IL BRASILE IN ITALIA

 

Una Casa di Candomblé in Piemonte

Fa capo a un'associazione che diffonde la religione afro-brasiliana

 

 

di Fabio Germinario

 

 

 

      Una "casa" di Candomblé in Piemonte, a pochi chilometri da Vercelli. Da poco più di un anno anche in Italia adepti e studiosi di questa importante religione afro-brasiliana possono contare su un luogo dove professare il proprio culto o partecipare a incontri divulgativi, o semplicemente presenziare a una delle feste organizzate dall'Adica, Associazione per la diffusione del Candomblé cui fa capo il nuovo terreiro. L'attività dell'associazione, che è stata fondata nel 1996, è ancora allo stato nascente, ma a essa fanno già capo un centinaio di persone sparse in tutto il paese e concentrate soprattutto nel triangolo compreso tra Milano, Torino e Genova. Tra gli associati, docenti, professionisti, studiosi, ma anche persone comuni che si sono avvicinate al candomblé dopo un viaggio in Brasile, ammaliate dalla magìa di suoni, colori e altre suggestioni che è possibile apprezzare durante le feste. Il Piemonte come la Bahia, dunque, nel senso che tra le risaie del vercellese trova finalmente rappresentanza anche in Italia una importante religione della quale finora non si era vista traccia. Perché spesso viene ignorata, come è recentemente accaduto durante l'incontro organizzato dalla Chiesa italiana con i rappresentanti di altre confessioni, oppure perché "dimenticata" dai compilatori di dizionari e siti internet. L'Adica ha quindi colmato un vuoto, se si considera che in Italia gli appassionati di cultura brasiliana sono in continuo aumento e l'interesse per le tradizioni africane da cui questa religione discende non è sorto recentemente, ma - come fanno notare dalla sede dell'associazione - risale fino agli inizi del secolo scorso. Con la creazione del primo terreiro italiano, il sodalizio piemontese si autocandida a punto di riferimento nazionale per coloro che desiderino partecipare a cerimonie pubbliche, conferenze, seminari pratici di danza e cucina o semplicemente intendano comprendere il significato del candomblé. Nel semestre estivo l'Adica organizza una serie di attività, e il programma di quest'anno sarà reso noto alla fine di questo mese. Chi nel frattempo desidera documentarsi può consultare il sito dell'associazione (http://web.tiscali.it/adica/), recentemente arricchito dalle sezioni sulla Festa di Yemanjà e sul rapporto tra cucina e Candomblé. Ma che cosa è esattamente il Candomblé, e come si svolgono le attività nella casa sorta in via Gabiaccio ad Arboreo, a pochi chilometri dal capoluogo del vercellese? Lo abbiamo chiesto a Oscar Baccini, portavoce dell'associazione e Ogà dell'Ilé Axé Airà il quale, per rispondere alle nostre domande, ha a sua volta chiesto e ottenuto l'autorizzazione di Pai Mauro di Airà, Babalorixà, ovvero la figura che guida la comunità.  


Può spiegarci sinteticamente cos’è il Candomblé?

Le rispondo in primis con una citazione, da Susanna Barbàra in “Danzando con gli Dei”, rivista Missioni della Consolata, numero di ott-nov. 2000. “Cos’è il Candomblé, madre mia? - E’ danza e musica, figlia mia! -. Così rispose “mae Teresinha”, quando iniziai la ricerca su questa religione afro-brasiliana. Per comprenderne il fascino occorre aggiungere: ricchezza di colori e simboli, ricerca di armonia, equilibrio e consolazione, memoria storica e impegno di solidarietà”. E poi: “Il Candomblé è un messaggio di felicità; è ricerca degli aspetti più gioiosi della vita”. E poi ancora: “Il Candomblé si basa sulla conoscenza di se stessi; conoscenza ottenuta attraverso vere e proprie tecniche con cui raffinare sempre più la percezione del proprio essere, delle capacità e limiti personali, il contatto con la propria parte interiore e sacra…”. Personalmente posso rispondere in diversi modi, non c’è una unicità di risposta. A seconda di come si affronta la domanda si possono trovare definizioni diverse, e spesso tutte esatte. Mi piace di più la definizione che le ho dato presa da un articolo della Barbara, studiosa del settore. Potrei naturalmente dire molte altre cose: è “una religione”, oppure è “l’espressione della cultura afro-americana in Brasile”, o è “una visione del mondo”, ancora è “magia”, o “una tecnica per ritrovare il proprio io e sentirsi realizzati”. E’ in realtà tutto questo e ancora di più. Nasce comunque dall’evoluzione delle credenze africane, e particolarmente dall’elaborazione effettuata nei secoli dagli schiavi africani nelle Americhe, dei loro miti, riti, culti e cultura. E’ la forma più pura presente in Brasile, apparentata con forme similari sia in questo paese che in altri dell’America latina, la forma che meno ha subito influenze.    

Come è nata l’idea di costituire in Italia un’associazione fondata sullo studio e la pratica del Candomblé?

L’idea non è nata dal nulla. Il terreiro - parola portoghese che significa casa, come l’equivalente termine yoruba Ilè - e l’associazione sono la conseguenza naturale della presenza in Italia di persone sia brasiliane che italiane praticanti il Candomblé, conosciuto in Brasile o nella stessa Italia, quando se ne è presentata la possibilità, per il formarsi di condizioni adatte, nella fattispecie la presenza di un Pai de Santo - Babalorixà italiano e di un gruppo di persone interessate. Esattamente come avviene in Brasile, il Pai de Santo ha aperto una sua casa, dando il via a una nuova comunità nel solco di una ininterrotta tradizione e filiazione, comunità che raccoglie chi si avvicina al Candomblé in Italia indipendentemente dalla sua nazionalità. Nello stesso tempo tutte le persone che sono state iniziate in Brasile hanno trovato un punto di riferimento più comodo in termini di distanza della loro casa di appartenenza a cui comunque continuano a fare riferimento. E che non hanno certamente abbandonato pur frequentando in certe occasioni la nostra casa per ritrovare parte di sé anche in un luogo lontano dal Brasile.

 Ma perché occuparsi di una religione apparentemente lontana, geograficamente e culturalmente?

Non è stata una decisione di occuparsene, non è stata per nessuno di noi una scelta di occuparsi di qualcosa, vicina o lontana: lo abbiamo conosciuto e vi abbiamo liberamente aderito, perché evidentemente ciascuno di noi vi ha trovato una risposta o una soluzione, è stato un’incontro, diverso per ognuno, incontro in cui molti si sono ritrovati con se stessi. Culturalmente lontana? Non ne sarei così certo. Trova così lontana la musica latino-americana, il samba, il jazz, Jorge Amado, Obà dell’Ilè Axè Opo Afonjà in Salvador e attraverso il quale io personalmente ho scoperto per la prima volta questa realtà e me sono innamorato? La musica del carnevale Brasiliano, del resto, deriva molto dai gruppi legati ai terreiros di Bahia, che in occasione del carnevale sfilavano per strada con le loro percussioni. E che dire di Gal Costa, Dorival Caymmi, Clara Nunes? L’Afoxe, la banda Olodum (è un nome legato al candomblé), quello che come europeo trovi in Brasile a Cuba, Santo Domingo, spesso ha legami con le antiche credenze degli schiavi che in parte hanno salvato la loro cultura. Definirebbe culturalmente lontana la capoeira?

Per lo svolgimento della vostra attività è stato necessario ottenere un riconoscimento da parte di qualche istituzione religiosa brasiliana?

In Brasile, come del resto a Cuba e nelle Americhe in genere, non esiste un riconoscimento formale nelle forme che possiamo pensare noi europei. Esiste una Federazione che raccoglie le case storiche e le case che da queste discendono, preservando la trasmissione del sapere e delle conoscenze. Tale Federazione è in grado di conoscere l’esistenza dei membri in qualsiasi casa in ogni parte del mondo e è referente, ad esempio, delle realtà culturali del paese (Università), e in certa misura dello stato brasiliano. Generalmente un praticante può raggiungere un livello che lo autorizza (abilita), lo rende in grado di svolgere la funzione di babalorixà o yialorixà. A questo punto è libero, se lo desidera, di aprire una sua casa, ma in ogni caso, tendenzialmente conserva i rapporti con la sua casa originaria, in una sorta di costante filiazione che si sviluppa nel tempo. Il membro di un terreiro è come il membro di una famiglia o di una tribù, e conserva rapporti di parentela-filiazione non solo con il suo Pai, ma anche con la famiglia allargata da cui il suo Pai discende. Ed esistono forme rituali, saluti appropriati, convenzioni sociali che regolano i rapporti fra i membri di case affiliate, come se si trattasse di fratelli, cugini, zii, nipoti, nonni, bisnonni, antenati, e membri di una famiglia allargata.

Ha visitato altre case di Candomblé?

Conosco non solo la casa di cui faccio parte e in cui sono stato iniziato, ma la casa a San Paolo del Brasile da cui discendiamo, l’Ilé Axé Odù, la casa di Pai Taunderà, e via via fino all’Ilé Axé Oxumaré, casa oggi retta da Pai P.C. (Pesse) in Salvador di Bahia, che è stata dichiarata Patrimonio Universale da parte dell’Unesco e in cui mi sono recato, accolto come un nipote giunto da lontano per conoscere le sue radici. In Brasile i terreiros sono comunque registrati come tali dallo stato, cosa ancora impensabile in Italia.

Ma il candomblé può essere praticato da chiunque senza aver frequentato corsi di formazione corrispondenti al catechismo cristiano?

Sì, esiste solo la pratica assolutamente libera, ciascuno secondo le proprie necessità

Perché avete scelto una sede situata in provincia e lontano da grandi centri?

E’ stato scelto un luogo in campagna perché un terreiro è completo se può disporre di spazi. Inoltre è molto importante l’aspetto della natura: nel Candomblé la terra, l’acqua, i corsi d’acqua, gli alberi e la vegetazione sono praticamente necessari per una vasta gamma di motivi. Continuando a citarle l’autrice di cui sopra, ”Il Candomblé si fonda sul culto della natura: cose, alberi, animali, persone sono sacre. Un’energia vitale, chiamata axé, circola in tutti gli esseri animati e inanimati, collegandoli insieme”. Tutte queste cose, insomma sono presenti in campagna più che in città. Per quanto riguarda  invece la lontananza da grandi centri, la nostra casa di Arborio è quasi in posizione strategica, situata come è tra Milano e Torino, e non così lontana da Genova.

Avete avuto difficoltà a far accettare la vostra presenza dalla popolazione del luogo e a integrarvi con essa?

Non vi sono stati problemi particolari: ottimi i rapporti con il sindaco, e i carabinieri del paese sono invitati a tutte le feste, anche se purtroppo sono troppo impegnati per intervenire. Per il resto normali amori e avversioni, tipiche di tutte le piccole comunità rurali.  

I vostri membri praticano anche la religione cattolica o aderiscono esclusivamente al Candomblé?

Se si vuole considerare il candomblé come una religione (per me, ad esempio è una veltanchau, cioè uno stile di vita), si deve comunque sgomberare il campo da equivoci. In ogni caso non è una “religione” totalitaria, liberi tutti di praticare il cattolicesimo o quant’altro, come del resto è ampiamente praticato nell’America latina. Ci si può accostare al candomblé in molti modi e tutti validi ed accettabili: per una ragione estetica, per curiosità, per necessità o per risolvere un problema. Anche per fede, se si vuole, per curiosità intellettuale; non vi sono dogmi o condanne, ci si può rimanere per tutta la vita o per un giorno: l’importante è trovarvi una soddisfazione e una propria armonia, ritrovare se stessi.    

In che modo organizzate la vostra attività di divulgazione? Realizzate conferenze, incontri, corsi o iniziative analoghe?

Poche attività di divulgazione, per ora. Da una parte non siamo una “religione” militante, non abbiamo la verità rivelata e per questo dover convertire necessariamente gli altri. Per chi non lo sa non abbiamo l’inferno (né i roghi dell’inquisizione, né le lapidazioni islamiche), e quindi il proselitismo,  inteso come tale, non è per noi un obbligo come per altre religioni. Tuttavia da un punto di vista diciamo sociale nulla abbiamo in contrario a organizzare conferenze, incontri, corsi e altre attività.  Qualcosa abbiamo già fatto, ma siamo solo agli inizi, e ci basiamo solo sulle nostre forze. Non dimentichiamo che le nostre feste così come in Brasile, sono feste pubbliche a cui chiunque è invitato.     

Riuscite ad organizzare anche vere  proprie feste religiose? Sono analoghe a quelle di terreiros brasiliani e in che cosa eventualmente differiscono?

Ogni terreiro organizza le feste degli Orixas, che come ho già detto sono feste pubbliche e quindi anche noi le organizziamo. Ma più che analoghe sono proprio le stesse, e eventuali differenze dipendono unicamente dalle capacità organizzative e dalle possibilità economiche o in termini di personale da parte di chi le organizza. Per una casa la festa è comunque un momento sociale importante, anche come presentazione all’esterno.

Qual è la collocazione sociale e culturale del vostro frequentatore medio?

Tra membri della casa e associati o amici c’è di tutto, dal professore universitario al disoccupato, dall’intellettuale all’analfabeta, dal benestante al povero.

Come vi finanziate?

La casa è completamente autofinanziata, non sono richieste somme ai visitatori o agli amici di altre case. Ogni membro della casa paga come può le feste che sono dedicate al suo Orixà, e che quindi possono risultare più o menoappariscenti. Per le spese correnti di gestione i membri della casa si autotassano come quota associativa per l’incredibile cifra di 10 Euro al mese, e tutto il resto è lasciato al loro buon cuore.