Il volo incompiuto di Rubens

A una svolta il destino del numero 2 brasiliano della Ferrari

 

 

di Marina Beccuti

 

        Rubens Barrichello raggiunse la Formula 1 ancora ragazzo e fu uno dei più giovani esordienti nella massima serie. Per lui, considerato l’erede di Senna, si profilava una grande carriera, come quella che aveva contrassegnato la storia di altri fuoriclasse brasiliani. Giunto a quasi un decennio di carriera, Barrichello ha messo in bacheca una sola vittoria, con la Ferrari, qualche buon piazzamento nel mondiale. Ma certamente agli esordi la carriera sembrava avviata a giorni più gloriosi per il ragazzo nato nella zona di Interlagos, dove si svolge il Gran Premio del Brasile a San Paolo. A portarlo in F.1 fu il povero Ayrton Senna, che Rubens considerava il suo allievo prediletto.

Una domanda viene spontanea: può il grande Ayrton aver sbagliato giudizio, oppure qualcosa s’è inceppato nella mente, più che nel piede di Rubinho? Il dubbio ha una sua spiegazione logica e una data di appartenenza: 1° maggio 1994, uno dei giorni più funesti per l’intero sport brasiliano. A Imola Ayrton Senna è vittima di un incidente e la sua vita è volata come uno straccio al Tamburello, il suo cranio sbatte contro quel muro che non dovrebbe essere lì, a far da barriera tra la vita e la morte di uno dei più grandi piloti della storia. Rubens due giorni prima, durante le prime prove ufficiali del venerdì, va a sbattere in un testacoda pauroso, rimane intontito e vittima di un forte trauma cranico, però è salvo. Ayrton scavalca il muro dell’infermeria di Imola per andarlo a trovare, ma ai piloti viene proibito di rendere visita ad un collega ferito. Rubinho apre gli occhi e vede l’amico al fianco e si rincuora. Due giorni dopo nessuno potrà ridare il battito a Senna.

In poche ore la carriera di Barrichello subisce due grossi contraccolpi, che a poco più di vent’anni possono essere pericolosi per chi intraprende una carriera rischiosa come quella del pilota di F.1. Il giovane paulista di origine trevigiana inizia a girare per team minori, anche se ha buone opportunità per far vedere che la stoffa c’è sempre. Ma la virtù non decolla, anche perché priva del suo primo consigliere, che nemmeno di lassù può far nulla. Nel 2000 arriva la grande occasione: è proprio la Ferrari a chiamare il brasiliano, e un onore per Rubens correre per una delle case più leggendarie della storia e oltretutto essere il compagno del più grande pilota attuale, tale Michael Schumacher. Il sogno però diventa presto un incubo perché a Barrichello restano le briciole, nel senso che la Ferrari l’ha preso solo come servizievole valletto del tedesco. Mentre “l’altro” si gode tutte le novità dell’evoluzione della macchina e gli viene offerta massima assistenza, Rubinho viene trattato alla stregua di un inserviente, anche se ben pagato.

Inizia anche a vacillare il suo carattere: invece di tirare fuori le unghie si lamenta, passando così per un uomo fragile. Se gli riesce un sorpasso al compagno in gara è merito di Schumy che lo lascia passare, se c’è qualche problema di affidabilità tocca a lui cedere il suo motore alla causa delle sperimentazioni pro Schumacher. L’ultima beffa è stata l’utilizzazione della nuova F2002, che a lui è stata fatta provare solo a fine marzo, per paura forse che carpisse chissà quali oscuri segreti. Probabilmente a fine anno a Maranello gli daranno il benservito, preferendogli un altro brasiliano, tale Felipe Massa. E invece no, Rubinho, tu chiudi gli occhi e pensa ad Ayrton: lui non avrebbe mai accettato simili condizioni. Avrebbe preso i guanti, il casco, il passamontagna e lo avrebbe gettato a terra, salutando tutti e mandandoli a quel paese.

Ricorda, Rubinho: quando la tua F2001 è schiattata davanti alle migliaia di brasiliani che ti stavano esaltando a Interlagos, non solo tu, ma tutto il Brasile è stato preso in giro, umiliato da un team che ha incoronato un re diventato tale solo perché il destino ha strappato alla terra Ayrton per regalarlo alla leggenda. Corri via, Rubinho, il Brasile deve ritrovare il suo campione, perché da troppo tempo quella bandiera non sventola come merita, più in alto di tutte, per raggiungere il cielo dove Ayrton aspetta da tempo per applaudirti.