Recensioni CD

EUMIR DEODATO

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

The Bossa Nova Sessions - Vol.2°

 

TIRA POEIRA

 

 

 

 

 

 

Tira Poeira

 

 

SERGIO SANTOS

 

Africo - Quando o Brasil resolveu cantar

RAPHAEL LABELLO & GUESTS

Mestre Capiba por Raphael Rabello e convidados

 

MARCOS PEREIRA E HAMILTON DE HOLLANDA

Luz das cordas

 

 

 

 

 

 

 


Eumir Deodato "The Bossa Nova Sessions – vol. 2"

IrmaGroup - 2003  

IRMA 510836-2 

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Meritoriamente la Irma Records insiste con le ristampe del primo Deodato, quello degli anni sessanta per intenderci, non la superstar del periodo Jazz/Fusion emigrata negli USA. E anche in questo caso si tratta di una ristampa centrata, estremamente piacevole e deliziosamente vintage. Ci sono brani dei Valle, di Ataulfo Alves, di Luiz Bonfà, di Cartola e Baden Powell, ma anche di Henry Mancini (compreso un omaggio al grande batterista Shelly Manne) e, imprevedibilmente, di Sergio Bardotti (il goliardico “Datemi un martello” noto nell’interpretazione della Pavone!). Gli arrangiamenti sono come sempre ineccepibili, grazie all’elegante understatement dei sontuosi session-men dell’epoca (Dom Um Romao, Raul de Souza, Walter Rosa, Wilson das Neves...) e dal tutto traspira un’aria cool e aggraziata che lascia rimpiangere l’Ipanema dei bei tempi andati, quando la bossa nova era davvero un’onda fresca, moderna ed eccitante. Musica godibile, leggera al punto da sfiorare l’easy listening del piano bar (ma con maggiore classe e consapevolezza armonica), testimonianza di un’epoca di esplorazione timbrica fino ad oggi raramente eguagliata. La limpidezza strumentale e il sapore inconfondibile dell’Hammond di Deodato (ascoltare “Tremendao” per capire) sono una vera festa per le orecchie dei nostalgici, ma anche una scoperta per chi ancora crede che la bossa sia stata solo un tenero sussurro desafinado accompagnato da un soffice violao. E soprattutto per chi è convinto che sia stato solo un gigante americano (Stan Getz) a tradurne i palpiti in linguaggio jazzistico e internazionale. 

(Giangiacomo Gandolfi)

 

 

 

 

 


Tira Poeira "Tira Poeira"

Biscoito Fino - 2003
BF 535

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Ecco un’opera prima che lascerà il segno nella storia dello Choro. La nuova generazione di “choroes” (dopo i Nò em Pingo d’Agua e i Rabo de Lagartixa) raggiunge con questo lavoro vette incredibili di virtuosismo strumentale, senza dimenticare il valore irrinunciabile dell’espressività strumentale e della sensibilità interpretativa. Il menu (sponsorizzato da Guinga e sapidamente approntato dal maestro di cerimonie in studio Paulo Aragao, il direttore del Quartetto Mahogany per capirci) è letteralmente da urlo: mai si era sentita una formazione così classica (chitarra, mandolino, sax, chitarra a sette corde e pandeiro) riformulare in modo così moderno il verbo dello choro, integrando senza forzature accenti jazzistici e contrappunti tipicamente brasiliani. Fino a produrre una musica di straordinaria complessità e trascinante impatto ritmico, lontana dagli stereotipi etnomusicologici quanto dall’elettrificazione a tutti i costi. Non si tratta insomma del solito “back to the roots” dopo l’ubriacatura di “guitarras” e bassi slap (peraltro eccelsi nei gruppi precedentemente citati), ma di una ricerca di modernità quasi introspettiva, che parte dall’interno del genere per arrivare a un globalismo sonoro di inedita maturità interpretativa, senza sfiorare gli stilemi del meticciato stilistico. Un ripiegarsi all’interno della scuola del choro per ritrovarvi il motore pulsante di un linguaggio senza frontiere, naturalmente in bilico tra America, Africa ed Europa. I sei musicisti sono tutti dotati, senza esclusione, di una tecnica mostruosa e di un controllo delle dinamiche d’ensemble che ha del paranormale: il sax di De Oliveira passa dai miagolii malinconici di un Abel Ferreira alla passionalità gelida di un Coltrane al gorgoglio free di un Albert Ayler, la chitarra di Caio Marcio discetta elegantemente con una pulizia degna appunto del Mahogany, Lentino cava dal suo strumento l’atavica purezza di un Jacob do Bandolim o di un Joel Nascimento. Il sobrio ed energico pandeiro di Krakowski traina alla perfezione i cambi di tempo mentre Fabio Nin arpeggia come un Rafael Rabello redivivo e indemoniato. Resta da segnalare la gradevole presenza di tre giovani cantanti impegnati nel rispolverare il repertorio più classico del samba-choro cantato (Mariana Bernardes con Noel Rosa, Pedro Miranda con Cartola e Teresa Cristina con Nelson Cavaquinho), per dare una sia pur pallida idea dell’immenso livello qualitativo di questo nuovo progetto carioca dell’ottima etichetta Biscoito Fino. Imperdibile. 

(Giangiacomo Gandolfi)

 

 

 

Sergio Santos: Africo – Quando o Brasil resolveu cantar
Biscoito Fino / Kuarup -  2002 - 53’37”  
BF508

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Sergio Santos, con soli due dischi, Aboio (1995) e Mulato (1999), si è rivelato come uno dei più raffinati autori della Mpb. In ambedue le precedenti prove discografiche, i testi erano opera di Paulo Cesar Pinheiro, così come in questo ultimo lavoro, che però ha un’origine un po’ diversa. Nel 2000, Pcp pubblicò un volume di poesie intitolato Atabaques, Violas e Bambus, in cui i tre strumenti evocavano simbolicamente le tre radici della cultura brasiliana: la negra, l’europea e l’indigena. Il tema non è certamente nuovo per il compagno di Clara Nunes, a partire proprio dal celeberrimo “Canto das tres raças”. Subito dopo la pubblicazione del libro, Pcp riprese a comporre musica assieme ai suoi due collaboratori più stabili, Mario Gil e Sergio Santos. Con Gil, in dischi come Contos Do Mar, sviluppò maggiormente la radice indigena di cui sopra, mentre con Sergio Santos si occupò di distillare l’aroma africano, seppure non volendo intenzionalmente ispirarsi direttamente al libro. Partendo per una volta dall’esame dei testi, il disco contiene un grande numero di parole di origine Yoruba o Nagò, che si adattano come un guanto ai tanti ritmi che contengono, spesso intersecati nei vari brani: congado, catopé, maracatù, côco, ciranda, etc.. Il disco è prodotto con grande eleganza da Rodolfo Stroeter, per un’etichetta che temo avere già esaurito l’attività, la eccellente Biscoito Fino di Rio, e i musicisti che accompagnano il progetto sono i migliori fichi del biconcio: Tutty Moreno, Marcos Suzano, Joyce, Teco Cardoso, Olivia Hime, Lenine, etc.. Inutile fare un’analisi dei singoli brani, perché mai come in questo caso il progetto ha una forza espressiva e concettuale che si apprezza ascoltandolo ripetutamente per intero. 

(Mauro Montalbani)

 

 

 

Raphael Rabello & Guests - Mestre Capiba por Raphael Rabello e convidados
Acari Records/BMG - 2002 - 56’02”
7432197168-2

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Il grande compositore nordestino Lourenço da Fonseca Barbosa (1904-1997), al secolo Mestre Capiba, è il destinatario dell’omaggio costituito da questo disco, cui stava lavorando Raphael Rabello poco prima che quest’ultimo morisse, nel 1995. Rabello considerava Capiba il Dorival Caymmi del Pernambuco, e per questo disco chiamò a sé tutti i mostri sacri della MPB. Il risultato è eccellente, e non è un’osservazione scontata, e il disco è un acquisto obbligatorio. Raphael Rabello, dicono le note di copertina, era un perfezionista, ma mai come in questo ultimo disco, in cui era per la prima volta anche produttore e arrangiatore, si coinvolse a livello emotivo, fisico ed estetico. Il risultato è a portata delle nostre orecchie, sotto cui sfilano Chico Buarque con “Recife, cidade lendaria”, Paulinho da Viola con la notissima “Valsa verde”, ripresa poi una seconda volta in versione puramente strumentale da Raphael, per tacer di Gal Costa ai suoi massimi in “Resto de saudade”, e così via. I musicisti sono tutti all’altezza di un progetto simile, e al piano troviamo, per esempio, Francis Hime, mentre la batteria è appannaggio del nostro amatissimo Wilson Das Neves. Aggiungiamo due ultime notazioni, per concludere. Nel brano “Sino, claro sino”, Raphael Rabello si cimentò per la prima volta anche al canto, amorevolmente accompagnato da Milton Nascimento, mentre il pot-pourri di frevos che chiude il disco è cantato da Claudionor Germano, interprete preferito da Capiba stesso, quasi a dare una continuità artistica a tutto il progetto. Se una recensione musicale ha una funzione, e non è quella di dare un senso che sia sostitutivo dell’ascolto, è fare sì che questo disco plani nella vostra discoteca. Ascoltate “Olinda, cidade eterna” cantata da Caetano Veloso, e poi sarete d’accordo. Inutile aggiungere che raramente si era sentito suonare, ovunque nel mondo, una chitarra ai livelli di Raphael Rabello in questo disco, per esattezza di tocco, comunicativa e passionalità.

(Mauro Montalbani)

 

Marco Pereira & Hamilton de Hollanda: Luz das cordas
Nucleo Contemporaneo 2000, 54’14”  
BF508

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Ecco un disco che farà la felicità di chi ama particolarmente la chitarra e il bandolim. Marco Pereira e Hamilton de Hollanda, due virtuosi al servizio di un progetto, offrono con questo disco, uscito nel 2000 per un’etichetta indipendente, un assaggio del loro enorme talento. Si ascolti, ad esempio, una tra le migliori versioni degli ultimi tempi di “1x0”, incalzante e melodica ad un tempo, così come la seguente “Lamentos do Morro” (#4), di Garoto, che inizia molto incalzante ma che si apre mano a mano che si prosegue a uno swing che potrebbe ricordare la lezione di Django Reinhardt, almeno come attitudine. Non per niente Marco Pereira ha vissuto in Francia per un lungo periodo, come raccontava ai lettori di Musibrasil in una recente intervista. Non mancano gli omaggi a Luiz Gonzaga e Ary Barroso, che ricevono un arrangiamento molto rispettoso benché originale, così come la versione di “50 anos”, strumentale come tutto il resto del disco, che perde le liriche di Aldir Blanc ma guadagna uno sviluppo romantico e raffinato della linea melodica, con il bandolim a fare da guida e la chitarra di Marco Pereira in sopraffino accompagnamento. Aggiungiamo infine che la chimica del duo pare essere eccellente, e avremo occasione di verificarlo approfittando della tournée che comincerà il 15 novembre da Genova-Voltri.

(Mauro Montalbani)