Dal Portogallo al Futuro

L’architettura è oggi considerata la più interessante espressione artistica
del  Brasile.  Ne parliamo  con  Elisabetta Romano,  architetto  e  docente

 

di Silvia Zingaropoli

 

 

    Incantevoli giardini, edifici avveniristici, quartieri barocchi; spazi sconfinati e metropoli ultramoderne. Specchio di una realtà molto spesso contraddittoria, l’architettura brasiliana riflette l’essenza stessa di questa straordinaria parte del mondo, dove elementi architettonici portoghesi ed italiani si fondono e convivono con elementi francesi e tedeschi, adattati alle esigenze del clima tropicale: da questa commistione di influenze nasce una forma d’arte unica al mondo. Oggi l’architettura è considerata la più interessante e caratteristica espressione artistica del Brasile: a partire dalla seconda metà del secolo scorso, gli architetti brasiliani hanno elaborato un proprio stile allontanandosi dai modelli europei ai quali, fino ad allora, si erano ispirati. La capitale del paese, Brasilia, ne è uno degli esempi più stupefacenti: costruita in soli tre anni (dal 1957 al 1960) da milioni di contadini che si alternavano al lavoro ventiquattro ore su ventiquattro, fu progettata dall’urbanista Lúcio Costa, l’architetto Oscar Niemeyer e dal paesaggista Burle Marx.

Questa titanica impresa rientrava in quel piano di emancipazione nazionale che investì con la sua ventata di euforia il Brasile degli Anni ’50. Ne parliamo con Elisabetta Romano - di origini romane ma trapiantata in Brasile dal 1973, docente presso la Faculdade de Arquitectura e Urbanismo dell’Universidade de São Paulo e direttrice della Archigraph Projetos e Planeamento della stessa città - che ci accompagna in questo splendido – ed al contempo sorprendente - viaggio nell’universo architettonico brasiliano. 

 

Viaggio che come punto di partenza ha il Portogallo, poiché l’architettura coloniale brasiliana s’ispira a quella portoghese, adattata alle esigenze del clima tropicale: questo è ciò che, ad esempio, si può osservare ad Ouro Preto, capitale del barocco brasiliano…

«Nei 500 anni di vita del Brasile, l´architettura brasiliana è stata fortemente influenzata da tecnologie e soluzioni spaziali ispirate ad esempi provenienti dall’estero, che possono essere analizzati secondo tre cicli principali. Il primo periodo corrisponde alla fase coloniale quando il Brasile, fortemente legato al Portogallo da vincoli
commerciali ed economici, divenne capitale del Regno accogliendo non soltanto la corte, ma tutto lo stuolo di intellettuali e di mano d´opera specializzata che seguì, a ruota, il corteo reale. L´auge di questo periodo sono i meravigliosi esempi d’architettura barocca, inscritti nelle chiese di Salvador (che fu per un breve periodo capitale della colonia) nelle fortezze, nei conventi e nei palazzi signorili costruiti nei principali centri lungo la costa, e soprattutto nello stato di Minas Gerais, nel cuore del continente, da dove erano estratte le principali ricchezze provenienti dalle miniere di diamanti e pietre semi preziose (da cui, per l´appunto il nome Minas Gerais) e dall´abbondante oro estratto nella regione intorno ad Ouro Preto (in italiano, oro nero). Fu in questo contesto che lavorò incessantemente l´architetto e scultore (figlio di schiavi e handicappato) Alejadinho, autore di scenografie barocche armoniosamente inserite nell´ambiente naturale, come è il caso della meravigliosa scalinata di Congonhas do Campo con le statue dei profeti che si stagliano austere contro un cielo azzurro profondo, punteggiato da nuvole barocche».

Quanto ha influito l’architettura italiana nella fisionomia delle metropoli brasiliane?

«Durante il secondo periodo, che puó essere associato dalla proclamazione della Repubblica fino all’inizio del ciclo dell’industrializzazione, l’architettura brasiliana fu notevolmente influenzata dal resto d’Europa, soprattutto grazie ai flussi migratori che popolarono, principalmente gli stati del sud, con numerosi contingenti d’italiani, spagnoli e tedeschi, che fecero del Brasile fissa dimora, crescendo e prosperando e lasciandovi forti impronte culturali. Nella città di São Paulo, in particolar modo la colonia italiana fu responsabile della costruzione di vasti complessi industriali, ville operaie ed abitazioni borghesi che non solo apportarono novità costruttive, ma modificarono profondamente gli stessi concetti di urbanizzazione e di occupazione dello spazio urbano. Anche l´architettura ufficiale, tradotta nei palazzi governativi, nelle chiese, nei musei e nei complessi culturali, ricevette dalla mano d´opera italiana un grande contributo poiché falegnami, stuccatori, fabbri italiani erano molto stimati e ricercati. Esempio di questo le opere dell´architetto Ramos de Azevedo, che nonostante fosse di origine portoghese, molto attinse da modelli italiani come si può notare nei progetti del Teatro Municipal, del Museo do Ipiranga e di tanti altri esempi di quello che fu il ciclo neo-classico ed eclettico del´architettura brasiliana».

Forse non tutti sanno che Brasilia fu progettata ex-novo dall’architetto Oscar Niemeyer, l’urbanista Lucio Costa e il paesaggista Burle Marx, e venne costruita in soli tre anni, dal 1957 al 1960, da milioni di contadini poveri che si alternavano al lavoro ventiquattro ore su ventiquattro. C’è chi dice però che questo ambizioso progetto abbia dato come risultato una città invivibile, caratterizzata dalle enormi distanze. Condivide questa considerazione?

«Negli anni ‘50 il Brasile entrò in pieno nel processo d’industrializzazione, grazie soprattutto al grande impulso dell’ industria automobilistica, che ebbe a capo il presidente sognatore, Juscelino Kubitcheck, lo stesso che nel 1957 diede inizio alla costruzione di Brasilia: era un piano
di sviluppo nazionale e di affermazione internazionale che poco a poco veniva messo in atto, togliendo il Brasile dall´anonimato e lanciandolo sul piano mondiale come un esempio di modernitá e di rapide conquiste. Fu in questo periodo che lo slogan “cinquant´anni in cinque” si affermó come motivo di orgoglio di un paese che cresceva a vista d´occhio, purtroppo senza indagare nelle profonde lacune che lasciava alle sue spalle e soprattutto ignorando lo spettro dell´inflazione, che non avrebbe abbandonato il panorama economico brasiliano nelle quattro decadi successive. Ma, nonostante l´elevato costo, Brasilia fu un successo. Per la prima volta il paese era palco di un dibattito internazionale, personalitá come Le Courbusier e Frank Loyd Wright vennero in visita in Brasile, fomentando lo sviluppo di un’architettura moderna, razionale sì, ma anche inspirata alle curve del Barocco, che non l´abbandonarono mai, come ne è di esempio l´architettura di Oscar Niemeyer». 

Oscar Niemeyer, uno dei più grandi architetti del nostro tempo ha affermato: “Non è l’angolo retto che mi attrae e nemmeno la linea retta, dura, inflessibile, creata dall’uomo. Ciò che mi attrae è la curva libera e sensuale. La curva che incontro nelle montagne del mio paese, nella donna preferita, nelle nuvole del cielo e nelle onde del mare. Di curve è fatto tutto l’universo. L’universo curvo di Einstein.” Questa “filosofia architettonica” è riscontrabile nelle opere di Niemeyer?

«Questo architetto è un caso a parte che, giorno dopo giorno, ci propone nuove riflessioni. All’età di 95 anni Oscar Niemeyer è in piena attività professionale ed intellettuale. Comunista convinto soffrì, come tutti gli altri compagni, durante il lungo silenzio imposto dalla dittatura. Ma questo fu per lui spunto per vedersi lanciato in ambito internazionale, autore di notevoli opere d’architettura in Francia (sede del partito Comunista a Parigi), in Italia (sede della Mondadori) ed in Africa, dove lavorò incessantemente fino a che i tempi non cambiarono nel suo paese d’origine. Oggi, come se dovesse recuperare il tempo perduto, Niemeyer è sulla ribalta, partecipa ad interviste, scrive articoli sui giornali, apre il suo studio ai giornalisti di tutto il mondo, progetta nuovi complessi, ristruttura e modernizza quelli che, come Brasilia, già sentono il peso degli anni. Un uomo basso, dalla fisionomia chiusa e dallo sguardo severo, Niemeyer oggi sembra quasi un mago, l´unico superstite di quel miracolo, che non si è compiuto, ma forse anche, fedele testimone di quello stesso miracolo che oggi, più di prima, a tutti noi che viviamo in questo meraviglioso paese, ci sembra non solo possibile ma, direi, quasi invitante».

Roberto Burle Marx, artista estremamente versatile, è stato uno dei più grandi paesaggisti del nostro secolo. In cosa consiste, secondo lei, la sua grandezza?

«Se Oscar Niemeyer sembra un mago, Burle Marx lo era di sicuro. Iniziando dalla sua folta capigliatura bianca, dalla sua figura fiabesca e dal suo profondo amore per la natura, fu lui che trasformò il concetto del paesaggismo non solo
nell´architettura brasiliana, ma direi in quella mondiale. Recluso nella sua magica tenuta nei dintorni di Rio de Janeiro, Burle Marx non fu solo l´autore di progetti paesaggistici di bellezza travolgente, ma fu un profondo studioso e protettore della flora tropicale, un modello per i movimenti di preservazione che sarebbero sorti in tutto il mondo negli anni seguenti, ma soprattutto fu un maestro, un formatore di nuove leve, un appassionato incentivatore di nuovi talenti. La sua influenza e la sua creatività sono tuttora presenti nei progetti che vengono impiantati dagli architetti attuali, l´uso delle policrome pietre (mosaico português) che formano disegni geometrici, liberi e snodati, la presenza di piante native come palme, bromelie, orchidee e persino vittorie regie e igarapés sono stati definitivamente incorporati nel linguaggio del paesaggismo brasiliano, incorporandone la ricchezza e la diversità delle specie biologiche presenti nella nostra flora».

Oggi l’architettura è considerata, a livello internazionale, la più caratteristica espressione artistica del Brasile. Secondo lei, quali sono gli elementi che più la contraddistinguono?

«E così arriviamo al terzo periodo d’influenze nell’architettura brasiliana, da me individuato come post-Brasilia, associato agli ultimi quarant´anni di produzione architettonica in Brasile: il “milagre brasileiro” degli anni 70 è purtroppo risultato uno sviluppo sfrenato che, nella foga di vendere un’immagine di modernità e d’efficienza, ha troppo presto incorporato i valori del capitalismo americano, senza indagare sulle conseguenze che questo atteggiamento avrebbe apportato ad un paese ancora così giovane ed inesperto. I modelli provenienti dagli Usa sono stati applicati, senza alcuna analisi critica, traducendosi nel risultato che possiamo vedere ripetuto fino all’esaurimento nei grandi centri urbani: schiere di palazzi rivestiti di vetro dove il clima tropicale ci impone un sole spietato; finestre chiuse ermeticamente a causa dei sistemi di aria condizionata proprio quando ci si dovrebbe aspettare una circolazione d´aria naturale; volumetrie che riproducono in minor scala gli edifici costruiti a New York, Los Angeles e São Francisco; senza parlare dell’uso dei materiali che per “vendere” un’immagine di ricercatezza scarta a priori la bellissima varietà dei graniti brasiliani, imponendo i carissimi marmi stranieri». 

Come definirebbe l’architettura brasiliana contemporanea? 

«A questo punto è mio dovere tener conto delle eccezioni. Mi riferisco ad alcuni architetti - tra i più attivi degli ultimi anni - che hanno saputo svincolarsi da questi modelli americani (inadeguati al nostro ambiente naturale), riuscendo a proporre un’architettura genuinamente brasiliana basata sull’uso dei materiali locali e, soprattutto, rivolta alla soluzione dei principali problemi brasiliani: la salute, l´educazione, l´abitazione popolare.
La mia scelta ricade sui nomi di João Filgueiras e Paulo Mendes da Rocha che non a caso sono stati scelti a Venezia, nella biennale del 2000, come rappresentanti del Brasile. Parlo di due personalità diametralmente opposte: il primo, baiano di nascita, uomo semplice e profondo conoscitore dei problemi della sua terra, ha dedicato e dedica ancora la sua vita alla ricerca di sistemi costruttivi che possono ridurre i costi di costruzione, famoso per i progetti dei suoi ospedali della rete Sara Kubitcheck, che incantano per le soluzioni semplici e innovatrici, oltre a regalarci un´architettura gioiosa e piena di luce. Figlio della cittá di São Paulo il secondo, architetto delle opere firmate come oggetti d´autore, austero nella scelta dei materiali e parco nell’uso del colore. Mendes da Rocha è l’architetto nel senso poetico della parola, l’inventore di spazi inusitati, lo scultore del cemento armato, il sognatore che propone nuove forme di abitare e di convivere, silenzioso e inaccessibile eppure assai presente nella formazione delle nuove leve».

Quali sono le nuove correnti e gli architetti emergenti in Brasile e quali, secondo lei, le opere architettoniche di maggior rilievo in Brasile?

«Non posso concludere questa breve riflessione sull´architettura brasiliana, senza far riferimento ad una esponente della nostra terra italiana: Lina Bo Bardi romana di nascita, appassionata di arte indigena, capace di effettuare una sintesi tra la sua formazione accademica classica e la cultura di un paese che, in un certo modo, ha aiutato a costruire. Arrivata in Brasile negli anni subito dopo la seconda guerra mondiale, ha dedicato la sua intera vita all´architettura e alla sperimentazione. E’ suo il progetto del Museo de arte Moderna di São Paulo (Masp) che incornicia il panorama della cittá di São Paulo; anche suo è il progetto del Sesc Pompéia, ristrutturazione di un complesso edilizio ripristinato come centro culturale. La sua franca spigliatezza nell´associare il moderno all´antico, provocando il dialogo tra i due momenti dell´architettura e non la sua rottura, la sua generosità nell’inventare e la sua quasi infantile curiosità che l’hanno sempre spinta verso l´innovazione, fanno di Lina Bo Bardi una figura quasi mitica nell´architettura brasiliana, paulista in particolare. Amata e idolatrata da alcuni, odiata ed invidiata da altri, ne rimane l´immagine di una figura ermetica e sconcertante che ha saputo assorbire l´influenza della terra scelta come seconda patria, lasciandovi un´impronta indelebile di serietà e di rispetto professionale».

Prova nostalgia dell’Italia?

«Saudade a gente sente… Ciò che aiuta molto è potersi sentire ancora parte di un gruppo di origine, anche se un po’ diversi dagli altri… forse più liberi, meno attaccati alle tradizioni, più aperti ai cambiamenti, ma ancora profondamente italiani».