La magia classica di Marcos Vinicius 

Concertista internazionale, ha gusti raffinati da europeo
ma durante le esecuzioni emerge tutta la sua brasilianità

 

di Fabio Germinario

 

    Ve lo immaginate un musicista brasiliano chino sul suo strumento per sei ore al giorno a studiare musica classica? Con le sue mille sfaccettature, il Brasile è inaspettatamente anche terra di eccellenti concertisti, e Marcos Vinicius, chitarrista nato in Minas Gerais e trapiantato in Italia, si rivela come uno tra i più interessanti dell'ultima generazione. Lui possiede tutti gli ingredienti per essere classificato come «brasiliano atipico»: storce il naso quando gli si parla di Mpb, fatica ad accettare che la musica di Jobim entri nei conservatori italiani; in più ha gusti raffinati da europeo e persino un appeal da lord inglese. Ma non lasciatevi ingannare dalle apparenze: durante le sue esecuzioni si trasfigura come per magia, la sua sensibilità brasiliana prende il sopravvento avvolgendo l'ascoltatore ammaliato dalla sua tecnica in una tela sonora da cui fatica a riemergere.    

 

La prima domanda è inevitabile: cosa ci fa un concertista colto e internazionale come lei "sperduto" nella provincia lombarda? 

«Ovviamente una domanda inevitabile a cui davvero mi piace rispondere, sempre. Un particolare della mia vita come uomo, come essere, è proprio quello di seguire – non direi l'istinto –, ma le intuizioni. Se cerchiamo di essere in sintonia con tutto quello che ci avvolge certamente riusciremo a capire i nostri passi futuri, e così è stato per me. Oltre ad avere un forte amore per questo paese – già presente quando ancora ero un bambino – ho percepito che tutto mi portava qua, ed ero più che convinto che questa sarebbe stata la mia strada, cosa che ha percepito anche don Pigi Bernareggi, il grande missionario italiano in Brasile che, con una affermazione «… maestro, la sua chitarra non è solo per questo paese», accompagnata da una domanda: «… vorrebbe venire in Italia?», mi hanno confermato a tutti livelli la strada che dovevo seguire… e non ho perso tempo». 

Quali altri motivi la hanno spinta a trasferirsi in Italia, dodici anni fa? 

«Oltre a quelli che le dicevo prima, l'Italia ha una ricchezza culturale ineguagliabile sotto tutti i punti di vista: la pittura, la scultura e logicamente la sua tradizione musicale. Penso che, per come sono io – un brasiliano davvero atipico – mi trovo nella culla dell'Arte… non poteva essere cosa migliore per me».

Dalla sua biografia si apprende che la prima attrazione fatale lei l'ha avuta nei confronti di una chitarra, a 8 anni. Da che cosa fu colpito, esattamente, dall'oggetto in sé o dalla fantasia legata al suo uso? O da altro ancora? 

«E' stato un vero e proprio richiamo, una sensazione che oggi definisco "uno scambio d'energie" e secondo me era questa, l'attrazione. La vedevo appesa in questo negozio che nulla aveva a che vedere con la Musica… ma "lei" era lì che sembrava mi aspettasse. In altre parole, sentivo che mi chiedeva di portarla con me».

Quali differenze, se ve ne sono, ha notato nell'ascolto della musica classica tra il pubblico brasiliano e quello italiano?

«E' netta la differenza culturale tra questi due popoli, in generale tra il popolo europeo e quello sudamericano. In Europa la cultura della musica classica è sempre stata molto diffusa anche se la musica leggera qui ha uno spazio non indifferente, anzi, un grande spazio. Ma ciò, a mio parere, non ha affatto tolto l'interesse della gente e le infinite possibilità di ascoltare o vedere dei concerti quasi giornalmente, e questo è davvero molto bello e importante. In Brasile, la musica classica fatica a trovare il suo spazio, anche se mi sembra che tanto si stia facendo per cercare una sua maggiore divulgazione. Purtroppo, la produzione musicale oggi in Brasile è qualcosa di orripilante: non mi riferisco alla musica intellettuale scritta dai maestri brasiliani, ma a quella che la gente “digerisce” ogni giorno provocando un calo culturale che tocca bassissimi livelli. Ed è ovvio che con meno cultura sarà sempre più difficile che la musica classica venga apprezzata anche se, torno a dire, molto si fa a suo favore».

Se in questo momento dovesse scegliere di poter suonare per un pubblico italiano oppure brasiliano, per quale opterebbe? 

«Senza ombra di dubbio: l'europeo».

Per quale motivo? 

«Perché ha molta più capacità di comprendere e di vivere quello che la mia chitarra e la mia arte sono in grado di dare».

Quali sono, se ne ha notate, le differenze di approccio alla musica classica da parte di un musicista brasiliano rispetto a un suo collega europeo? 

«L'approccio è direttamente legato all'intellettualità e alla conoscenze che l’uno o l’altro musicista possiedono. Ciò che io percepisco diverso si riferisce al modo di comunicare quello che suona un musicista brasiliano rispetto a uno europeo. Per esempio, i musicisti europei si preoccupano moltissimo di rispettare l'accademismo, impedendo così il liberarsi della creatività durante l'interpretazione e l'esecuzione. Noto che alcuni musicisti brasiliani (non tanti, perché ci vuole coraggio e perfetto dominio per farlo) si lasciano andare maggiormente durante l'esecuzione senza la paura di perdersi pregiudicando così lo stile di questa o di quell’opera.

Difficile parlare di «musica classica» riferendosi a quella brasiliana, che è relativamente giovane. Il suo repertorio spazia fino ad arrivare a quella più comunemente definita popolare del suo paese di origine? 

«No, assolutamente no. Le posso dire che le pochissime pagine di autori brasiliani che eseguo nei miei programmi sono opere di grande valore per questo strumento tra cui quelle di Villa-Lobos, Dilermando Reis, Celso Machado, Nicanor Teixeira e Egberto Gismonti. Mi sono permesso di adattare in modo classico e tra l'altro molto apprezzato dal grande pubblico la famosa "Serenata dell'Addio" scritta e composta da Vinicius de Moraes, una opera di grande bellezza armonica e melodica che mi ha dato la possibilità di usufruire moltissimo delle infinite risorse polifoniche che la chitarra ci permette».

Ama eseguire, ad esempio, lo choro che può essere definito uno degli stili musicali più importanti del Brasile pur essendo paradossalmente in gran parte di origine europea? 

«Lo choro è uno stile particolarissimo e molto bello. Mi piace ascoltarlo, ma non mi tocca profondamente al cuore al punto di inserirlo nel mio repertorio, ed è triste sapere che, proprio in Brasile è quasi dimenticato, anche se ancora esistono i cultori di questa musica».

Quali sono gli autori che ama di più eseguire? 

«Ogni autore ha la sua particolarità e creatività. Amo fare, ad esempio, le trascrizioni per chitarra e scoprire nuovi compositori per questo strumento che ovviamente eseguo nei miei programmi, tant'è che la Carrara Edizioni, di Bergamo, ha creato una collection che porta il mio nome e questo mi fa molto onore. In un anno abbiamo pubblicato quasi 20 brani. Come autori originali, cioè che hanno scritto per chitarra, mi piace moltissimo l'opera di Joaquin Rodrigo ma in realtà amo tutti gli autori che scelgo per il mio repertorio».

Come è possibile essere influenzati da Baden Powell, come lei ha dichiarato, per un musicista classico? 

«In realtà quello che mi ha colpito di Baden Powell è stata la sua grinta e la sua passione mentre suonava e che con tanta facilità riusciva a trasmettere nelle sue incisioni. Però, quando ho ascoltato per la prima volta Andrei Segovia, ricordo che le mie parole sono state queste: Dio, è questa chitarra che voglio… è cosi che vorrei suonare».

Nei conservatori italiani la musica di Antonio Carlos Jobim viene sempre più proposta ed eseguita, quasi alla stregua di un autore "classico". Lei condivide questa tendenza?

«Non so se in realtà si sia arrivati a tanto; credo però che ci sia un forte interesse per la musica di Jobim, dovuto alla sua ricchezza armonica, a un uso particolare delle sequenze e cadenze armoniche che solo i musicisti brasiliani sanno fare. Comunque, non condividerei mai una scelta del genere: sono due mondi completamente diversi quello della musica classica e quello della musica leggera, anche se colta e ad altissimi livelli come quella scritta dal maestro Jobim».

Lei ascolta soltanto musica classica o ama spaziare anche su altri generi? 

«La musica che ascolto oggi è risultato di una precisa scelta dopo aver ascoltato di tutto e di più. Ascoltare un unico genere musicale è estremamente limitante, e penso che pregiudichi tantissimo la crescita di un artista. E' fondamentale ascoltare gli altri e il loro genere artistico perché si può sempre imparare qualcosa in più che - in modo conscio o meno -, sarà sicuramente utilizzato nelle nostre scelte interpretative».

A causa della sua profonda conoscenza del repertorio chitarristico, lei è spesso invitato a tenere conferenze, come quella presso l'università di Studi superiori, a Milano, su Villa-Lobos e la sua opera per chitarra e il Modernismo brasiliano. Può spiegarci in estrema sintesi l'importanza per lei di questo musicista?

«Heitor Villa-Lobos, il grande musicista brasiliano, è uno di quei compositori che nascono raramente e le spiego il perché: già a suo tempo, Villa-Lobos scriveva partiture con una tale genialità e creatività quasi fosse concertista per ciascuno di questi strumenti; aveva un dominio della composizione – assai avanzata per quell'epoca – che, analizzata in profondità,
può impressionare il modo in cui riusciva a ottenere i particolari effetti nelle forme musicali. Era un chitarrista e apparteneva al famoso gruppo "Os Choroes" nel quale come amici aveva i più famosi musicisti e strumentisti dell'epoca. Da questi incontri Villa-Lobos raccoglieva le sue idee e i suoi temi da sviluppare aumentando così, ogni giorno, il suo bagaglio musicale. Riguardo alla chitarra, Villa-Lobos ha scritto delle perle e mi spiego: la figura di Andres Segovia, il gentilhombre della chitarra del XX secolo, l'ha ispirato in particolar modo poiché si sono conosciuti a Parigi durante il concerto di questo grande chitarrista: Segovia faceva di tutto per attrarre l'attenzione dei compositore con l'intenzione di ampliare il suo repertorio di chitarra. Da questo incontro è nata una grande amicizia e da lì i famosi "12 Etude" per chitarra sola dedicati a Segovia. Questi studi sono oggi d'obbligo nei conservatori di tutto il mondo. Solitamente, un autore che scrive degli studi ha perlopiù la preoccupazione di fare in modo che gli studenti possono affrontare particolari snodi della tecnica strumentale; nel caso di Villa-Lobos tali studi hanno superato questo intento perché il suo modo di scrivere, la sua genialità sono presenti in ogni momento dei brani trasformandoli in vere opere da concerto benché la loro destinazione fosse quella di studio». 

Di lei la critica musicale afferma che possiede una grande tecnica senza farla pesare sugli ascoltatori, quasi riesca a nasconderla a beneficio del contenuto dell'interpretazione. Qual è il suo segreto? 

«La sua domanda conterrebbe già la mia risposta. In realtà, secondo me, la tecnica non ha altro scopo se non quello di darci la possibilità di esprimere con chiarezza e limpidità le scelte interpretative. Purtroppo vi sono tanti concertisti che vivono in funzione dell'esibizionismo tecnico, e il pubblico torna a casa senza ricordarsi del concerto della sera precedente. Allora, fare in modo che la tecnica "sparisca" è tutta un'altra storia, e questa storia la tengo per me, se mi permette!». 

La saudade è un sentimento che appartiene anche ai musicisti classici? 

«La saudade è un sentimento di chi ama, indipendentemente dal fatto che sia musicista classico o meno». 

E quale musica ha desiderio di eseguire quando ne è assalito? 

«Prendo la chitarra e traggo dei suoni che possono cullare i miei ricordi senza suonare nessun brano in particolare».

Sta lavorando a qualche progetto particolare? 

«A tanti, soprattutto al mio nuovo album che uscirà a novembre in Europa».

Se potesse tornare indietro, sceglierebbe ancora di trasferirsi in Italia? 

«Assolutamente sì».

 

 

Discografia:

  • Dedicatoria - 1997

  • My Hands... My Soul - 1999

  • Marcos Vinicius, Guitar Recital - 2000

  • Leyendas - 2001

http://marcosvinicius.it