La poesia di un cittadino del mondo

Presentato  a  Firenze  "Se fosse vera la notte",  raccolta
del poeta brasiliano Heleno Oliveira scomparso nel 1995

 

 

di Silvia Zingaropoli

 

    Il 9 maggio scorso si è tenuta a Firenze, presso Palazzo Vecchio, la presentazione del libro “Se fosse vera la notte”, raccolta di poesie in lingua italiana del poeta brasiliano Heleno Oliveira inclusa nella collana dedicata alla poesia della migrazione “Cittadini della poesia”, diretta da Mia Lecomte e Francesco Stella. L’uomo che trova dolce la sua patria non è che un tenero principiante, colui per il quale ogni terra è come la propria è già un uomo forte; solo è perfetto colui per il quale tutto il mondo non è che un paese straniero”. Sono le parole di Ugo di San Vittore, che Oliveira amava spesso citare forse perché specchio del suo essere cittadino del mondo, o “uomo-mondo”, come è stato definito: di origini africane, portoghesi, spagnole, brasiliane - ma anche fiorentino di adozione-, ha impiegato tutta la sua vita (e la sua poesia) alla ricerca di una propria identità. Per capire l’opera di Oliveira dobbiamo fare un passo indietro al periodo dell’infanzia, momento determinante per la formazione del poeta. Il padre Clarindo, uomo di origine spagnola al servizio dei latifondisti del luogo, è ricordato dai figli come una sorta di bandito che il fine settimana tornava a casa in sella ad un cavallo, con tanto di speroni ai piedi e rivoltella alla cintura. La madre Laura, appartenente ad una colta e raffinata famiglia afro-brasiliana, avviò i suoi figli alla passione per lo studio e la cultura. Un’adolescenza trascorsa tra i libri e lo studio, forse per sopperire all’infelicità familiare: sono queste le congiunture che hanno dato vita alla tensione drammatica caratteristica della poesia di Heleno Oliveira. 

Il suo avvicinarsi, nel 1958, al “Movimento dei focolari” rappresenta un momento di svolta per la personalità del poeta: Heleno giunge alla consapevolezza del fatto che la sua vita non era “solo” la conseguenza di una vita infelice, ma sperimenta l’amore di Dio come uno sguardo personale, unico, che dona senso pieno al suo destino: è la scoperta della misericordia, della predilezione di Dio per i più miseri come di una forza rivoluzionaria.
La sua formazione coincide con il periodo della rinascita della democrazia in Brasile. Docente di letteratura portoghese presso l’università di Belem, Oliveira rappresenta, accanto a figure come Chico Buarque e Caetano Veloso, l’intellettuale cristiano che coniuga la ricerca accademica e letteraria con un impegno umano a favore dei più deboli.
In Heleno, come in Chico e Caetano, non c’è solo il messaggio evangelico ma c’è anche Marx ed Hegel: la sua non è solo meditazione statica ma, soprattutto, è un percorso evolutivo prodotto dalle esperienze della sua vita.
Nell’83 Heleno si trasferisce a Firenze che diventerà per lui la sua vera patria, la patria dell’anima. Firenze, come afferma in una sua poesia, rappresenta per lui al contempo "cauterio" e "rinascita": è durante questo periodo che il poeta comincia ad utilizzare, accanto al portoghese, l’italiano come lingua poetica. 

Amici mentre vado a Luxor
A Firenze nulla sapete
Il muro tra di noi s'abbatte lentamente
Mai più saremo esotici e mansueti
Porteremo le sabbie del deserto
E le oasi più lontane
E se Firenze è bugiarda
Andremo alla cupola
A invocare
Tempeste
Una città
Lavata dal deserto
Purificata dalle lacrime

Proprio nel corso del suo soggiorno fiorentino, Heleno ha l’occasione di visitare una mostra di artisti nigeriani allestita al Forte Belvedere: profondamente colpito dalla dignità e dall’arte africane, dà vita ad uno dei poemi più coinvolgenti ed entusiasmanti di tutta la sua produzione: “Africa”. Forse è proprio in questo momento che Heleno riesce finalmente a prendere piena coscienza delle sue origini ancestrali e della sua vera identità, ricercata nell’arco di una vita.

AFRICA

Ah se potessi starmene
zitto zitto nel seno dell'Africa
Ah, se io potessi
camminare nelle savane
penetrare le foreste
scalare le montagne
sentire il vento dei suoi deserti

Ah se io potessi
inoltrarmi nelle sue notti
e rinascere ancor più nero
nero del nero della nera nerissima
giacché il figlio viene dalla Madre
nonostante il seme del Padre

Ah madre Africa
ti vedo bambina
rubata dal bianco Padre
senza affetto né premure
in quel mezzogiorno della tua storia
che popolò tutti i Popoli
tinse di nero il Mondo
per lo sfruttamento della tua schiavitù
docile e silenziosa
sotto le fruste e le ferite
prolungate nei secoli
e il Terrore
dei negrieri nel tempo
in cui solo il Mare conobbe le grida
senza eco dei soffocati dalle agonie
del nuovo enorme cimitero
denudato di divinità e di stelle

mentre, lì, per Te
Firenze fioriva e partoriva il fiorino
Portogallo e Spagna, con le benedizioni del Papa
dividevano il mondo in duelli d'amore
conquistavano Indie con croci e spade
che lasciavano la storia muta
il più cruento e implacabile metodo
di evangelizzazione
la cristianissima impresa
del traffico negriero
che solo l'abbandono del Verbo fatto Carne
ha potuto riscattare e consolare

Ahi, Africa (e il figlio scivola dal ventre anche se
il Padre irriga il corpo di rose sangue latte)
vivo e sono i tuoi dolori
la tua rassegnata mansuetudine
il tuo tam tam venduto a suon di dollari
dai Signori che ti hanno resa merce
avallata al lume del dogma
usarono e abusarono delle case padronali e catapecchie
concepirono l'architettura delle favelas

fosti la corona di spine che contorna le città
la meta delle armi confezionate su misura
imparasti dal Bianco la vertigine
dello strano insipido dio chiamato Consumo
nella tua diaspora e nel tuo stesso seno
la memoria crivellata quasi estinta
da me dal tuo Brasile strapparono le foglie
della vergogna per non piangere enumerare
morti malattie e lacrime

soltanto la tua intelligenza mitica
ha resistito e ti ha salvata nascosta
nei tombini angoli e terreiros
non hai voluto nazzareni dai capelli biondi
conoscevi la Trinità oltre a Hegel Marx e compagnia
attendi ancora tra le doglie
che venga il Santo Spirito…

inutile dire che il suono dei tamburi è spazio del Nemico
è un grido ai Tre perché venga il Regno
senza potenza esercito signori e schiavi
povero come Dio solo come Dio vicino come Dio
nero come Dio

Oggi voglio danzare
come danzavi prima del Bianco
senza paura di essere sensuale
e lascivo come pensano i Bianchi
senza temere di usare il corpo
nel ritmo nel rito nella melodia
che non ti dicono niente, Bianco,
dicono albero foglia vento sabbia
vedo volare nel mio gesto
leopardi falchi elefanti
aironi uccellini
questo è la danza


Non contorsioni per scongiurare i momenti
di tedio
è una benedizione per salutarlo
non prigione quotidiana in discoteche d'acciaio
è ascolto amoroso dei miti
di un tempo che nasce in me
diversamente muoio nella valle delle anime smarrite
la danza è festa
è il mio dialogo con te, madre amabile e nerissima
che ama secondo i riti della tribù
che pettina con grazia il capello crespo delle figlie
che lavora nel campo e parla con il suo dio
di tutto senza distanza e stranamente

il tuo silenzio mi interroga
non posso tacere è mio e mi fa male
madre Africa contemplo la puttana da due soldi
povera nera povero fiore nero senza INPS
giustizia e estetica della fame
il padrone bianco soddisfatto ti macchia
procrea nel tuo corpo serpenti

non vedo più lo stesso colore
la danza la risata la santa sensualità
ecco gli uomini della terra del Sud
incappucciati gridano negro è sporco negro è sporco
ALLONTANATEVI

e tu raccogli e metti insieme gli stracci dell'anima
in ballate blues e samba
nelle ninnananne dei bambini dell'America
cancella dolcemente la melanconia
della razza bianca che canta il jazz
senza dire Africa

non cancella la mansuetudine
eccessiva che attende molleggiando come se ancora fosse il tempo della
libertà
quando il Nero ordinava il caos
e lasciava che il bianco illuminasse
senza odio e amore colonizzati

chissà certi giorni invocasti
gli dèi ammutoliti della guerra
per mezzo secolo Palmares è stato un segno
duro come Zumbi mio padre mio re mio fratello
Luanda rinacque con la stessa festa
una volta ancora il tuo sangue inquinato
ti ha venduta ai Lusitani, madre,
la testa di Zumbi in una piazza di Recife era la tua
le tue nozze con la libertà
sono solo una data nel calendario

i tuoi figli subiscono altra schiavitù
lo stipendio meno che minimo
la tentazione di diventare bianco
la parola black esportazione abusata
il nero è sempre sinonimo di bruttura
la resistenza che nessuno vide

eccomi a ripetere il colore dei neri è stato tollerato
il tuo olimpo cristianizzato a forza
il tuo Brasile non ti voleva e ti liberò
con la morte di seimila neri nella guerra del Paraguay
e oggi nelle cucine e bordelli, madre.

lascia che sorridano
lascia che invidino mulatte oba oba
e sfilate della scuola di samba
lascia che ballino come manici di scopa il reggae e Bob Marley
e si sentano eruditi con il pianto del tuo jazz
e prendano i tuoi tesori come presero gli schiavi
lascia che ti chiamino nerina neretta
con affettuosa falsità
vedrai la tua saggezza la tua pazienza
che tutto sopporta
persino i detti però è un nero con l'anima bianca
vedrai i due grandi e i loro satelliti
le mani ricolme di domande e domandarti la Parola
che abbandonarono
attenderai densa e eterna come il Congo
alta e serena come il Kilimanjaro
povera e affamata come i tuoi figli e figlie
desolata come la cultura che ti ha annichilita
nostalgica della pace del clan del tam tam
vedrai in una magica e cosmica preghiera
il Nero che viene lanciato sulla scena del mondo
brillante
diamante
uscito da Trinidade senza colore
senza nessun colore
tutta nera che ti rivela
attraverso i lampi
la danza i gesti i miti
ti illumina e racconta la tua saga
il tuo destino arcano
quasi simile al Verbo
che tutto innerato
dal calore e dal sole di Trinidade
ti bacia con il bacio della sua bocca
bacia figlie e figli
oppressi dimenticati
copre l'infelicità d'amore
interrompe il singhiozzo della terra
saravá



Nello stesso periodo Heleno lavora presso l'università di Lisbona, a una tesi di dottorato dedicata all'opera della grande poetessa portoghese Sophia de Mello Breyner Andresen; quindi ha l’occasione di recarsi almeno due volte l’anno in Portogallo, terra adorata dal poeta, altro "polo" della sua vita intellettuale e spirituale. 


Il Portogallo è sparso nel mio corpo
Lisbona e i suoi pezzetti di Bahia Olinda e Alcantara
di paesini sperduti e campi e spiagge del Brasile.

Descriverti non è facile.

La tua lingua di pietra
la greca lucentezza di Sophia
la gente che vive di poco pane e luna
il porto immenso
i tuoi grandi piccoli tiranni
la tua poca terra
la tua abbondanza di anima.


Heleno Oliveira muore improvvisamente a Lisbona, il 30 luglio del 1995. Fatalità, proprio il suo “mito” letterario, l’amata Sophia de Mello Breyner Andresen, decide di far "conoscere meglio Heleno" al mondo, esprimendo tutta la sua ammirazione per la sensibilità e l'originalità della poesia di Oliveira: “La poesia di Heleno è allo stesso tempo una e molteplice. E’ contemporaneamente un cammino e il diario di questo cammino. E’ una ricerca spirituale che passa attraverso una ricerca intellettuale. E’ strada e crocevia al tempo stesso. La sua poesia è scritta tra luce e oscurità, tra peso e grazia. Tra il molteplice splendore della terra e lo scandalo del mondo. Tra la bellezza che l’uomo ha creato ed il dolore, l’abuso e l’oppressione creati sempre dall’uomo”. E’ proprio Sophia de Mello Breyner Andresen che si attiva per far pubblicare alcune poesie di Heleno assieme al suo ultimo libro, pubblicazione avvenuta nel novembre del 1996.

Resti di ricordi
nelle cose e sabbie del villaggio.
Tutto del mio vecchio sguardo si accende.
Santa Clara che passa sul baldacchino
che quasi non vedo

e non rivedo

nessun bimbo alato
nella processione.

Vedere e non vedere è così
come bere un bicchiere d'acqua
dopo la sete del sertão
tra la luce di là
perpendicolare al suolo

e quella di Lisbona che vola
leggera e pura come l'acqua
dalla riva all'infinito

sapere della Lusitania
Geografia e Quinto Impero
veduto e morto
per poter vivere.
Venite a me Indie
dice Vieira da un altro porto
che vi incanterò.
E la saga vive in ognuno
che sa la mescolanza
di spada luna e croce
e non dimentica
il grido senza luce.

Heleno Oliveira era un cittadino del mondo, forse uno dei pochi che hanno capito il vero senso del termine “patria”. Una patria non egoisticamente intesa come possesso, ma una patria universale, senza confini e profondamente interiorizzata.