NN: dispersi e ritrovati della musica brasiliana

Smetak,  grande  mago  dei  suoni

 

 

di Nené Ribeiro

 

      La chiesa di San Francesco a Ouro Preto, Minas Gerais, è uno dei capolavori dell’arte barocca coloniale brasiliana. Vi si trova tutto il genio artistico del grande artista mulatto, Antonio Francisco Lisboa, o Aleijadinho: muri curvilinei coniugati armoniosamente a sezioni di pareti rettilinee che sostengono tutto l’edificio; e, soprattutto, la sorprendente facciata, con le sue torri cilindriche coronate da eleganti bulbi e, nella sua parte centrale, meravigliosi rilievi merlettati di pedra sabão (steatite) che riproducono a cielo aperto la delicatezza e la laboriosità dei temi rococó, L’atmosfera unica e l’acustica singolare fanno sì che la chiesa di São Francisco sia sede prestigiosa di concerti e rappresentazioni.

Quella sera del 1971 qualcosa di inaudito accadde quando il concertista iniziò a estrarre dal suo organo elettrico una serie di suoni insoliti e assordanti. Il lampadario di cristallo si mise a girare, le pareti proporzionate del santuario tremarono; persino i popcorn saltarono fuori dai sacchetti. Grande parte del pubblico scappò di corsa, abiurando la stregoneria del musicista. Egli, un professore del seminario di musica dell’Università Federale di Bahia, reagì con distacco allo scandalo suscitato: sottolineò, soltanto, che si trattava di un semplice fenomeno di Fisica. Il nome del concertista: Smetak.

 

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Walter Smetak emigrò in Brasile nel 1937. Nato a Zurigo, la sua famiglia era originaria dell’allora Cecoslovacchia. Suo padre era un virtuoso del mandolino, la madre zingara. Portava con sé una solida formazione musicale erudita, forgiata al conservatorio della sua città, al Mozarteum di Saliburgo e al conservatorio di Vienna. Concertista – il suo strumento era il violoncello -, approdò a Porto Alegre invitato dal suo maestro, Grunsky, e  fu scritturato dalla Radio Farroupilha. Nel 1939 assunse la cattedra di violoncello all’Istituto di Belle Arti della metropoli gaucha. Chiamato a integrare l’Orchestra Sinfonica Nazionale, si trasferì nel 1941 a Rio de Janeiro dove visse per circa dieci anni, collaborando con diverse formazioni. Contrattato dall’Orchestra del Teatro Municipale di São Paulo, lì rimase dal 1951 al 1957. In quell’anno, il maestro Hans Joachim Koellreutter, introduttore della musica dodecafonica in Brasile e straordinario animatore della scena erudita brasiliana, lo convinse a trasferirsi a Salvador di Bahia, dove, nel 1954, aveva creato una scuola di musica. Come professore dei Liberi Seminari di Musica fece parte dell’ambizioso progetto del rettore Edgard Santos di istituire un polo di arte e creazione artistica nell’università locale. Il fermento di queste iniziative produsse una generazione artisti che negli anni sessanta influenzarono tutta la cultura brasiliana: Glauber Rocha, Roberto Santana, Caetano Veloso, Gilberto Gil, Capinan, Tom Zé, Antonio Risério, Walter Lima, Rogério Duarte

 

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Il contatto con la calda terra baiana; la moglie Julieta, una bella mulatta;  il suo lavoro come professore universitario; l’avvicinamento alla filosofia antroposofica e la pratica della liuteria e della costruzione di strumenti, portarono Smetak a un radicale cambiamento. Un giorno, mentre lavorava nel suo laboratorio, sentì il vento che faceva vibrare le corde di un violino appena costruito e che si asciugava all’aperto. Fu la rivelazione. In quel momento Smetak aderiva alla teoria del microtonalismo del compositore messicano Julián Carrillo. Animato da studi esoterici – che asseriscono una sintesi tra le culture occidentali e orientali – e dalla ricerca degli archetipi del nuovo mondo, diede inizio alla creazione di nuovi strumenti, per nuove sonorità. Nasceva il mago dei suoni.

 

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In principio fu la cabaça – la zucca svuotata –. In essa Smetak avvertì il globo terrestre riprodotto in scala vegetale. Prese un manico di scopa, una corda di chitarra, un chiodo: nacque  Mundo. E subito dopo Vina, con tre zucche. In poco tempo il suo laboratorio forgiò un centinaio di nuovi congegni sonori, oggetti di rara finitura plastica e melodica. E ognuno divenne suono, simbolo, colore, strumento, scultura. La rottura con la musica tradizionale – infatti Smetak lasciò il suo posto all’orchestra sinfonica di Salvador – fu totale. Nel 1966 i suoi lavori, sotto il nome di Plasticas Sonoras, parteciparono alla I Biennale di Arte Plastiche di Salvador e ottenerono il Premio Speciale di Ricerca. La sua casa diventò meta di pellegrinaggio. Gilberto Gil, portato dal flautista Tuzé de Abreu, la frequentò. Incoraggiato da Gil, Caetano Veloso, nel 1974 produsse, insieme a Roberto Santana, il suo primo disco Smetak. Nel 1979, dopo cinque anni di lavoro, con le sue chitarre microtonizzate e un gruppo di allievi, esce il LP Interregno, prodotto da Walter Lima.

 

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Smetak morì nel 1984. Oltre alla moglie e cinque figli, lasciò 144 strumenti e la sua moto BMW nera, soprannominata A prostituta di Babilônia, sua compagna di vita e percorsi a Rio, São Paulo e Salvador. L’anno scorso, fu editato il suo libro, Simbologia dos instrumentos. I suoi dischi sono stati ristampati in CD. Grazie al  lavoro del percussionista e ricercatore, Bira Reis, i magici strumenti di Smetak sono stati restaurati e catalogati. Messi in un magazzino aspettano i finanziamenti necessari alla fondazione di un museo dedicato alla sua opera. Come lui stesso amava dire: “parlare della musica è una sciocchezza; eseguirla è una pazzia”.