IL TACCUINO DI MAX

Mpb, il fascino della melodia, la poesia dei testi

«Quando regaliamo un cd di musica brasiliana apriamo la
porta di un mondo che noi italiani comprendiamo bene»

 

di Max De Tomassi

    

Più passa il tempo e più mi rendo conto della fortuna che si ha quando ci si può permettere di scegliere un lavoro che ci appassiona sempre. Chissà se è il lavoro, e quindi il Brasile, ad avermi scelto, oppure sono stato io con la mia perseveranza, l'insistenza tipica dei giovani fans, a spingere la mia barca verso questa direzione. Molti mi chiedono come ho iniziato e quando ho scelto di continuare ad occuparmi attivamente di musica brasiliana. E' una domanda che mi rivolgono le persone che incontro casualmente e soprattutto gli ascoltatori del programma che da tempo conduco insieme a Gianluca Di Furia su Radio Uno Rai; la storia in effetti è un piccolo romanzo personale, che presto, sperando di non annoiarvi, vorrei raccontare. Ma al di là degli avvenimenti personali, penso sia stata determinante, per trovare costanti stimoli e voglia di andare sempre avanti, la caratteristica principale della musica brasiliana contemporanea, la Mpb, musica popular brasileira: la sua grande qualità musicale e poetica. I primi tempi mi avvicinai timidamente attraverso i pochi vinili che riuscivo ad ottenere comprandoli o facendomeli prestare. Negli Anni '70 ascoltavo Stevie Wonder e Pink Floyd, Genesis e Santana, insieme alla musica italiana dei cantautori. Mio padre, a casa, ci proponeva di tutto: da Fred Buscaglione a Perez Prado, da Modugno a Gabriella Ferri; un giorno mise sul piatto un album di Wilson Simonal, l'allora numero uno in Brasile. In quel disco a 33 giri c'erano successi come Zazueira e Pais Tropical di Jorge Ben, canzoni che grazie alla loro melodia ed al suono delle loro parole colpiscono l'attenzione di chiunque e io ne rimasi seriamente impressionato. La mia collezione personale di vinile contava, al momento, su pochissimi "pezzi": un live di João Gilberto e Stan Getz, qualcosa di Vinicius e Toquinho, Sergio Mendes e Brasil 66. Nelle incontri con gli amici, fra "Il mio canto libero" di Battisti e "Impressioni di Settembre" della PFM, cercavo di far cantare anche qualcosa di brasiliano. La risposta era sempre la stessa: «questi brasiliani sono troppo difficili da suonare, gli accordi sono introvabili, sono dei veri mostri». 

I testi, poi, chi li conosceva? Una vacanza con la famiglia al Mediterranèe di Djerba, in Tunisia, cambiò la mia vita: il dj del villaggio ogni sera in discoteca, passava per intero "10 anos depois" di Jorge Ben, un album meraviglioso che racchiude i più importanti successi del genio carioca, suonati in una live session da studio che univa tre brani alla volta. Questo lavoro, oltre che a deliziare gli amanti di Mpb di tutto il mondo, avrà ispirato certamente i Two men sound nel produrre quel Frankstein della musica latino-brasiliana chiamato Disco Samba (il famoso trenino parte soltanto con questo cd) che tutt'ora è il brano più ballato a Carnevale e a Capodanno, qui in Europa. Tornato in Italia riuscii a farmi regalare l'album e da quel momento cominciai effettivamente il lungo cammino di avvicinamento verso il mondo della musica popular di questo straordinario Paese chiamato Brasile. 

Il primo passo fu tradurre il titolo dell'album di Jorge Ben: per il numero non c'era problema, anos era comprensibile mentre per depois scomodai un cugino, Filippo, che conviveva qui a Roma con artisti brasiliani. Finalmente, almeno il titolo, era tradotto: "10 anni dopo"! Jorge Ben, adesso Benjor, rivisitava i suoi maggiori successi in chiave assolutamente acustica, ancora adesso un cd imperdibile. Fu inevitabile, successivamente, cercare di tradurre il testi del disco, lo ascoltavo senza sosta e devo dire che, grazie anche ad altri album che nel frattempo avevo acquistato, possedevo un notevole vocabolario fatto di parole di cui non conoscevo il significato ma che pronunciavo molto bene. Qualche anno e molti vinili dopo, riuscii a partire per il mio primo viaggio verso Rio dove rimasi per circa 4 mesi. Ospite a casa di amiche che a me si rivolgevano nella mia lingua, durante il giorno restavo però spesso a casa da solo con la loro collaboratrice domestica che, non parlando italiano, fu la mia prima vera insegnante di portoghese: ciò che mi diceva, le spiegazioni a gesti che faceva, mi svelarono la parte nascosta del mio vocabolario fatto di molte parole ben pronunciate, ma senza significato.

Fu come comporre un puzzle: intere canzoni ricordate a memoria si traducevano giorno dopo giorno, come d'incanto, aprendomi così lo scrigno di una realtà poetica ricchissima che è il vero tesoro della Mpb. Pais
Tropical, Chega de saudade, Desafinado, Chove chuva non erano più un segreto; abituato ai testi dei nostri bravi cantautori, da De Gregori a Baglioni passando per Venditti, conoscevo un'altra realtà poetica che giorno dopo giorno avrebbe sempre più rapito il mio interesse. Ero soltanto all'inizio: mentre cominciavo a capire e amavo le poesie e le melodie di Jorge Ben, Vinicius de Moraes, Toquinho e altri, in Brasile esplodevano straordinari autori come Djavan e João Bosco, si affermavano idoli nazionali nomi come Veloso e Chico Buarque, si affacciava timidamente la poetica rock dei vari Cazuza, Lobão

Passavo giornate ad ascoltare canzoni restando affascinato dai loro testi. Un Caetano romantico mi apparse con Queixa («Un amore così delicato, tu prendi e disprezzi, non avresti dovuto svegliarlo, ti inginocchi e non preghi, di questa cosa che incute timore, per la sua grandezza, non sono l'unico ad essere incolpato, di questo ne ho la certezza»), l'ermetico Djavan con Sina («Il chiaro di luna, la stella di mare, il sole, il dono, chissà un giorno la furia di questo fronte, verrà a scolpire il sogno per generare il suono, come vorrei caetaneare ciò che c'è di buono»), Petala («Per essere esatto l'amore non entra in se stesso, per essere magico l'amore si svela, per essere amore, invade e finisce») e Açai dell'album Luz, che in quella estate brasiliana del 1982, spopolava. Più di una volta feci la figura del fan ridicolo quando ebbi la fortuna di frequentare questi artisti in feste private e chiedevo loro spiegazioni sui loro testi! Spero che successivamente mi abbiano perdonato e soprattutto compreso: ero semplicemente innamorato di queste loro bellissime poesie e avrei voluto chiedere loro come erano nate, a chi si ispiravano. 

La magia e la bellezza del Brasile così spontaneamente amato da tanta gente in tutto il mondo, non si limita alle sue spiagge, alla ricchezza del suo sottosuolo, alla grandezza del territorio e al carattere della sua gente. Si ama il Brasile anche e soprattutto per il suo straordinario patrimonio culturale, per Carlos Drummond de Andrade, Manoel Bandiera, Villa Lobos, Oscar Niemayer, Jorge Amado e tante altre straordinarie figure del mondo dell'arte e della cultura. Noi che amiamo la musica ci identifichiamo in questo paese quando leggiamo ciò che è stato scritto dai loro autori musicali rendendo complete le bellissime melodie di cui sono capaci. Vinicius de Moraes e Tom Jobim, su tutti, con la loro Garota de Ipanema, una canzone dal testo così semplice eppure così perfetto, ogni parola con il suo giusto suono ed al suo posto, sottobraccio alla melodia per creare un'opera impeccabile, una delle canzoni più eseguite al mondo, un classico della musica pop mondiale che comunica sentimento e amore in un linguaggio universale. 

Quando regaliamo ad una persona cara un cd di musica brasiliana, quando presentiamo in radio una canzone spiegandone con amore il contenuto e soprattutto quando traduciamo un testo dal portoghese in italiano, apriamo la porta di un mondo che noi italiani, che ci sentiamo così romantici, comprendiamo bene: il mondo ha sempre più bisogno di belle parole. Che ci descrivano orrori oppure grandi passioni, le canzoni sono un importante codice comunicativo del vivere contemporaneo; restano impresse per questa magica unione fra testo e melodia e accompagnano tutta la nostra esistenza scandendola con i ritmi più seducenti. Ci ricordiamo di un amore o di una estate trascorsa, così come di un brutto periodo sofferto, abbinandolo ad una canzone e quindi a delle parole tante volte ascoltate e cantate. A volte basta soltanto lasciarsi andare per capirne la bellezza: come dice il poeta Chico Buarque: «Parola buona, non per farne della letteratura, parola, per abitare a fondo il cuore del pensiero, parola...».