da marzo, presentato a Barletta (Teatro Curci) e Roma (Teatro Ambra Jovinelli) il tredici e il quindici aprile. Otto brani, otto momenti intensi: e un ritorno gradito. 
"Il jazz mi viene naturale, è la mia libertà d'espressione". Espressione forte, che dilaga. L'atmosfera, rigidamente latina, è salvaguardata, nota dopo nota. "La mia musica ruota attorno al jazz e al Brasile. E' libera, è diversa. Adesso, anche più semplice". Tânia Maria produce sensazioni, riempie il palcoscenico. Trascina. L'impatto, sul palco, è marcato. Il concerto è un concentrato di dinamismo puro, ritmato dalle percussioni di Mestre Carneiro, plasmato dalla concretezza della batteria di Luis Augusto Cavani e dalla puntualità del basso di Marc Bertaux: un'ora e tre quarti che scivolano lievi, senza indugi, senza attriti. C'è la produzione propria e c'è la rivisitazione, c'è la ballata e ci sono i classici che il pubblico ama e accompagna: è il caso dell'intramontabile "Mas Que Nada" targata Jorge Ben. La versione di "Sebastiana" è frenetica, ampiamente arrangiata. Aquarela do Brasil è appena accennata, ma la gente apprezza. E partecipa. Tânia Maria si concede, si lascia trasportare tra musica e versi. Talvolta autobiografici, semplici, eppure mai banali: "Deixei minha cidade com doce coragem", "Eu canto meu Pais, eu canto para ser feliz". Voce, piano, tastiere e improvvisazione, istinto. "Non preparo mai scalette, per i concerti". Tânia Maria ha personalità spiccata, dentro e fuori dal palco. "La musica, più di ogni altra cosa, è una scelta. E' una missione: io ho scelto la musica e la musica ha scelto me". Jazz, Brasile e ritmo afro-latini trovano un punto d'incontro, si fondono lontano da ogni cliché: la mistura elargisce musica viva, attraente. Sino alla fine, quando sgorgano gli accordi di "Florzinha", ispirata a Petit Fleur di Sidney Bechet. Tânia Maria è il Brasile che si agita, che pulsa.