«L'amore è assenza di ingorghi»

Intervista a João Bosco alla vigilia del suo tour europeo
Sarà anche in Italia per due concerti a Milano e Roma

 

di Francesca Casciuolo

 



(em portugues)
     


   
Compositore, musicista e interprete tra i più apprezzati non solo in Brasile ma anche sulla scena internazionale, João Bosco ha raggiunto i trent’anni di carriera che festeggia con l'uscita di un nuovo cd (Malabaristas do Sinal Vermelho), una tournée europea (con inizio da Milano il prossimo 12 ottobre e tappa a Roma il successivo 21) e un cofanetto comprendente tre cd e che riassume il suo lungo percorso musicale. Quest'ultimo fa parte della celebrata collezione di songbook editi dalla Lumiar del compianto Almir Chediak, e include 131 testi raccolti su tre libri e 46 brani interpretati, tra l'altro, da Chico Buarque, Lenine, Djavan, Milton Nascimento, Gilberto Gil, Edu Lobo e anche il giornalista e paroliere Aldir Blanc, con il quale Bosco ha condiviso gran parte della propria carriera artistica.
Alla vigilia del suo arrivo in Italia, meta spesso presente nei suoi tour europei, lo abbiamo avvicinato per una approfondita intervista che dà modo ai suoi numerosi estimatori italiani di conoscere più approfonditamente l'uomo e il musicista.  

A dodici anni, con una chitarra verde e con l’orecchio già allenato, lei ha iniziato ad avvicinarsi alla musica. Ma quando é scaturito l’amore per la composizione? 

«È stato nella città di Ouro Preto, quando, nel 1967 ho conosciuto il poeta Vinícius de Moraes, ospite di un albergo cittadino. In quell’occasione, composi all'incirca quattro pezzi. Soltanto dopo la nascita di quest’amicizia iniziai a prendere sul serio la composizione musicale. Sono molto grato a Vinícius per i suoi consigli e per tutto il resto che mi ha insegnato».  

Perché lei usa tanti vocalismi, si tratta di un’ispirazione giuntale dalla musica polifonica di più di 500 anni fa? 

«Sinceramente, non lo so! Per me è sempre stato un piacere ascoltare le “tribù” all’interno delle mie musiche, principalmente in quelle più “negre”. Quando sono al lavoro e mentre le mie composizioni sono allo stato nascente, ascolto queste voci e cerco di riprodurle nello studio di registrazione».  

Spesso, nelle sue canzoni, si trovano ritmi africani, come ad esempio quelli del candomblé, oltre a temi riguardanti la negritudine. Si sente un po’ africano di cuore? Qual è la sua fede, il suo credo? 

«Beh, secondo me questa è una questione intimamente legata al mio paese, alla sua eredità culturale. Sono nato in una città dello stato di Minas Gerais, dove c’erano tanti coltivatori di canna da zucchero, la cui mano d’opera era composta dal popolo negro. Di domenica, ascoltavo le loro congadas[1] e una grande allegria mi pervadeva. Ho avuto una tata nera chiamata Margarida, che chiamavo Ata (forse una qualche attinenza inconscia con l’acqua), e quando mi sono trasferito a Rio de Janeiro, subito mi avvicinai a Clementina de Jesus[2], che ha fatto sbocciare in me tutto quanto era addormentato nel mio intimo. Sono molto grato ai santi per avermi condotto a lei. Quanto al mio credo, siccome il Brasile è il paese del sincretismo religioso per eccellenza, quando si chiede a un brasiliano della sua fede e del suo credo, lui subito risponde: sono brasiliano!».

Come mai quest’interesse per le composizioni internazionali, di cui lei dà una lettura molto personale? 

«Sono cresciuto ascoltando un po’ di tutto, perché mi piaceva frequentare la stazione radio della mia città natale. Ero molto amico dei programmatori e li ho aiutati a mettere in onda la Zyr-2 Radio Sociedade de Ponte Nova. Frequentavo i programmi di auditorio ed ero molto concentrato su tutto quel che succedeva nella mia città in termini musicali. Ho partecipato a tutti i tipi di manifestazioni musicali: la musica africana, quella caraibica, americana, spagnola, portoghese, e altre. Ero attento soltanto a ciò che mi suscitava emozione».

Lei ha interpretato le canzoni di tanti compositori brasiliani e non. C’è un desiderio in fondo al cassetto, in questo senso, le manca qualcuno nella lista, e per quali ragioni? 

«Sento che quando un compositore o una canzone restano impressi in me, sono capace di farne una lettura con personalità. Ho il desiderio di interpretare tante canzoni. Faccio progetti che a volte non riesco a realizzare. Ho sempre creduto che la mia musica provenga anche dal cantare “l’altro”; dunque, per me è molto importante cantare la musica di qualcun altro, ovunque esso sia».

Come nacque "O Bêbado e a Equilibrista" in un contesto nazionale così pressante di dittatura militare? 

«Beh, credo che la musica nasca anche da tutto ciò, vero? Ma quello che mi emoziona è il modo in cui Elis Regina ha “difeso” questa canzone. Non ho mai visto niente di simile e penso sarà difficile rivivere un momento magico come quello».

Che ricordi ha di Elis Regina? Qualche composizione è stata pensata e composta specificamente per lei?

«Dalla prima canzone che lei ha inciso, tutte le altre furono pensate e fatte per lei. È stato un privilegio esserle vicino, esserle amico e, soprattutto, essere cantato da lei».

Come vede il futuro della musica brasiliana? 

«La musica brasiliana avrà sempre un futuro, sia per la tradizione che porta in grembo, sia per la sua capacità antropofaga. Il passato ed il presente parlano per tutti».
  
Lei è già stato diverse volte in Italia. Cosa pensa del suo pubblico? 

«Sì, ci sono stato varie volte. Amo presentarmi da voi perché mi sento un po’ “di casa”. In Brasile si dice che molte somiglianze uniscono i due popoli. L’Italia è un paese meraviglioso, con una storia da “riempire gli occhi”. E la culinaria, allora? Persino in Giappone è motivo di apprezzamento. Viva l’Italia!».

C’è un sito storico oppure archeologico italiano nel quale le piacerebbe tenere un concerto? 

«Ogni luogo in Italia è speciale, e non soltanto quelli che già esistono, ma anche quelli che “scopriremo” presto».

Percepisce qualche differenza di sintonia, ci sono dei feeling particolarmente caratteristici fra il pubblico di diverse nazionalità a cui si presenta?

«La musica è già incaricata di creare buona parte dell’atmosfera con la sua magia. Io credo molto in ciò».

Nel brano “Na Equina”, dice: “quando falam do passado me sinto louco a delirar...” A cosa si riferisce, esattamente?

«Francisco (il testo è stato composto da suo figlio, ndr) dice che qualsiasi poema, brano musicale, romanzo, si impossessa della vita privata come materia prima, la rifrange e la distorce esteticamente, per produrre l’effetto che si cerca, ovvero per catturare la vita nel testo e, così, poi poterla trasmettere. Lui preferisce non attribuire un senso specifico, intenzionale a quello che scrive; che sia il lettore a creare la propria visione».

Nel brano “Mama Palavra”, lei fai un gioco di parole che riflette una determinata realtà sociale. Come è cambiato il Brasile, dalla fine ufficiale della dittatura militare a oggi? 

«Il Brasile vuole cambiare, ma è cosciente di tutti i suoi problemi sorti tanto tempo fa. Perciò i cambiamenti verranno, sì, ma lentamente».
  
Il cieco Julião di una sua canzone, esiste per davvero? Se sì, può raccontarci qualcosa di lui? 

«Questa canzone illustra momenti della mia infanzia nel Minas Gerais. Nel raccontare queste storie al mio compagno di lavoro (Francisco Bosco, ndr), lui le ha trasformate in parole».
  
Sul suo sito internet, si legge: “… far in modo che le canzoni riescano a trasmettere qualcosa circa l’esperienza storica che stiamo vivendo”. Con riferimento al suo ultimo cd “Malabaristas do Sinal Vermelho”, potrebbe dirci qualcosa in merito? 

«È molto difficile “parlare” di un cd. Mi farebbe piacere se voi lo ascoltaste, così si potrà comprendere quest’esperienza».

Come vede lo “stato di salute” del nostro pianeta in questo nuovo millennio: terroristi invisibili e onnipresenti, guerre preventive, nuove forme di schiavitù, e via dicendo? 

«Sono un po’ scettico riguardo al futuro prossimo venturo. Penso che questo stato d’animo rispecchi il dolore che la gente veramente sente e di cui, purtroppo, i mezzi di comunicazione non parlano».

Qual è la spinta, il mistero, la magia, che le ha permesso di arrivare a trent’anni di carriera con serietà verso la musica e professionalità e rispetto verso se stesso e il suo pubblico? 

«Penso che la scuola di ingegneria mi abbia fornito qualche virtù, come il metodo e la disciplina. Anzi, persino chi “vuole essere disorganizzato” deve possedere queste caratteristiche, altrimenti non va lontano».

Può illustrarci il più bel momento e quello più triste di questi trent’anni?

«Il momento più bello è stato l’arrivo a Rio de Janeiro nel 1967. Non avevo mai visto il mare, lo avevo soltanto “sentito” nelle canzoni di Tom Jobim e Vinícius de Moraes. È stato come “vedere” cinematograficamente la bossa nova. È stata la “cosa più bella e piena di grazia” (citazione dal brano “A Garota de Ipanema”, ndr). Il più triste è stato la morte di Elis Regina, proprio nel momento in cui lei desiderava fortemente cambiare la sua carriera. Mi ricordo sempre di lei».

Come è nato l’ultimo suo songbook, lanciato proprio ieri, il 9 settembre, in Brasile? 

«E' stata un’idea del produttore Almir Chediak (mentre risponde a queste domande, Bosco sta ascoltando il songbook di Noel Rosa, ndr), brutalmente assassinato quest’anno. È dal 1989 che lavoriamo a questo progetto e circa due anni fa abbiamo deciso di realizzarlo. È molto triste non avere Almir con noi, per celebrare insieme quest’altro lavoro».

Quali sono i suoi programmi futuri? 

«Sono tanti: incontri con musicisti meravigliosi, un disco negli Usa nell'aprile prossimo, spettacoli qua e là. Sono gli incerti del mestiere di un compositore in pieno esercizio...».
  
Per finire e riprendendo il concetto di “Na Esquina”, l'amore, questo corpo unico, indivisibile, ma pieno di angoli e ostacoli, come lo definisce, che colori usa per dipingerlo, che forma scultorea, architettonica gli dà? 

«Su questo tema potremmo parlare per ore. Intanto, oggi, qui e ora, mi viene in mente che l’amore sia, di fatto, è l’assenza di ingorghi». 
  
  

  
Note: 

[1] Congada = ballo drammatico, in cui i figuranti rappresentano, tra canti e danze, l’incoronamento di un re del Congo.

[2] Per informazioni su Clementina de Jesus, consultare il link I Musicisti, di Musibrasil.

Biografia di João Bosco - a cura di Francesca Casciuolo

João Bosco de Freitas Mucci, di origine libanese, nasce il 13 luglio 1946 a Ponte Nova, una cittadina dello stato di Minas Gerais. La madre suonava il violino ed una delle sorelle il piano. Quest’ultima, avendo ricevuto per regalo una chitarra verde, la regalò al fratello che allora aveva dodici anni. João, con l’orecchio già allenato alla musica suonata da queste donne della famiglia, impara a suonare la chitarra da autodidatta. Inizia così la sua carriera da gran musicista. Insieme ad amici della città natale, crea il gruppo rock “X-Gare”. In quell’epoca, però, il gruppo affronta un ostacolo tecnologico in quasi tutti i locali dove suona: non c’é l’elettricità! Dunque, gli spettacoli vanno avanti grazie a una chitarra acustica, maracas, batteria e la sua chitarra verde. Nel 1962 si trasferisce a Ouro Preto (oggi, città patrimonio dell’umanità) e nel 1972 si laurea in ingegneria civile. Durante questi anni, la sera frequenta i locali alla ricerca di nuovi generi musicali, scoprendo il jazz, la bossa nova ed il tropicalismo. Conosce Tom Jobim, João Gilberto, Baden Powell e Vinícius de Moraes; quest’ultimo lo incoraggia e insieme compongono dei brani. Nel 1971 inizia a trascorrere le ferie a Rio de Janeiro, frequentando musicisti e poeti. E' lì che conosce il suo futuro amico e collega col quale comporrà un centinaio di brani: Aldir Blanc Mendes. Nato anche lui nel 1946, a Rio de Janeiro, studia psichiatria. Aldir compone i testi e João li musica.

Nel 1972 incidono "Agnus sei", all’interno del progetto Pasquim, un tabloid di pubblicazione a livello nazionale. Il disco si rivela un vero successo e la coppia Aldir-João decide di prendere contatto con la famosa ed insuperata interprete Elis Regina. Così si esprime Elis: «Ho sempre pensato che la funzione di un artista fosse di illustrare la sua epoca con la massima sincerità possibile, ed è esattamente quello che João e Aldir fanno: un’opera pensata, tal quale deve essere un lavoro maturo. Poco prima di conoscerli, ero stanca e pensavo di lasciare la carriera di interprete, ma dopo le nostre lunghe chiacchierate, è nato uno dei lavori più importanti della mia vita professionale: lo spettacolo "Falso Brillante"». Inoltre, Elis porta alla luce l’eccezionale "O Bêbado e o Equilibrista" (L’ubriaco e l’equilibrista), che diventa l’inno del movimento politico per l’amnistia. 

Nel 1973, João lavora in un ufficio tecnico e Aldir apre uno studio medico, ma capiscono che non è possibile conciliare il loro lavoro con la musica e, dunque, decidono di dedicarsi esclusivamente all’attività artistica. A causa di questa convivenza quotidiana, João diventa ogni giorno più carioca e Aldir più mineiro. Il lavoro acustico e poetico-sociale della coppia è un crescendo, e nel 1975 arriva il successo con "Dois prá lá, dois prá cá" e "Kid Cavaquinho". È da rilevare che i due rimangono al di là di qualsiasi genere musicale, poiché la ricerca in quell’ambito li spinge sempre all’innovazione, per recepire il meglio della musicalità da dovunque essa provenga, mescolando i ritmi per creare un oceano di vibrazioni e bellezze.

Il pianista César Camargo Mariano, autore di vari arrangiamenti per le musiche interpretate da Elis Regina, così definisce João: «È di una fertilità e di una così gran ricchezza, che non è possibile prevedere quel che creerà domani». Negli Anni ’70 i diritti d’autore erano cosa rara, così, la coppia decide di creare una società che informi gli autori sui loro diritti (Sombras – Società musicale brasiliana), fornendo tutela giuridica e cercando di integrare artisti famosi ad illustri sconosciuti. La Sombras ha dato i suoi frutti, con la creazione da parte del governo, del Consiglio nazionale per i diritti d’autore. Secondo Aldir, «il musicista non è un essere etereo e bohemienne, ma un lavoratore che lotta per i suoi mezzi di sussistenza».

Il primo spettacolo europeo di João si tiene nel 1983, al Montreaux Festival, in Svizzera, quando, nella notte dedicata al Brasile, si presenta insieme a Caetano Veloso e Ney Matogrosso. Da quel momento in poi, ogni anno si presenta in Europa e negli Stati Uniti. Nel 1997, lancia il cd "As mil e uma aldeias" (Mille ed un paese), ispirato dalle sue radici arabe, nel quale debutta come compositore il figlio Francisco Bosco. Oggi, a 26 anni d’età, Francisco è laureato in Scienze della comunicazione e letteratura brasiliana ed ha già scritto tre libri. E definito dal padre «un poeta». L’anno seguente, partecipa all'incisione del cd "Benguelê", che è la colonna sonora del gruppo di ballo brasiliano Grupo Corpo.

Nel 2000, padre e figlio lanciano il cd "Na Esquina" (All’angolo della strada). João definisce così il titolo del cd e della relativa canzone: «Na esquina, perché è quello il posto adatto per il tipo di artista che sono; un posto indefinito, giacché non è il risultato di un singolo percorso. Penso che questo abbia a che fare con il fatto di essere brasiliano, poiché la nostra cultura ha origine dalla convergenza di tante strade differenti». Le foto presenti nel cd illustrano gli angoli del corpo: gomiti, braccia piegate, mani, ginocchia. Il corpo, un elemento unico ma pieno di angoli. "Na Esquina" mescola con raffinati arrangiamenti una ventina di ritmi musicali diversi, tra cui: bolero, calypso, frevo, funk, jazz cubano, rap, reggae, ritmi africani, rumba, vari stili del samba.

Nell’ultimo disco, "Malabaristas do Sinal Vermelho" (Giocolieri al semaforo rosso), tutti i brani sono firmati da padre e figlio, ed esce in concomitanza dei trent’anni di carriera di João. Il titolo è riferito ai giochi di prestigio con palline da tennis fatti dai ragazzi di strada agli incroci quando il semaforo è rosso per procurarsi qualche spicciolo. La scelta di questo frammento del quotidiano, spiega Francisco Bosco, «è perché sintetizza in un’unica scena, concreta e brutale, gli aspetti più caratteristici del conflitto sociale senza tregua che esiste a Rio de Janeiro. I ragazzi, dopo aver fatto la loro esibizione, si trovano davanti ad un finestrino chiuso. Il vetro separa, dichiara il muro sociale, però questo muro è trasparente e contraddittorio, perché attraverso di esso il ragazzo ha accesso alla propria immagine, riconoscendo la sua marginalità allo specchio che, in verità, è lo sguardo dell’altro. E' necessario prendere la distanza da quest’immagine, toglierla dal reale, per rendere visibile il senso che la sostiene. La rappresentazione è necessaria per sperimentare il reale in tutta la sua intensità. Tante volte, i fatti si trovano eccessivamente prossimi e, dunque, la distanza è essenziale per vederli. Questi malabaristas sono recenti, ma il problema sociale è antico». 

Dunque, João non si smentisce mai, creando e divulgando un lavoro di magica sonorità si, ma che tratta temi importanti della società brasiliana. Il cd Malabaristas è il 22º della sua carriera, durante la quale ha composto circa 200 brani musicali. Ha avuto come compagni di percorso, oltre al primo, Aldir Blanc e, all’attuale, Francisco Bosco, i seguenti nomi della musica brasiliana: Abel Silva, Antonio Cícero, Belchior, Cacaso, Caetano Veloso, Capinan, Chico Buarque de Holanda, Cláudio Tolomei, Francisco Alves, Guerra Baião, Ismael Silva, Martinho da Vila, Paulo Emilio, Perez, Waly Salomão.

Inoltre, ha interpretato canzoni e poemi di: Aleuda, Ary Barroso, Carlos Drummond de Andrade, Carlos Zimbher, Cole Porter, Daniel Baker, Dolly Morse, Dora Vasconcelos, Dorival Caymmi, Edgar Ferreira, Ernesto Lecuona, Fausto Nilo, Fernando Brant, Gastão Vianna, Gilberto Gil, Guilherme de Brito, Haroldo Oliveira, João da Baiana, John Lennon, Johnny Mercer, Juliana Amaral, Luiz Felipe Gama, M. Ferriera, Maiakovsky, Mano Décio da Viola, Milton Nascimento, Moacyr Luz, Natal Marques, Nelson Cavaquinho, Newton Mendonça, Nilton Bastos, Noel Rosa, Paul McCartney, Pixinguinha, Ravel, Rube Bloom, Salgado Maranhão, Severino Araujo, Silas de Oliveira, Simons, Tom Jobim, Villa-Lobos, Zequinha de Abreu.


Fonti:
“Nova História da Música Popular Brasileira”, - Abril Cultural, 1977
http://www.allbrazilianmusic.com
http://www.joãobosco.com.br
http://www.uol.com.br

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

(em portugues)




«O amor é a ausência de engarrafamento»

Entrevista com João Bosco na véspera do seu tour europeu 
Chega também na Itália para dois shows em Milão e Roma 

 

por Francesca Casciuolo

    Compositor, músico e intérprete entre os mais apreciados não só no Brasil, como também a nível internacional, João Bosco está completando trinta anos de carreira, em concomitância com o lançamento de um novo cd (Malabaristas do Sinal Vermelho), com um tour europeu (o primeiro show é em Milão no próximo dia 12 de outubro e, depois de percorrer várias cidades européis, apresenta-se em Roma no dia 21) e um songbook contendo três cds que representam uma concentração de seu longo percurso musical.

O songbook faz parte da célebre coleção editada pela Lumiar do saudoso Almir Chediak, incluindo 131 textos reunidos em três livros e 46 músicas
interpretadas por artistas como: Chico Buarque, Milton Nascimento, Gilberto
Gil, Edu Lobo, Lenine, Djavan e também o jornalista e letrista Aldir
Blanc, com o qual João Bosco percorreu uma grande parte da própria carreira artística.

Na véspera de sua chegada à Itália - país frequentemente presente em seus
tours europeus -, concedeu-nos uma longa entrevista, a qual permite aos seus
numerosos fãs italianos um melhor e maior conhecimento do homem e do músico.

Com 12 anos de idade, de violão verde na mão e com o ouvido já acostumado à musicalidade, você deu início a um longo percurso musical, mas quando nasceu o amor pela composição em si? 

«Foi em Ouro Preto. Em 1967 eu procurei pelo poeta Vinicius de Moraes que se hospedara num hotel. Nessa ocasião eu havia feito umas quatro músicas , por aí. Só depois dessa amizade iniciada com o Vinicius comecei a levar a música seriamente como compositor. Sou muito grato a ele pelos conselhos e tudo mais».

Pode nos dizer do por quê de tantos belos vocalises? Uma inspiração proveniente da música polifônica de mais de 500 anos atrás? 

«Não sei dizer. Sempre gostei de ouvir as “tribos” em minha música, principalmente naquelas mais “negras”. Quando estou trabalhando nelas, enquanto ainda inéditas, escuto essas vozes que tento reproduzí-las em estudio». 

Nas tuas músicas, frequentemente encontramos ritmos africanos (um dos exemplos, é o candomblé), além da questão da negritude. Você sente-se africano de coração? Qual é a tua fé, o teu credo? 

«Bem, essa é uma questão que ao meu ver está ligada ao meu país e à sua herança cultural. Nasci em uma cidade de Minas onde havia muitos plantadores de cana de açucar, cuja mão-de-obra vem dos negros. Ouvia suas congadas aos domingos e sentia uma grande alegria. Fui criado por uma negra, Margarida, que eu chamava de Ata (talvez algo que vem de “água”), e no Rio de Janeiro fui logo me aproximando de Clementina de Jesus que fez aflorar em mim tudo que estava dentro, adormecido. Sou muito grato aos santos por me levar para perto dela. Quanto ao credo, devo dizer que o Brasil é o país do sincretismo religioso. Quando se pergunta a alguém sobre fé e credo, este logo responde: sou brasileiro!».

Em qual contexto nasceu o interesse pelas composições internacionais, para as quais você consegue encontrar uma magnífica adaptação? 

«Eu cresci assim: ouvindo de tudo, pois gostava de frequentar a radio na minha cidade. Era muito amigo dos programadores e muitas vezes ajudei a colocar a ZYR-2 Radio Sociedade de Ponte Nova no ar. Frequentava os programas de auditório, etc. Era muito ligado a tudo que acontecia em música em minha cidade. Participei de todo tipo de manifestação musical. A música africana, caribenha, americana, espanhola, portuguesa e tudo mais. Não estava preocupado com nada a não ser com aquilo que me emocionava».

Você interpretou melodias de tantos compositores brasileiros e estrangeiros. Existe um desejo no fundo do baú, ou seja, falta algum compositor e/ou alguma melodia ao teu repertório, e por qual razão? 

«Eu sinto que quando há um compositor ou uma música que fica em mim sou capaz de fazer uma leitura com personalidade. Tenho vários desejos em cantar muitas músicas. Faço projetos que às vezes não consigo realizá-los. Eu sempre achei que a minha música vem também de cantar o “outro”, portanto é muito importante para mim estar cantando a música de alguém em algum lugar».

Como nasceu O Bêbado e a Equilibrista num contexto nacional tão árduo e difícil quanto foi o da ditadura militar? 

«Bem, a música vem de tudo isso, não é? Mas o que emociona é a maneira pela qual a Elis Regina “defendeu” essa música. Nunca vi nada igual e acho que será dificil “ver” um momento tão mágico como aquele».Quais as tuas lembranças de Elis Regina? Alguma composição foi pensada e escrita especialmente para ser por ela interpretada? 
«Desde a primeira canção que ela gravou, todas foram pensadas nela e pra ela. Foi um privilégio estar com ela em seu tempo, estar próximo dela , ser amigo dela e, acima de tudo, ser cantado por Ela».

Como você vê o futuro da música brasileira? 

«A música brasileira sempre terá futuro, seja pela sua tradição, seja pela sua capacidade antropofágica. O passado e o presente falam por todos». 

Quantas vezes você esteve na Itália e qual a tua impressão desse público? 

«Já estive na Itália muitas vezes. Adoro tocar aí. Acho que me sinto um pouco “em casa”. Aqui dizemos que muitas semelhanças nos unem. É um país maravilhoso, com uma história de “encher os olhos”. E a culinária? Até no japão ela é motivo de degustação.Viva a Itália!». 

Existe um sito histórico e/ou arqueológico italiano no qual você gostaria de fazer um show? 

«Todo lugar na Itália é especial, não só os que existem, como aqueles que ainda estamos por “descobrir”». 

Percebe-se alguma diferença de sintonia, existe um feeling particular/característico, entre o público de diversas nacionalidades ao qual você tem se apresentado durante todos estes anos?

«A música se incumbe de criar uma boa parte da atmosfera com sua mágica. Eu acredito muito nisso».

Na música “Na Esquina”, diz-se: “quando falam do passado me sinto louco a delirar...” Com esta frase, você faz referência a algo em particular? 

Esta resposta foi dada pelo compositor Francisco Bosco: «Acho que todo escrito (poema, letra de música, romance) toma a vida particular como matéria prima e depois a refrata, a distorce esteticamente, para produzir o efeito que se quer, ou seja, capturar a vida no texto e, assim, poder transmití-la. Prefiro não determinar um sentido específico, intencional, ao que escrevo; deixo que o leitor produza os sentidos que quiser». 

Em “Mama Palava”, faz-se um jogo de palavras que refletem uma certa realidade. Te pergunto: o Brasil mudou? Se sim, como foi essa mudança, desde o final da ditadura militar, em 1980, até hoje, ou pelo menos até o mês de Janeiro de 2003? 

«O Brasil quer mudar, mas sabe que seus problemas vêm de há muito tempo. Por isso, as mudanças virão, porém, lentamente».

O Cego Julião existe realmente? Se sim, diga-nos algo sobre ele. 

«São cenas de minha infância em Minas. Relatei essas histórias ao meu parceiro que a transformou em letra de música». 
  
No teu site cita-se a frase: “… procurando criar formas que se destaquem na produção atual e consigam transmitir algo da experiência histórica que vivemos hoje”. Dado que ainda não tivemos a oportunidade de ouvir o CD “Malabaristas do Sinal Vermelho”, você poderia descrever esta experiência histórica? 

«É muito dificil “falar” um cd. Gostaria muito que vocês o ouvissem, assim poderão compreender essa experiência. Sei que esta é uma pergunta meio complexa, mas confio na tua capacidade de síntese». 

Como você lê o “estato de saúde” do nosso planeta neste novo milênio: terroristas invisíveis e onipresentes, guerras preventivas, novas formas de escravidão?

«Ando meio céptico em relação ao futuro razoavelmente próximo. Essa é aquela dor que eu entendo que a gente realmente sente e que infelizmente não sai no jornal».

Qual é o estímulo, o mistero, a magia, que te permitiu chegar a trinta anos de carriera sempre em ritmo crescente, com esse alto senso de profissionalidade e com tanta seriedade em relação à música, a você mesmo e ao teu público? 

«Acho que por ter estudado engenharia, adquiri algumas virtudes, como método e disciplina. Acho que até para alguém que quer ser “desorganizado”, ele vai precisar disso. Não se vai longe sem essas observações».  

Pode nos retratar o momento mais belo e mais triste vivido ao longo destes trinta anos de carriera? 

«A minha chegada ao Rio de Janeiro em 1967. Nunca havia visto o mar, a não ser nas canções de Tom e Vinícius. Foi como “ver” cinematograficamente a Bossa-Nova. Foi a coisa mais linda e mais cheia de graça. O mais triste foi a morte de Elis. Ela, em pleno desejo de mudanças em sua carreira. Sempre me pergunto por ela hoje».  

Como nasceu o último trabalho do songbook, com lançamento marcado para o dia 9 de Setembro? 

«Essa era uma idéia do produtor Almir Chediak (enquanto tento responder as suas perguntas ouço no fone o songbook do Noel Rosa), brutalmente assassinado este ano. Estávamos nesse projeto desde 1989. Mas há cerca de dois anos resolvemos terminá-lo. São mais de 50 artistas brasileiros cantando 46 músicas. São três livros com 131 partituras para piano e cifras para violão. Letras de músicas, análise crítica da obra, biografia, etc... Foi muito triste não ter o Almir aqui para celebrarmos juntos mais esse trabalho».

Quais são teus projetos futuros? 


«Os projetos futuros são muitos. Encontros com alguns músicos maravilhosos. Disco nos Eua em abril próximo. Shows aqui e ali. Ofício de um compositor em exercício». 

Para finalizar e retomando o conceito de “Na Esquina”, como você define o Amor, esse corpo único, indivisível, mas cheio de ângulos e ostáculos? Quais as cores que você usa para pintá-lo e qual forma escultural, arquitetônica lhe atribui? 

«Poderíamos passar um bom tempo nesse tema. Entretanto hoje, aqui e agora, me vem a idéia de que o amor, de fato, é a ausência de engarrafamento».