Due o tre cose che so di Lula

Per i tipi della Baldini & Castoldi esce "Lula, il presidente
dei  poveri",  di cui Musibrasil  pubblica  il primo  capitolo 

 

di Paolo Manzo

"Lula, il presidente dei poveri", di cui qui di seguito pubblichiamo il primo capitolo per gentile concessione della Editrice Baldini & Castoldi e dell'autore, è scaturito da un rapporto amichevole tra i più stretti collaboratori di Lula e Paolo Manzo, redattore e giornalista del settimanale "Vita" e del quotidiano "Europa". Preceduto da un'introduzione di Gilberto Gil, nuovo ministro della Cultura, il saggio presenta cinque parti: un capitolo che inframmezza alla vita di Lula gli stralci più significativi del suo intervento durante la cerimonia d'insediamento; tre capitoli-interviste (al leader del Mst – Movimento dei senza terra - João Pedro Stédile, all'economista 82enne Celso Furtado, uno dei padri dell'economia brasiliana e al sacerdote Frei Betto, amico personale del presidente ed esponente di spicco della Teologia della liberazione), un altro capitolo sulle prospettive e le incognite del nuovo Brasile; e, infine, un intervento di Angelo Ferrari (dell'Agenzia giornalistica Italia) su Lula e il Sudamerica. Il libro si fa leggere in un fiato e si può situare tra i generi della biografia e della cronaca, soprattutto in virtù del primo capitolo, nel quale l'autore ricostruisce le fasi salienti della vita di Lula inserendo tra esse brani del discorso d'insediamento che il neo-presidente tenne lo scorso 1° gennaio a Brasilia. L'effetto è piuttosto avvincente e per quanti avessero potuto vedere questa cerimonia dal vivo, tramite mass-media o Internet (com'è capitato a chi scrive), il pensiero corre facilmente sia alle immagini della festa di popolo che ha accompagnato Lula al Planalto, sia all'aula del Congresso nacional dove pure risuonò il coro che ha contrassegnato la campagna elettorale del pernambucano: olè olè olà, Lula Lula. Il Brasile rappresenta, numericamente, una delle più grandi “platee” elettorali del mondo, dato che lo scorso 6 ottobre 2002 furono 115.253.816 gli aventi diritto al voto nel primo turno delle presidenziali. Il popolo votava il presidente per la quarta volta dal 1985, dopo la fine della dittatura militare, infatti il primo presidente della attuale fase costituzionale, detta Nova Republica, il centrista Tancredo Neves (Pmdb) fu eletto indirettamente. Luis Inácio Lula da Silva è stato in lizza (e sconfitto) in tutte le altre elezioni dirette di questa fase politica, infatti nel 1990, 1994 e 1998 arrivò sempre secondo (preceduto rispettivamente da Fernando Collor e da Fernando Henrique Cardoso, eletto una prima volta nel '94 e poi confermato). Ma questa volta l'ex leader sindacale ha vinto alla grande: 39.443.765 voti (41,6 % dei votanti) il 6 ottobre - al primo turno - e 52.793.364 (61,3 %) il 27 ottobre, al ballottaggio. E' il record dei consensi nella storia elettorale brasiliana e uno dei più alti risultati mai ottenuti al mondo in una libera elezione. Lula proviene dalla parte più povera del Brasile, il Nord-Est, è nato infatti nel Pernambuco il 6 (o il 27, secondo altre fonti) ottobre del 1945 (sembra un caso: ma queste date sono le stesse dei due turni elettorali del 2002) ed è il primo pernambucano che giunge alla presidenza del Brasile, anche se non è il primo nordestino a guidare il paese sudamericano; infatti i primi due presidenti della Repubblica furono alagoani (i marescialli Manoel Deodoro da Fonseca e Floriano Peixoto) e successivamente anche Paraiba, Rio Grande do Norte, Ceará e Maranhão videro eletti, o nominati, proprii esponenti alla guida del paese. Ma, come si è detto, il libro non è solo biografico: dalla sua lettura (e in particolare dalle interviste che trattano gli spinosi temi della situazione economica, quella a Furtado, e della situazione sociale, quella a Stedile) si apprende - per esempio - che in Brasile lo 0,5% della popolazione detiene il 53% della ricchezza e 44 milioni di persone vivono con meno di un dollaro al giorno; inoltre sono sei milioni le famiglie senza una casa; il fisco prevede 44 aliquote differenti; non è stata mai fatta una riforma agraria (la terra coltivabile è pari a 600 milioni di ettari di cui 400 milioni sono privati e di essi la metà è posseduta dall'1% dei proprietari che – per lo più – la lasciano incolta) e, infine, che il salario minimo era, lo scorso anno, pari a 200 reais. Per quanto riguarda i dati macroeconomici il governo Cardoso ha ottenuto (agosto 2002) un prestito dal Fondo monetario internazionale pari a 30 miliardi di dollari e il quadriennio Lula è partito con l'handicap della restituzione di questo finanziamento, dato che il Brasile dovrà registrare per i prossimi tre anni avanzi di bilancio primari (cioè al netto degli interessi) di oltre il 3,75% all'anno, se vorrà onorarne le scadenze. Si tratta di dati forse già in parte conosciuti, ma che, messi in fila uno accanto all'altro, danno l'esatta idea delle difficoltà che il governo di Lula dovrà affrontare nel breve arco di quattro anni e anche della impossibilità pratica di dare soluzione alla maggior parte di questi problemi, molti dei quali davvero annosi. Ecco perché – come Lula ha ricordato nel discorso d'investitura – "… aquilo que se desfez ou se deixou de fazer na última década não pode ser resolvido num passe de mágica. Assim como carências históricas da população trabalhadora não podem ser superadas da noite para o dia…". ("… ciò che si disfece o si trascurò di fare nell'ultima decade non potrà essere risolto con un colpo di bacchetta magica. Così come carenze storiche della popolazione lavoratrice non potranno esser superate dalla notte al giorno …"). Infine una notazione forse di minore importanza. Di solito i libri e gli articoli sul Brasile contengono errori di ortografia (dato che il portoghese è spesso assimilato allo spagnolo). In questo saggio ne ho trovato uno solo (probabilmente sfuggito ai correttori): a pag. 70 si parla – in una nota – di "Movimento Democrático Brasileño" invece di "Brasileiro". Aver limitato a uno il numero degli errori ortografici è un altro, piccolo, merito di questo libro. (Andrea Zeccato)




 PRIMO CAPITOLO

    “Nell’antica Roma, votavano solo i romani. Nel capitalismo globale moderno, votano solo gli americani. I brasiliani non votano”. Questo è George Soros, poco prima delle elezioni del 2002. In modo rude e per nulla “di classe” (anche perché lo disse a un giornalista brasiliano, e l’intervista finì su uno dei quotidiani più letti in Brasile), il magnate aveva espresso un concetto, anzi il concetto: oggi, come ai tempi dell’impero romano, la democrazia è un privilegio riservato ai cittadini della potenza imperiale, cioè gli Stati Uniti. Il candidato della sinistra Lula non può essere eletto perché i mercati, vale a dire gli Stati Uniti, non lo vogliono. A rispondere a Soros ci pensò Joseph Stiglitz, premio Nobel per l’economia ed ex numero due della Banca mondiale, e lo fece con queste parole: “Credo che per la politica economica del mondo, Bush sia molto più pericoloso di qualunque candidato brasiliano. E se devo scegliere tra Bush e Lula, scelgo Lula”. Lo stesso hanno fatto i brasiliani: Stiglitz-Soros 1 a 0.

Certo, può essere vero, come sostiene Soros, che la vittoria di Lula mandi a monte i piani dell'Impero di George W. Bush. Per il continente sudamericano in generale e per il Brasile in particolare. De facto il programma a stelle e strisce per il cono sur s'incentra su uno strumento che si chiama Area di libero commercio tra le Americhe, nota ai più come Alca. Un accordo che, se firmato, ridurrebbe i Paesi latino-americani a vere e proprie colonie economiche ma che Lula (ha assicurato in più occasioni [1]) non ha alcun interesse a sottoscrivere così com'è. Insomma potrebbe davvero essere un problema. Potrebbe. Anche se il presidente da Silva non è più quello del 1989 e i diplomatici di tutto il mondo - persino quelli Usa - lo sanno bene. Certo è che le immagini in diretta della Cnn che ha visto il "nostro" americano medio, quell'ondata rossa di Brasilia, non sono un film. Né un documentario del passato. È la realtà di oggi. Sono i colori di una manifestazione popolare che rivelano il radicalismo di una parte della base che lo appoggia, e di cui anche Lula farà bene a tenere conto.

A leggere i documenti ufficiali del comune Lula è nato a Garanhuns, nello stato del Pernambuco, il 6 ottobre del 1945. Almeno così riporta il suo certificato di nascita. Ma a quell’epoca, nell’angolo più povero del Brasile, quel nord-est che è fucina di miseria e d'immigrati per le favelas di Rio e San Paolo, era un’abitudine far registrare i figli qualche mese dopo la nascita. L’attesa era giustificata dalla dura realtà del sertão pernambucano. E la famiglia de Lula era parte integrante di quella dura realtà. Settimo di otto figli, il padre Aristides Inácio da Silva e la madre Eurídice Ferreira de Melo, di creature, ne avevano messe al mondo dodici. Ma quattro erano sopravvissute al parto solo pochi giorni. Una percentuale di mortalità infantile superiore al 30%. Questa la prima fotografia delle origini del nuovo presidente del Brasile. Del resto una data di nascita sbagliata non è una rarità in questo sorprendente e bellissimo Paese che si chiama Brasile, come insegna il caso recente del calciatore Eriberto - Luciano. E allora per venire a capo del mistero conviene prestare fede a quello che lo stesso Lula ha confidato: “io credo a mia mamma, che è stata la figura di riferimento più importante per me", e lo dice commuovendosi, come spesso gli accade quando ricorda dona Eurídice. "Lei mi ha sempre assicurato che sono venuto al mondo il 27 ottobre”. E qui c'è il primo dato per lo meno curioso di un’esistenza segnata da eventi straordinari: il 6 e il 27 ottobre, ovvero la data ufficiale e la data reale di nascita di don Inácio, ma anche quelle del primo e del secondo turno delle elezioni che lo hanno visto trionfare grazie al voto di 53 milioni di brasiliani. Al quarto tentativo come Mitterand. Giusto per chi non crede che il destino di ognuno di noi è scritto nei numeri.

Olé olé olé olà, Lula Lula. Sono le nove del mattino, a Brasilia, e sembra di essere allo stadio Maracanã di Rio. In un qualsiasi altro primo dell'anno, a quest’ora, non ci sarebbe un cane nella piazza dos Três Poderes, davanti al palazzo del Planalto, al Congresso nazionale e al tribunale federale supremo. Ma oggi è un giorno particolare, unico, importante. Soprattutto per quei 19 parenti di Lula che, su un bus affittato della Transtil Turismo zeppo di loro compaesani, si sono macinati 2100 chilometri in 37 ore. Per vedere la cerimonia dell’insediamento. Olé olé olé olà, Lula Lula. È una vera celebrazione popolare, una sorta di riscatto della povera gente che nel presidente Lula vede un sogno diventare realtà. Già, perché se ce l'ha fatta lui, ce la possono fare tutti: oggi è questo il pensiero inconfessato che fa luccicare gli occhi di chi è venuto fino a Brasilia.

Ma oltre alla data di nascita anche Garanhuns rischia di essere un errore. La casa in cui Lula nacque oggi non esiste più. Il terreno è coltivato a fagioli ed è di proprietà di Marina Maria de Jesus, una vispa ottantenne che mai avrebbe puntato un centavo su quel bimbo mingherlino che si divertiva a tirare con la fionda ai passeri. "Solo Dio sapeva che sarebbe diventato presidente". Già, solo Dio. E quel terreno oggi fa parte del paesino di Caetés, che nel 1945 era frazione di Garanhuns, ma che da vent’anni è un comune autonomo. De jure, guardando il certificato di nascita, Luiz Inácio da Silva detto Lula risulta essere di Garanhuns, ma de facto è di Caetés. Lui si considera figlio del Brasile e preferisce non scontentare nessuno. Il risultato? I due comuni, quello vecchio e quello nuovo, se ne disputano i natali. A suon di feste e commemorazioni.

Oltre 300mila persone ballano a ritmo di samba. Tra qualche ora Lula entrerà nel palazzo del Congresso e riceverà l’incarico. Formalmente. Istituzionalmente. Ma dal primo mattino la musica che predomina non è l’inno brasiliano bensì la samba. Il che la dice tutta sullo spirito che anima quei 300mila. E d’altronde artisti come Gilberto Gil e Fernanda Abreu, fanno più pensare a un Palaforum che a un Quirinale. Per quanto sudamericano possa essere. Gilbertooo Giiiiiil. Lo speaker ufficiale introduce il ministro della cultura di Lula neanche fossimo al Madison Square Garden, prima di un mondiale dei massimi tra Tyson e Holyfield. Sembra ancora più nero il Gil che apre la festa ufficiale davanti all’Esplanada dos ministerios, la piazza dei ministeri. E lo fa con una canzone di Luiz Gonzaga che è un po' il simbolo del percorso di Lula: Pau-de-arara. Ossia il tipo di camion su cui la famiglia del neo-presidente ha lasciato il nord-est alla volta di San Paolo. Gil è emozionato, ma lo sono di più le migliaia di persone che sul prato, davanti al palco, in religioso silenzio, lo ascoltano. Tutti vestiti di rosso neanche fossimo nella Mosca staliniana, il primo maggio. Unica differenza: la felicità della gente che traspare da ogni sguardo.

A Caetés, frazione Guarunhuns, non se la passava bene Lula. E meno di lui la povera Eurídice Ferreira de Mello, ai più nota come Dona Lindu, la mamma di Lula. La casa era composta da una piccola sala, una cucina e una sola camera da letto in cui dovevano dormire nove persone. I bambini erano costretti a coricarsi su amache, qualcuno sul tavolo della sala. La terra era troppo poca per dare da mangiare a otto figli, e poi era arida a causa delle piogge che nel nord-est sono una rarità. Da sempre. Per non parlare di un marito che non le dava grandi soddisfazioni, anzi…Aristides Inácio da Silva l'aveva salutata quando lei portava ancora in grembo il piccolo Lula. Dona Lindu era all'ottavo mese di gravidanza e il marito la piantò in asso per cercare un lavoro, nello Stato di San Paolo. E lei partorì da sola. Ma fosse stato solo quello. Lula vide per la prima volta il padre quando aveva cinque anni compiuti. Aristides era tornato giusto in tempo per rimettere incinta Dona Lindu. Poi via di nuovo a scaricare sacchi di caffè nel porto di Santos. Si scoprirà di lì a poco che aveva un'altra donna. E altri dieci figli…Per questo, a chi oggi gli chiede della sua infanzia, Lula risponde che lui non ha avuto un'infanzia. L'ha cancellata, non se la ricorda. O meglio, non la vuole rivivere neanche col pensiero.

Olè olè olè olà, Lula Lula. Le grida sono sempre più assordanti e l'uomo del nord-est lascia la Granja do Torto, quella che sarà per i prossimi quattro anni la sua casa presidenziale. Scortato dalle auto della sicurezza si dirige verso la Esplanada dos Ministérios. Al suo fianco ha Marisa, la moglie. Mentre fende le due ali di folla ai bordi della strada la gente fa a gara per gridarne più forte il nome. Neanche fosse il nuovo Pelè. Ma non ci si deve stupire. Perché mai un popolo così povero ma anche così allegro come quello brasiliano dovrebbe vivere la politica in modo differente da come vive il calcio, il carnevale, il sesso? Olè olè olè olà, Lula Lula. La gente si diverte. 

È toccante vedere Lula piangere. Alla Globo, in un'intervista andata in onda qualche giorno dopo il secondo turno, si è commosso come un bambino. A 57 anni. E non erano lacrime “impostate”. Gli succede spesso quando parla della madre portata via da un cancro, nel maggio del 1980, quando lui era nel carcere del Dipartimento per l'ordine politico e sociale (il Dops). Nelle mani dei militari. Anche per questo la gente lo ama. Perché quando parla di Dona Lindu piange. "Ringrazio Dio per il coraggio di mia madre. Sa su cosa mi soffermo a pensare? Su come una donna analfabeta come lei - mia madre non sapeva fare una o neanche con il bicchiere - si sia messa sette figli sotto la sottana a mo' di chioccia, e sia partita da sola per San Paolo. Da Caetés a San Paolo, con la prospettiva d'incontrare un marito che lei non sapeva nemmeno cosa diavolo stesse facendo della sua vita…e poi mi fa pensare come sia riuscita a lasciare quel marito, e a tirare su otto figli. Perché, se è vero che la marginalità è legata alla povertà, mia madre è l'opposto di questo. Mia madre è riuscita, in un momento di miseria molto profondo, a trasformare cinque bambini in uomini. Poveri ma onorati. E tre donne. Senza che dovessero prostituirsi per mangiare. Ritengo che ciò sia stato qualcosa di infinitamente nobile ed è per questo che porto dentro di me un rispetto indicibile nei confronti della mia mamma". Lula si asciuga le lacrime e, anche se è presidente ed è in diretta davanti alle telecamere, resta sempre lo stesso: umano e tormentato. Per questo il popolo lo ama. Perché è il presidente, ma ha sofferto tanto. Proprio come la maggior parte della gente che l'ha votato. 

Il corteo di auto nere è arrivato di fronte alla Catedral, nella Esplanada dos Ministérios di Brasilia, città giovane e costruita ad hoc nel centro di un Paese che è vasto 33 volte l’Italia. C'è da fare il cambio macchina perché l'ultimo tragitto dev'essere percorso sull'auto che, da anni, è fatta uscire dal garage solo per la festa della Repubblica e le investiture presidenziali: la Rolles Royce che nel 1953 la regina d'Inghilterra regalò all'allora presidente Getullio Vargas. Uno che, di fronte al rischio di essere defenestrato da un golpe militare che di lì a poco avrebbe assunto il potere (nel 64), preferì suicidarsi. Con un colpo di rivoltella in testa. Come in tutte le tragedie sudamericane che si rispettino. Lula scende dall'auto "normale" e – visibilmente emozionato nella sua giacca nera – sale sulla Rolles Royce decappottata, assieme a quello che sarà di lì a poco il vicepresidente, José Alencar, partito liberale. Lula saluta la folla che lo osanna, è quasi fatto cadere da un suo "tifoso" che gli si getta al collo. Incurante delle guardie del corpo accetta il calore della folla e si lascia trascinare nell’atmosfera da stadio Maracanã. Poi fa un paio di foto con una signora che lo blocca, superando il cordone della sicurezza. Poco prima di entrare nel Congresso. Gli sguardi delle guardie del corpo adesso sono davvero demoralizzati. Ma Lula è anche questo. A Gianni Minà, che gli ha chiesto come mai non abbia una vera e propria scorta, lui ha spiegato che non gli piace, non la sopporta. E poi, ha aggiunto, "basta fare attenzione". Sarà, ma le guardie del corpo federali se potessero, in questo momento, lo legherebbero. Ma non c'è tempo. La cerimonia della posse, l'investitura, non può più attendere. È tempo di giurare sulla Costituzione e di parlare al cuore della gente.

Quando Dona Lindu decise di raggiungere il marito a Santos, Stato di San Paolo, Lula aveva sette anni e una vita davanti. Treni non ne passavano e gli autobus di linea erano un miraggio in quel pezzo di nord-est pernambucano[2] dimenticato da Dio e dai santi. E poi sarebbe costato troppo acquistare il biglietto per otto persone[3]. Erano poveri in canna i da Silva. Lula se lo ricorda benissimo. "Tempi duri, durissimi. Un giorno stavo male, soffrivo per un mal di pancia terribile. Avrò avuto sì e no sei anni. Allora mia madre comprò come medicina…del riso. All'epoca il riso era una merce rara per noi, non era normale mangiarlo. Mia madre mi curò con del riso al posto delle solite tortine di fagioli e farina. Era la prima volta in vita mia che mangiavo del riso…". Treni e autobus furono sostituiti degnamente dal pau-de-arara, un camion che porta bestiame ma che, negli anni Cinquanta, veniva usato dai disperati del nord-est per emigrare nel più ricco stato di San Paolo. Per potersi pagare il biglietto, Dona Lindu vendette tutto in cambio di 13mila cruzeiro: il bestiame, i mobili, i vestiti, le stoviglie, persino i santini e le fotografie - poche - che teneva in casa. Una buona dose di forza d'animo non le mancava di certo, anche per questo Lula sostiene di avere ereditato dalla madre il coraggio. Si alzarono presto quel giorno, dovevano arrivare puntuali alla bottega di Tozinho. "All'epoca mi sembrava grandissima, per anni avevo in mente una sorta di Carrefour. Ci andavamo nel 1950 per sentire le partite del Campionato del mondo, quello perso in finale dal Brasile contro l'Uruguay. Tozinho era l'unico a possedere la radio in tutto il paese…". È incredibile come tutto sembri più grande, quando si è piccoli e ancor oggi Lula ricorda la delusione di quando, anni dopo, tornò alla bottega di Tozinho e gli apparve per quello che era: uno spaccio nel bel mezzo del nulla. Oggi è in rovina e a vederla sembra (in piccolo) uno di quei fortini della seconda guerra mondiale abbandonati, vicino al confine italo-francese. Solo che intorno non ci sono le Alpi, c'è il sertão. Quella mattina arrivarono puntuali Dona Lindu e i suoi sette figli, ma il pau-de-arara non passò. E nemmeno il giorno dopo. Arrivò con 48 ore di ritardo, e in quei due giorni il mingherlino Lula fece un incontro indimenticabile: vide per la prima volta in vita sua una bicicletta. Aveva sette anni.

Alle quattro del pomeriggio, mentre fuori la pioggia comincia a bagnare la folla, Lula stringe mille mani, giura sulla costituzione del Brasile e inizia il suo discorso d'insediamento. E in ciò che dice c'è la summa del suo pensiero. Ascoltiamolo. Cambiamento. È questa la parola chiave. Questo è stato il grande messaggio della società brasiliana nelle elezioni d'ottobre. La speranza ha finalmente prevalso sulla paura  e la società civile ha deciso che era tempo di percorrere nuove strade.

Tredici giorni nel retro di un pau-de-arara, un camion dal tetto di tela. Assieme ad un'altra quarantina di derelitti del sertão. In cerca di boa sorte, buona fortuna. Tanto impiegarono Dona Lindu, Lula e famiglia per percorrere i 2500 chilometri che separano Caetés da San Paolo. Tredici giorni in cui si nutrirono con banane e farina e in cui Lula rischiò di essere abbandonato per strada. Nessuno si accorse che lui e Frei Chico, il fratello di tre anni maggiore, si erano allontanati durante una breve sosta. Il camion dal tetto di tela ripartì e solo le grida di Dona Lindu lo bloccarono. Lula poté risalire ma, senza quell'urlo, il Brasile probabilmente oggi avrebbe un altro presidente e altre prospettive davanti a sé. "A volte penso: se mia madre non avesse avuto il coraggio di vendere tutto e lasciare il nord-est per andare a San Paolo, chi sarei oggi io? Probabilmente, chi lo sa, un buon bevitore di cachaça[4]. O forse sarei già morto di cirrosi…". A volte la vita può sembrare strana. Nel caso di Lula questo dubbio è una certezza.

Di fronte alla sconfitta di un modello che, invece di generare sviluppo, ha prodotto recessione, disoccupazione e fame. Di fronte al fallimento di una cultura incentrata sull'individualismo, sull'egoismo, sull'indifferenza per il prossimo, sulla disintegrazione delle famiglie e delle comunità. Di fronte alle minacce alla sovranità nazionale, alla precarietà del sistema di sicurezza pubblica, alla mancanza di rispetto per gli anziani e allo scoramento dei più giovani. Di fronte alla crisi economica, sociale e morale del paese, la nostra società ha scelto d'innovare e ha cominciato, lei stessa, con il promuovere il cambiamento necessario.

A otto anni Lula comincia ad andare a scuola, nel quartiere Ipatema che oggi si chiama Vicente de Carvalho. Era un ottimo studente, imparava in fretta, tanto che quando la madre trasferì la famiglia a San Paolo una professoressa, tal Dona Terezinha, propose a Dona Lindu di lasciargli Lula. Voleva adottarlo. La proposta fa capire quale fosse la drammatica situazione economica della famiglia di Lula ma la madre alla fine rispose di no, che non voleva separarsi dal più piccolo dei suoi cinque figli maschi. Un'altra scelta importante, decisiva perché oggi a Planalto sia arrivato il primo presidente di sinistra della storia brasiliana.

Il Brasile è un Paese immenso, un continente d'elevata complessità umana, ecologica e sociale, con quasi 175 milioni di abitanti. Non possiamo continuare a lasciarlo andare alla deriva, in balia dei venti, senza un vero progetto di sviluppo e senza una programmazione strategica.

Senza più alle spalle il padre - tiranno, le vite di Lula e dei suoi fratelli migliorarono. E di molto. Prima non potevano studiare in casa e se lo facevano doveva essere di nascosto. Adesso potevano. Prima non era loro permesso di uscire il fine settimana per andare al cinema o giocare con gli amici. Adesso potevano. Per Lula e compagnia una vera "risurrezione", che la madre appoggiava con amore e con fatti concreti: cucinava, lavava, stirava per tutti, Dona Lindu.

Se vogliamo trasformare il Brasile, se vogliamo vivere in un Paese in cui tutti possano camminare a testa alta, dovremo esercitare, ogni giorno, due virtù: la pazienza e la perseveranza. Dovremo tenere sotto controllo le nostre ansie sociali, che sono tante e legittime, affinché possano essere affrontate nel modo giusto.

Natale, anno 1954. Lula riceve il primo regalo della sua vita: una macchinina in metallo blu, modello Chevrolet. A quel tempo il comune di Santos distribuiva durante le feste dei regali per i bambini poveri. Dona Lindu fece una coda di ore per regalare un sorriso al figlio che oggi ricorda "E' stato il più bel regalo della mia vita. Poi sino a 18 anni, quando mi comprarono un pallone da calcio, non ricevetti più nulla". In un Paese come il Brasile la passione per il futebol come lo chiamano loro, è un qualcosa di connaturato. Lula amava giocare a calcio in strada, preferiva ancora il pallone alle ragazzine (poi i valori si sarebbero invertiti), ma non era di certo un Pelè. Fu in quegli anni che nacque la sua grande passione per il Corinthians, una delle più prestigiose squadre di San Paolo. Maglia bianconera come la Juve e molti trofei in bacheca. Ma la curiosità è che nel 1976 l'Internacional di Porto Alegre vinse lo scudetto in finale proprio contro il Corinthians. E sapete qual era il nome dell'attaccante dell'Internacional? Lula. Proprio come l'attuale presidente del Brasile, che per un attimo pensò di cambiare persino il suo nome. "Ah quel Lula", ricorda ancor oggi con la faccia addolorata don Inácio…

Dovremo camminare con gli occhi bene aperti e avanzare con passi ponderati, fermi, precisi. Per la semplice ragione che nessuno può raccogliere i frutti prima di piantare gli alberi . Ma cominceremo a cambiare da subito, perché, come dice la saggezza popolare, una lunga camminata comincia con i primi passi.

Nel 1955 un altro episodio che sconvolse (positivamente) la vita di Lula: Vavà, un suo fratello maggiore che all'epoca lavorava ai mercati generali di Santos, trovò in un sacco 5900 cruzeiros. L'equivalente di tre anni di stipendio. Dopo una settimana non si era ancora presentato nessuno a reclamare i soldi, che allora furono impiegati per tirare fuori dalla miseria la famiglia di Lula per un po' di tempo. "Quel denaro lo usammo per pagare l'affitto, per saldare i tanti debiti, per fare un po' di scorte di cibo in casa. Dopo prestai un po' di ciò che restava a uno zio e, nel 1956, ci trasferimmo tutti a San Paolo", racconta lo stesso Vavà. Un segno del destino. Dal sertão del Pernambuco alla terza città più popolosa al mondo, cuore pulsante del Brasile industriale e operaio: un bel salto nel giro di neanche cinque anni. Un passaggio che si rivelerà decisivo per l'entrata di Lula nel sindacato.

Il Brasile è un Paese straordinario. Dall’Amazonia al Rio Grande do Sul, tra le popolazioni della costa, del sertão e quelle che vivono sulle rive dei grandi fiumi, ciò che vedo in ogni luogo è un popolo maturo, preparato, ottimista. Un popolo che non cessa mai di essere giovane, che sa cosa significa soffrire ma che conosce anche l’allegria, che ha fiducia in sé stesso e nelle proprie forze.

Vila Carioca, Sao Paulo. Vivere nel retro di un bar non dev'essere cosa facile. Soprattutto se si è in undici e si deve dividere il bagno con i clienti. Ma tant'è. Il bar era di uno zio e quella camera sul retro fu la prima casa di Lula a San Paolo. La vita continuava dura come nel nord-est. Anche perché non avere soldi in un posto dove non c'è nulla, nel sertão pernambucano, è forse meglio che non avere un cruzeiro in una città piena di cinema, negozi, comodità e luci come San Paolo.

2500 cruzeiros. A tanto ammontava il primo stipendio di Lula. La metà di un salario minimo ma, da allora, la sua vita cominciò a migliorare. "Mi ricordo che quando arrivai a casa per dare a mia madre il mio primo stipendio, entrai in casa con un orgoglio! Mi sentivo il padrone del mondo". Dona Lindu era così fiera di quel figlio che era diventato di colpo lo "scienziato" della famiglia. Un bel periodo per Lula che in quel periodo sperimentò anche la prima sbronza della sua vita. Era il giorno di Natale del 1960, Lula aveva appena incassato la tredicesima (una rarità a quei tempi in molte fabbriche brasiliane) e con una trentina di compagni di lavoro andò in una panetteria. E si ubriacò sonoramente, con birra e vino. Ma a casa ci arrivò lo stesso. La panetteria era dietro casa.

Finché in Brasile ci sarà anche un solo essere umano che soffrirà la fame, avremo motivi a sufficienza per vergognarci . Per questo ho inserito, fra le priorità del governo, il programma di sicurezza alimentare chiamato Fame zero.

È notte a San Paolo. Dopo tre anni e mezzo alla Parafusos Marte, Lula ha cambiato fabbrica, adesso lavora all'Independência. È notte e lui ha 19 anni e sta lavorando con una pressa. È con pochi altri operai. Il padrone non c'è, arriva sempre all'alba. Nel Brasile del 1964 non c'era quasi nessun tipo di sicurezza sul lavoro, si lavorava sino a dieci ore di fila. Di notte. All'improvviso qualcosa si rompe nella macchina che sta usando e la pressa cade. Rovinosamente. Il dito mignolo della mano sinistra è tranciato di netto. In una frazione di secondo. Lula urla, chiede aiuto, ma lì non c'è telefono, nessuno ha la macchina. Non c'è un medico. Bisogna aspettare le sei del mattino, bisogna attendere che il padrone della fabbrica arrivi e lo porti dal medico. Che non riesce a fare più nulla, se non tagliargli il resto del dito…una benda, dei punti e via. È mattina e il dito mignolo della mano sinistra di Lula non è più al suo posto. La punta sotto la pressa, la base in un cesto del medico che l'ha operato. Per alcuni anni Lula restò con l'ossessione di non avere più il dito. Ne aveva vergogna. Poi scoprì che era comune avere delle lesioni alle falangi tra i tornitori, tra i metallurgici. A quell'epoca, in quel Brasile, era quasi come un attestato, una laurea ad honorem della categoria, una sorta di tesserino professionale di vita vissuta. E allora superò il trauma. Al punto che oggi arriva persino a scherzarci sopra.

Come ho detto dopo la vittoria elettorale se, alla scadenza del mio mandato, tutti i brasiliani avranno la possibilità di fare colazione, pranzare e cenare, io avrò compiuto la missione della mia vita . Ed è per questo che oggi dichiaro con forza che la faremo finita con la fame nel nostro Paese.

A vent'anni, a causa della crisi economica che nel 1965 sconvolse il Brasile, Lula perse il lavoro e passò un altro periodo nero della sua vita. Disoccupato e senza più il mignolo della mano sinistra usciva di casa alle sei del mattino e - a piedi perché non aveva i soldi neanche per comperarsi il biglietto dell'autobus - cominciava a fare il giro delle fabbriche della zona. Non c'erano i soldi per telefonare, né per mettere annunci sui giornali. Curriculum alla mano si offriva come tornitore meccanico ma, per mesi, non trovò niente di niente. Un giorno in particolare se lo ricorda ancora oggi. "Avevo litigato con mio fratello Frei Chico. Lui mi aveva dato del fannullone. Alle nove del mattino ero di fronte alla fabbrica della Mercedes Benz. Diedi le mie referenze al capo del personale che mi fece aspettare parecchio prima di darmi una risposta. Avevo un gran mal di piedi a causa di un paio di scarpe strette. Me le tolsi. Poi vidi passare degli operai che stavano fumando…avrei voluto chiedere una sigaretta ma mi vergognavo. Ero senza lavoro e, per di più, senza scarpe. In quel momento ho capito quanto sia triste per un essere umano, per un lavoratore, essere senza impiego, senza soldi, senza sigarette, senza nemmeno potersi comprare una lattina di birra…". La crisi fu durissima, per Lula e per tutta la sua famiglia. Un periodo cui sopravvisse facendo lavoretti saltuari. Ma senza un impiego fisso. La fame, quella nera, era tornata ai livelli del Pernambuco, anzi peggio. Non c'era nulla da mangiare se si escludono patate bollite e riso. Zero carne, zero pollo, zero tutto. Anche per questo la sua priorità da presidente è il progetto Fome zero. Lui c'è passato e sa che vuol dire.

Trasformeremo l’obiettivo della lotta alla fame in una grande causa nazionale. Come sono state, in passato, la realizzazione della Petrobras e la lotta memorabile per il ritorno della democrazia in Brasile. La lotta alla fame è uno scopo che può e deve essere di tutti, senza distinzione di classe, partito o ideologia.

Solo nel 1966 Lula trovò un lavoro fisso alla fabbrica Villares. Ma gli inizi furono anche qui, tanto per cambiare, duri. Anzi, durissimi. Arrivava al lavoro a piedi, da casa, perché non c'era neanche un cruzeiro per comprare il biglietto dell'autobus. Si macinava a piedi in media un'ora e mezza, due tutti i giorni. E soprattutto saltava spesso i pasti. I compagni di lavoro gli chiedevano se volesse mangiare con loro e lui faceva il finto tonto…No grazie, mi sento pesante. No grazie, soffro di mal di stomaco. In realtà il povero Lula aveva una fame boia, ma era troppo timido per confessare che non aveva i soldi neanche per un panino e troppo orgoglioso per chiedere prestiti in giro. Le cose poi migliorarono leggermente. Lavorando giorno e notte Lula riuscì a guadagnare il necessario per sfamarsi e cominciare a usare i mezzi pubblici. Ma non è che nuotasse nell'oro, anzi…"Avevo un vecchio sofà tutto rigato e provavo molta vergogna che persone importanti entrassero in casa mia. Un giorno mi fece visita Carlos Villares, il padrone della fabbrica in cui lavoravo all'epoca, per parlare con me che ero comunque uomo di fiducia e ottimo professionista sul lavoro…Che vergogna quel sofà...Qualche anno dopo ospitai in casa il deputato del Mdb[5], Jarbas Vasconcelos. Me lo ricordo come fosse oggi proprio a causa di quel sofà che, memore della brutta figura fatta con Villares, avevo provveduto a coprire con un lenzuolo. Per nascondere le parti sgualcite. Mi ricordo che ci eravamo seduti sopra ma, all'improvviso mentre stavamo parlando, balzò da sotto una cucaracha di dimensioni notevoli e Jarbas, il deputato Jarbas, la schiacciò con il piede. Spietato. Zac!…Che vergogna".

Di fronte al richiamo disperato che giunge da chi sopporta il flagello della fame, deve prevalere l’imperativo morale di unire le forze, le conoscenze e gli strumenti per difendere ciò che al mondo è più caro: la dignità della persona umana.

Fino a 23 anni Lula, un sindacato, non sa neanche come sia fatto. Nonostante le pressioni di Frei Chico, il fratello di tre anni più vecchio che era già dirigente, lui rispondeva sempre di no. "Chico insisteva perché andassi alle riunioni del sindacato ma io non ne volevo sapere. Preferivo le telenovelas. E gli rispondevo duro che a me non piaceva la politica, né quelli cui la politica piaceva…". All'epoca il sogno di Lula era di essere un buon profesional, un buon tornitore metallurgico. E magari di farsi assumere da una multinazionale come la Mercedes che all'epoca pagava bene e versava sempre la tredicesima cosa che, invece, accadeva di rado nelle piccole fabbriche brasiliane. Ma il destino, si sa, è sempre in agguato e fu una vera combinazione a portare Lula nel sindacato: si era liberato un posto nella dirigenza della confederazione dei metallugici di São Bernardo do Campo, una cittadina a pochi chilometri da San Paolo. Un posto che era stato offerto al fratello Frei Chico, che però non poteva accettare perché la fabbrica in cui lui lavorava aveva già un rappresentante. Per di più un amico suo. Fu così che propose di farsi "sostituire" dal fratello e Lula, quasi contro voglia, accettò. Ci vollero parecchie riunioni per convincerlo ma il 24 aprile del 1969 Lula entrava nel direttivo del sindacato per…sostituzione. Aveva 24 anni e nemmeno immaginava che l'aver detto sì gli avrebbe cambiato la vita. Il futuro presidente non aveva alcuna coscienza politica, lui stesso l'ha detto più volte, ma le cose erano destinate a cambiare in fretta. "Cominciai a frequentare alcune riunioni. Molte delle liti mi sembravano davvero inutili. Immotivate. Si litigava per qualsiasi cavolata…e la cosa mi affascinava…". Don Inácio cominciò a leggere i bollettini sindacali distribuiti davanti alle fabbriche, iniziò a seguire qualche discussione da vicino anche se tra una riunione e una partita con gli amici a bola, a calcio, sceglieva sempre - inevitabilmente - la seconda. E ancora una volta era Frei Chico a spingerlo ad andare in sindacato per fare la tal cosa o la tal altra….Frei Chico era tesserato nel Partidão, il Partito comunista brasiliano, e in famiglia il vero passionario della politica era lui. Non Lula, che al sindacato, pur essendo delegato, preferiva le donne e il futebol.

Sarà imprescindibile fare una riforma agraria pacifica, organizzata e pianificata. Garantiremo l'accesso alla terra a chi vuole lavorare, non solo per una questione di giustizia sociale, ma perché i campi del Brasile producano di più e portino più alimenti sulla tavola di tutti: più grano, più soia, più farina, più frutta, più fagioli – i nostri fagioli - più riso .

Maria de Lurdes. Un nome che sembrerebbe più adatto per una santa che per una donna del popolo ma, si sa, la fantasia brasiliana non ha limiti. Maria de Lurdes è stata la prima donna della vita di Lula. Un legame intenso, un amore povero ma felice. Lula la conosceva da una vita, da quando aveva 12 anni. Bruna, capelli raccolti, visino d'angelo, un fisico notevole. Quello che si dice una bella donna. Una splendida donna brasiliana. Una delle rare fotografie che di lei si hanno la ritrae mentre taglia la torta di nozze. Alle spalle un giovane e sorridente Lula, senza barba né baffi. Lei non sorride troppo e dall'immagine traspare tutta la sua concentrazione in quell'opera semplice che è tagliare una fetta di torta. Anche la sua famiglia, che proveniva dall'interno dello stato di San Paolo vicino al confine con Minas Gerais, si era trasferita nella capitale in cerca di fortuna. Anche la sua famiglia non l'aveva trovata e, quindi, di quella torta non bisognava perdere nemmeno una briciola. Di qui l'attenzione per il…taglio immortalata in quello scatto. Maria de Lurdes la conosceva bene, l'allora magrolino Lula. Ma erano "solo" amici, grandi amici e nulla più. Questo per dieci lunghi anni fatti di giochi in strada e di lunghe chiacchierate. Ma mai a don Inácio era passato per l'anticamera del cervello di mettersi con la sua migliore amica. Mai. Finché un giorno andarono a ballare, assieme al fratello di lei, Lambari. Compagno di mitiche partite con a bola, il pallone, e ancora oggi uno dei migliori amici di Lula. Adesso glielo chiedo, adesso glielo chiedo, adesso glielo chiedo…il pensiero doveva essere questo ed era un tormento per il timidissimo Lula che, mentre ballava con Maria, non riusciva a tirare fuori le parole giuste per chiederle di mettersi con lui. Di vivere insieme. Di sposarlo. Lambari, che sapeva perfettamente del "fuoco" che divampava nel cuore di Lula, lo spronava ad avere coraggio. Ma, tra una samba e una bossanova, la sua bocca rimaneva ermeticamente cucita e la lingua "drammaticamente" secca. Per scioglierla furono necessari tre cognac di fila e uno sforzo sovrumano. Alla fine Lula ce la fece e farfugliando le chiese: "vuoi stare con me?". Sì, rispose lei. E amore fu. Fulminante, se è vero che di lì a pochi mesi, il 25 maggio del 1969, si sposarono.

Incentiveremo l’agricoltura familiare, le cooperative, le forme d’economia solidale, affinché l'uomo che lavora la terra recuperi la sua dignità, sapendo quando si alza all’alba che ogni movimento della sua zappa o del suo trattore contribuirà al benessere dei brasiliani.

L'affitto fu una delle più grandi ossessioni della vita di Lula a San Paolo. Per questo non gli parve vero quando nel 1971 riuscì a comprarsi una "casa" per vivere assieme alla moglie. Le virgolette sono più che giustificate perché quella di Lula e Maria era una costruzione in fango, aveva la fogna a cielo aperto, la via in cui era stata edificata non appariva su nessuna mappa…Insomma, era quella che oggi sarebbe considerata una casa da favela. Ma tant'è, finalmente a 26 anni compiuti Lula era padrone. In casa sua. E questo gli bastava.

Agricoltura familiare, cooperative ed economia solidale sono perfettamente compatibili con il nostro pieno appoggio all'agricoltura d'impresa, all’agroindustria, all’allevamento del bestiame e al commercio agricolo. Sono realtà complementari, sia nella dimensione economica, sia in quella sociale. Dobbiamo essere orgogliosi di tutte le merci che produciamo e commercializziamo.

Chi ha letto “Addio alle armi” di Ernest Hemingway e non si è commosso per come si conclude il libro? Catherine muore all'ospedale con il figlio. Frederic Henry resta solo come un cane. La stessa cosa accadde a Lula. Pochi mesi dopo essersi sposato e aver raggiunto il sogno di possedere una casa, Maria contrasse il virus dell'epatite. Come questo avvenne non è dato sapere, ma certo le precarie condizioni igieniche della casa in cui abitavano, potrebbero essere state decisive. Un Lula preoccupatissimo la portò di corsa all'Hospital Modelo, che tradotto in italiano fa “ospedale modello”. Ma in realtà non c'era niente di "modello" in quel centro pubblico d'assistenza e Lula, a distanza di 31 anni, è convinto del fatto che il suo primo grande amore sia stato ucciso dalla negligenza dell'apparato sanitario del Brasile dell'epoca. Prima dovette insistere perché accettassero la sua Maria. Ce la fece: s'impuntò e riuscì a ottenere il ricovero. Poi, quando la sentì gridare, andò alla ricerca di un medico. Che non venne. Allora tentò di bloccare un'infermiera, ma l'unica che ebbe il tempo di ascoltarlo gli disse che era "del tutto normale". Che erano solo le doglie del parto…Maria era all'ottavo mese ed era ricoverata in una stanza assieme a molta altra gente, un carnaio più che una camera d'ospedale. Finì l'ora delle visite e Lula fu costretto a uscire. Si ripresentò il giorno successivo, sotto braccio un po' di vestitini per il bambino che stava per nascere. Prima silenzio, poi qualcuno lo avvertì, come fosse routine, che Maria de Lurdes era morta. Che anche suo figlio era morto. Il mondo gli crollò addosso. Non sarebbe stato mai più lo stesso dopo, e quel dolore rielaborato negli anni a venire, lo aiutò a battersi per i diritti di tutti. Anche dei poveri cristi che muoiono, non si sa come, né perché, negli ospedali pubblici brasiliani. Quelli per poveri.

La riforma agraria sarà fatta sulle terre improduttive, sui milioni di ettari che oggi sono disponibili ad accogliere famiglie e sementi che germoglieranno rigogliose, grazie alle linee di credito e d'assistenza tecnico-scientifica. Faremo la riforma senza danneggiare in nessun modo le terre che già producono, poiché gli appezzamenti produttivi giustificano di per sé la loro esistenza, come dimostra la gigantesca quantità di grano che ogni anno raccogliamo, e saranno stimolati a produrre sempre di più. Oggi tante aree del Paese sono occupate correttamente e le piantagioni si estendono a perdita d'occhio. Ci sono terre coltivate in cui abbiamo raggiunto una produttività superiore a quella di Australia e Stati Uniti e noi dobbiamo curare bene, molto bene, quest’immenso patrimonio produttivo.

Durante gli scioperi del 1978 che dal 12 maggio durarono sino al 23 dicembre, Lula ebbe anche un altro motivo di preoccupazione, oltre alla possibile reazione dell'esercito. Il governo federale, nelle mani della dittatura, aveva inviato al Congresso nazionale una proposta di legge in cui si proibiva il diritto allo sciopero alle cosiddette "categorie essenziali". Se approvato dai 482 deputati di Mdb e Arena, il decreto legge avrebbe complicato parecchio la vita di Lula. Perciò, assieme ad altri sindacalisti, il leader del sindacato di São Bernardo si recò a Brasilia. Per chiedere l'appoggio dei politici dell'epoca alla sua causa. Il suo appello cadde però nel vuoto più totale se è vero che solo due deputati votarono contro alla legge che vietava lo sciopero. Era chiaro che i lavoratori non avevano, de facto, rappresentanza alcuna in parlamento e quell'inutile viaggio a Brasilia fece capire a Lula che sul Congresso non si poteva contare e, per la prima volta, gli balenò in mente l'idea di creare un partito. La nascita del Partido dos trabalhadores (Pt) era ormai questione di tempo.

La lotta alla corruzione e la difesa dell'etica nell’amministrazione della cosa pubblica saranno obiettivi centrali e permanenti del mio governo. È necessario affrontare con determinazione e sconfiggere la vera e propria cultura dell’impunità che prevale in certi settori della vita pubblica .

Quello del 1978 non era stata una protesta indetta dal sindacato che, nei suoi bollettini, lo specificava più che altro per motivi di sicurezza, essendo stato vietato ex lege il diritto di sciopero. Che poi dietro ci fosse la sua opera di coordinamento era ovvio, ma il gran numero di scioperi del 1978 era stato un qualcosa d'inatteso per lo stesso Lula. E, nonostante i buoni risultati, restava l'amaro in bocca di non essere riusciti ad indire uno sciopero generale. Non ci ascoltano? Ci fanno le leggi contro lo sciopero? Bisognava cambiare strategia. Si doveva agire anche politicamente. Lula lo fece con coraggio e, in piena dittatura militare, convocò il primo sciopero generale da quando, nel 1964, la dittatura militare aveva fatto il golpe e aveva preso il potere. Era il 13 marzo del 1979 e nello stadio di calcio di Vila Euclide 80mila metallurgici erano lì ad ascoltarlo, ad applaudirlo. Lula salì su un tavolino da bar. Si muoveva molto Don Inácio e per questo i suoi compagni di sindacato più fidati lo maledissero bonariamente, quel giorno. Ad ogni gesto Lula rischiava di cadere rovinosamente e loro, sotto quel tavolino da bar malfermo, a cercare di sorreggerlo e a dirgli di muoversi meno. In uno stadio con 80mila persone, Lula parlò in una sorta di tromba acustica e senza un microfono. Una cosa mai vista prima in uno stadio. Lui urlava Companheros!, poi si fermava. Per dare tempo a quelli della fila numero trenta di ripetere a quelli dietro le sue parole. E così a cascata, sino all'ultima fila, sino all'ultima parola. Senza microfono alla fine di quella giornata decisiva per il futuro politico di Lula tutti avevano ascoltato la sua voce e lo osannavano come un nuovo leader. Ole, ole, ole, ola, Lula, Lula. Fu la prima volta che Lula sentì quel coro da stadio. Mai avrebbe pensato di risentirlo far rimbombare il Palazzo del Planalto.

Non permetteremo che la corruzione, l’evasione fiscale e lo spreco continuino a privare la popolazione delle risorse che gli appartengono e che tanto potrebbero aiutarla nella sua dura lotta per la sopravvivenza .

Con oltre 170mila metallurgici fermi in tutto l'Abc[6] paulista, il 15 marzo 1979 il tribunale del lavoro dei militari dichiarò lo sciopero illegale. Lula replicò davanti a quelli che ormai erano diventati i "suoi operai" che la protesta era "giusta e legittima". In quanto alla legalità, beh, era difficile parlare di legalità in "un Paese che si basa su leggi che non sono state fatte né da noi, né da nostri rappresentanti". Una risposta coraggiosa al diktat del tribunale, proprio mentre iniziava ad intensificarsi la repressione della polizia. Per evitare le violenze dei militari contro i lavoratori, fu necessario il diretto intervento della Chiesa e, contemporaneamente, fu proclamata una tregua di 45 giorni allo sciopero. Lula ne approfittò per preparare la categoria a una vera e propria guerra ma, quando arrivò il momento di "combattere", gli imprenditori lo spiazzarono e gli fecero una proposta che non poteva rifiutare: 15% di aumento salariale per l'intera categoria, pagamento dei giorni di vacanza e dei giorni di sciopero, nessuna riduzione dei fondi pensione. "Fu una vittoria su tutta la linea ma, dato che avevamo preparato i lavoratori per la guerra, loro non volevano più la pace. Volevano la guerra", ricorda oggi il presidente. Dover annunciare l'annullamento dello sciopero fu uno dei giorni più tristi della vita professionale di Lula. Quando venne il suo turno di parlare davanti a quelle migliaia di lavoratori pronti ad incrociare le braccia Lula non chiese l'accettazione dell'accordo, ma un voto di fiducia su di sé e la sua dirigenza. La ottenne, ma per mesi si sentì dare del traditore da molti suoi companheros e non solo dall'ala più intransigente della base. La qual cosa lo ferì moltissimo. Ma riuscì nel suo intento: migliorare le condizioni dei lavoratori.

Essere onesto non significa solo non rubare e non lasciar rubare. Significa anche investire le risorse pubbliche necessarie per raggiungere risultati sociali concreti, con efficienza e trasparenza, senza sprechi. Sono convinto che, agendo in questo modo, abbiamo un'occasione unica per superare i principali ostacoli allo sviluppo sostenibile del Paese. E credetemi davvero: non ho nessuna intenzione di sprecare questa occasione, conquistata con la lotta di molti milioni di uomini e donne .

C'è una Fiat 126 bianca che scorrazza per le strade di Sao Bernardo do Campo. E fin qui nulla di strano. Ma quel ferrovecchio del 1979 che sta perdendo la parte posteriore ha una storia tutta sua. E proprio per questo suo background il proprietario, un metalmeccanico tal José Deroseno, non se ne vuole liberare. Nonostante abbia già ricevuto numerose offerte. "È stata la prima macchina di Lula, che è riuscito a fare l'acquisto quando aveva già 34 anni compiuti. Ma all'epoca non era facile per chi faceva l'operaio. E poi qui", indica la parte superiore della capote, "c'è un bollo di grande valore. Sa qual è la sua storia? Lula era sull'auto e notò che come al solito i poliziotti del Dops lo stavano seguendo. Allora lui bloccò la 126, scese e gridò rivolgendosi agli agenti: Perché non ve ne andate? La smettete o no di seguirmi? E nello sfogarsi con i suoi "accompagnatori" tirò un pugno sulla capotte. Questa è la storia del bollo. Ed è per questo che non l'ho mai portata dal carrozziere. È un bollo storico". Già, un bollo…presidenziale.

Sotto la mia presidenza il potere esecutivo manterrà una relazione costruttiva e fraterna con gli altri poteri della Repubblica, rispettando in modo esemplare la loro indipendenza e l’esercizio delle loro alte funzioni costituzionali. Io, che ho avuto l’onore di essere parlamentare di questa Casa[7], spero di poter contare sul contributo del Congresso nazionale per un dibattito ragionevole e per porre in essere le riforme strutturali che il Paese chiede a tutti noi.

All'inizio del 1980 Lula promise a se stesso che mai e poi mai avrebbe più bloccato uno sciopero. Nonostante sapesse che firmare i contratti con gli imprenditori e annullare la protesta era stata la scelta giusta a rigor di logica, il passare per traditore della classe operaia lo stava distruggendo.  Fu così che, per superare l'impasse in cui si trovava, il leader metallurgico decise di passare all'azione. Lula non ascoltò l'allora giovane Fernando Henrique Cardoso che lo consigliava di aspettare ancora e, assieme a Olivio Dutra (oggi suo ministro) e molti intellettuali dell'epoca tra cui Sérgio Buarque de Hollanda (papà del compositore Chico Buarque), Antonio Candido, Apolônio de Carvalho, Mário Pedrosa, Florestan Fernandes e Moacir Gadoti, domenica 10 febbraio 1980 fondò il Partito dei lavoratori, il Pt. L'uomo forte della vittoriosa campagna per la presidenza di Lula, il deputato José Dirceu, ricorda così quegli inizi: "Il Pt è stato creato quando io ero in clandestinità. Lessi notizie su un operaio dell'Abc, un certo Lula, circondato da giovani sindacalisti che parlavano un linguaggio sincero, semplice e diretto. Parlavano di libertà, di ribellione e volevano lottare, conquistare i loro diritti, senza paura della dittatura. Scelsi subito di entrarne a far parte". E quello stesso giorno Lula fece una previsione che oggi sembra profetica ma cui, allora, nessuno diede credito: "Se il Pt riuscirà a fare politiche di alleanze che rafforzino il settore popolare, senza cadere nella promiscuità politica, organizzando i milioni di persone che l'appoggiano, il XXI° secolo comincerà con il Pt al governo delle principali città e dello stesso Paese". Quando si dice avere le idee chiare.

Durante il mio governo il Brasile sarà al centro delle attenzioni del mondo. Il Brasile ha bisogno di guardarsi dentro per generare le forze che gli permettano di ampliare il suo orizzonte. Ma guardarsi dentro non significa chiudere le porte e le finestre al mondo. Il Brasile deve avere un progetto di sviluppo che sia allo stesso tempo nazionale ed universale.

C'è un'immagine che tutti dovrebbero vedere per capire quante siano state le vite di don Luiz Inácio Lula da Silva. È la foto segnaletica del prigioniero 12712 che gli scattarono quando entrò nel carcere della polizia politica. Un Lula, con la barba lunga e i capelli scompigliati, che guarda fisso l'obiettivo. Lula era stato catturato perché aveva fondato un nuovo partito, cosa vietata e, soprattutto, perché il primo aprile dell'80 era iniziato il più grande sciopero generale della storia del Brasile. A seguire la misura di forza del ministero del lavoro, che aveva deposto tutti i vertici sindacali e aveva disposto alla giustizia di appurare di chi fossero le responsabilità di quello sciopero, illegale per le leggi militari. Per questo Lula finì in cella. Perché si stava battendo per un allineamento dei salari degli operai al tasso d'inflazione, perché voleva che fossero di nuovo ristabiliti i delegati sindacali, eliminati dalla dittatura per decreto. Intanto, mentre lui era in carcere e a Vila Euclide i "suoi" operai continuavano lo sciopero, la situazione era sull'orlo della guerra civile.

Ma perché televisioni e giornali osteggiavano tanto il nuovo che cercava di avanzare? Una buona spiegazione la dà Mino Carta, genovese d’origine e penna sublime. Una sorta di Montanelli alla brasiliana che ha fondato un settimanale, CartaCapital, famoso per la sua indipendenza dai poteri forti. “In Brasile ci sono pochissimi gruppi grossi: Globo, Abril, Folha, Estado, il Jornal do Brazil e l’editore Três con la rivista Istoé. Anche se ci sono questi gruppi distinti si tende a una concentrazione perché, di fronte a quello che loro ritengono sia volta per volta la minaccia comune, si uniscono. Anche se poi tra loro si odiano. Ecco, Lula era per loro il nemico comune da combattere. Perciò si coalizzarono contro di lui nell’89, ma anche nel 94, nel 98 e nel…2002”. Il risultato di tante pressioni fu la vittoria di Collor. Uno dei peggiori presidenti mai avuti dal Brasile, se è vero che solo due anni dopo fu costretto a lasciare la presidenza, a causa delle accuse di corruzione che iniziarono a piovergli contro (tutte provate in quanto aveva saccheggiato materialmente le casse della previdenza sociale).

Siamo una nazione che parla la stessa lingua, che condivide i medesimi valori fondamentali. Un Paese in cui l’interrazzialità e il sincretismo hanno prevalso, dando un contributo originale al mondo. Un Paese in cui ebrei e arabi chiacchierano senza timori, in cui tutte le immigrazioni sono le benvenute. Perché sappiamo che in poco tempo, grazie alla nostra capacità d’assimilazione e d’amore, ogni emigrante si trasforma in un brasiliano in più .

L’esperienza dell’89 fu importante per Lula. Aveva chiarito a se stesso, se mai ce ne fosse stato bisogno, che l’importanza di giornali e tv potevano essere determinanti. Perciò quando si candidò nel 94 e nel 98 decise di avvalersi di una sorta di gostwriter per parare gli attacchi (o come si dice qui le “bucce di banana”). Bernardo Kucinski era un professore universitario (e giornalista) che dallo show della Globo era rimasto molto colpito. Negativamente. Il suo “lavoro” era quello di alzarsi all’alba per leggere tutti i giornali e poi mandare a Lula via fax prima e poi, grazie alla tecnologia, via e-mail, le sue “Cartas acidas”, lettere acide. Consigli, dritte, tattiche che Lula voleva leggere per prima cosa al mattino, al punto che smise persino di leggere i giornali. Tanto c’era Kucinski. Che però non bastò: in entrambe le elezioni arrivò al ballottaggio ma fu sconfitto da Fernando Henrique Cardoso.

Questa Nazione, generata sotto il cielo tropicale, deve proclamare per cos’è venuta al mondo. Al suo interno per rendere giustizia della lotta per la sopravvivenza in cui sono coinvolti i suoi figli. All’estero per consolidare la sua presenza sovrana e creativa nel mondo.

Erano parecchi a ritenere Lula inadatto a candidarsi nel 2002, molti anche nel Pt inconsciamente pensavano che ci fosse bisogno di un volto nuovo. Anche per non rischiare il poker di sconfitte al ballottaggio. Ma Lula intuì che la gente voleva un cambiamento forte. E un presidente che puntasse tutto sul sociale. A dirglielo erano i numeri del Brasile. Sei milioni di famiglie senza una casa, 53 milioni di esseri umani che vivevano in stato di povertà. E ancora: un fisco che prevedeva 44 aliquote differenti, un sistema previdenziale allo sfascio, una riforma agraria mai attuata, una crescita del Pil che in pochi anni era scesa di un terzo, un salario minimo garantito di 200 miseri real (pari a 50 euro). E ancora: il 20% degli abitanti di San Paolo che viveva in favelas (nel 1970 era l’1%...), il 28% a Rio, il 33% a Salvador e il 50% (!) a Belém. 50mila giovani uccisi ogni anno da colpi d’arma da fuoco. Ecco i numeri da Day after che convinsero Luiz Inácio Lula da Silva a ricandidarsi per la quarta volta. Questa volta aveva visto giusto, e il 27 ottobre veniva reso noto il risultato delle urne. Con oltre il 62% dei suffragi, Luiz Inácio Lula da Silva aveva vinto. Il primo presidente di sinistra della storia del Brasile era, è ormai una realtà. Tant’è vero che adesso sta terminando il suo discorso programmatico d’investitura nel Congreso nacional. Ascoltiamolo.

La nostra politica estera rifletterà gli aneliti del cambiamento che sono stati espressi nelle urne elettorali. Con il mio governo, l’azione diplomatica del Brasile si orienterà verso una prospettiva umanista e sarà, prima di tutto, uno strumento per lo sviluppo. Con il commercio estero, le potenzialità delle nuove tecnologie e la ricerca d’investimenti produttivi, i rapporti con l’estero dovranno contribuire al miglioramento degli standard di vita della popolazione, aumentando i livelli del reddito e creando posti di lavoro degni.

Le trattative commerciali oggi hanno un'importanza vitale. In sede di negoziati Alca, nelle trattative fra il Mercosur e l'Unione Europea e nell'Organizzazione Mondiale per il Comercio (Wto), il Brasile combatterà il protezionismo , lotterà perché si eliminino le barriere e cercherà di ottenere regole più giuste e adatte alla nostra condizione di Paese in via di sviluppo.

Ci batteremo per eliminare i sussidi agricoli scandalosi dei Paesi industrializzati che danneggiano i nostri produttori, privandoli dei loro vantaggi comparativi. Con lo stesso impegno ci sforzeremo di rimuovere gli ingiustificabili ostacoli alle esportazioni dei prodotti industriali. Per le nostre politiche di sviluppo in ambito sociale, ambientale, agricolo, industriale e tecnologico è essenziale conservare spazi di flessibilità in tutte quelle sedi. Non perderemo di vista che è l'essere umano il destinatario finale dei risultati delle trattative.

Servirà a poco che ci sforziamo tanto e su tanti fronti, se da ciò non deriveranno benefici diretti per la gente. Staremo anche attenti affinché questi negoziati, che oggigiorno vanno molto al di là delle semplici riduzioni tariffarie e inglobano un amplissimo spettro normativo, non creino restrizioni inaccettabili al diritto sovrano del popolo brasiliano di decidere sul proprio modello di sviluppo (applausi vivissimi).

La grossa priorità della politica estera durante il mio governo sarà la costruzione di un'America del Sud politicamente stabile, prospera e unita. Con alla base gli ideali democratici e di giustizia sociale. Per fare questo è essenziale un'azione decisa di rivitalizzazione del Mercosur, indebolito dalle crisi di ognuno dei suoi Paesi membri e da concezioni spesso ristrette ed egoistiche del significato d'integrazione.

Il Mercosur, così come l'integrazione dell'America del Sud nel suo complesso, è fondamentalmente un progetto politico. Ma questo progetto poggia su basi economico - commerciali che devono essere rafforzate con urgenza. Ci occuperemo anche delle dimensioni sociali, culturali e scientifico - tecnologiche del processo d’integrazione. Stimoleremo i risultati congiunti e fomenteremo un vivace scambio intellettuale e artistico fra i Paesi sudamericani. Patrocineremo gli accordi istituzionali necessari affinché possa fiorire una vera identità del Mercosur e dell'America del Sud.

Molti nostri vicini attraversano oggi delle situazioni difficili. Contribuiremo, ogni volta che ci sarà richiesto e nella misura delle nostre possibilità, a trovare delle soluzioni pacifiche a tali crisi. Soluzioni sempre improntate al dialogo, alle regole democratiche e alle norme costituzionali di ciascun Paese . Lo stesso impegno di cooperazione tangibile e di dialogo avremo con tutti i Paesi dell'America Latina.

Proveremo a mantenere con gli Stati Uniti d'America un'alleanza matura, basata sull'interesse e sul rispetto reciproco. Proveremo a rafforzare le trattative e la cooperazione con l'Unione Europea e i suoi Paesi membri, come pure con altri importanti Paesi sviluppati come il Giappone. Approfondiremo i rapporti con grandi nazioni che si stanno sviluppando: Cina, India, Russia, Africa del sud tra le altre. Riaffermiamo i legami profondi che ci uniscono a tutto il continente africano, e la nostra disponibilità a contribuire in maniera attiva affinché sviluppi le sue enormi potenzialità.

Abbiamo come obiettivo non solo quello di sfruttare i benefici potenziali di un maggiore scambio economico e di una nostra presenza maggiore sul mercato internazionale, ma anche di stimolare i fattori imminenti di multipolarità della realtà internazionale contemporanea.

La democratizzazione delle relazioni internazionali, senza egemonie di nessun tipo, è tanto importante per il futuro dell'Umanità quanto il consolidamento e lo sviluppo della democrazia all'interno di ogni Stato.

Valorizzeremo le organizzazioni multilaterali, specialmente le Nazioni Unite, cui tocca il primato nel mantenimento della pace e della sicurezza internazionale. Le risoluzioni del Consiglio di sicurezza devono essere rispettate puntualmente.

Crisi internazionali come quella del Medio Oriente devono essere risolte tramite mezzi pacifici e negoziati . Difenderemo un Consiglio di sicurezza riformato, rappresentativo della realtà contemporanea, con Paesi sviluppati e in via di sviluppo delle diverse regioni dal mondo fra i suoi membri permanenti.

Affronteremo le sfide dei nostri tempi, come il terrorismo e il crimine organizzato, avvalendoci della cooperazione internazionale e basandoci sui principi del multilateralismo e del diritto. Sosterremo gli sforzi per trasformare l’Onu e le sue agenzie in strumenti agili ed efficaci per la promozione dello sviluppo sociale ed economico, per combattere la povertà, le diseguaglianze e tutte le forme di discriminazione, per difendere i diritti umani e per preservare l’ambiente.

Sì, abbiamo un messaggio da dare al mondo: dobbiamo inserire democraticamente il nostro progetto nazionale nel dialogo aperto con le altre nazioni, perché noi siamo la novità di una civilizzazione che è stata concepita senza timore - perché elaborata nel corpo, nell'anima e nel cuore del popolo, spesso senza il consenso delle élite, delle istituzioni e persino dello Stato.

Nelle ultime due decadi, il deteriorarsi dei vincoli sociali in Brasile originato da politiche economiche che non hanno favorito lo sviluppo, ha portato una minaccia allo stile tollerante della nostra cultura. Crimini scellerati, massacri e linciaggi hanno esasperato il Paese e hanno trasformato la vita quotidiana, soprattutto nelle grandi città, in un'esperienza vicina alla “guerra di tutti contro tutti”.

È mia ferma determinazione collocare il governo federale al servizio di una politica di sicurezza pubblica molto più vigorosa e efficiente. Una politica che, unita ad azioni per la sanità e la formazione, sia capace di prevenire la violenza, reprimere la criminalità e ristabilire la sicurezza dei cittadini. Se riusciamo a tornare a camminare pacificamente per le nostre strade e le nostre piazze, daremo un impulso straordinario al progetto nazionale di costruire, in questo angolo d'America, un bastione mondiale di tolleranza, di pluralismo democratico e di coesistenza rispettosa della differenza.

Il Brasile, in questo nuovo impegno storico, sociale, culturale ed economico, dovrà contare soprattutto su se stesso, dovrà pensare con la sua testa, camminare con le sue gambe, ascoltare ciò che dice il suo cuore. E tutti noi dovremo imparare ad amare con un'intensità ancora maggiore il nostro Paese, la nostra lotta, la nostra gente.

Ognuno di noi sa che quanto abbiamo fatto fino ad oggi non è poco, ma sa anche che possiamo fare molto più. Quando guardo alla mia vita di emigrante del nordest, di bambino che ha venduto arachidi e arance sui moli di Santos, che si è trasformato in un tornitore meccanico e in un leader del sindacato, che un giorno ha fondato il Partito dei lavoratori e ha creduto in ciò che stava facendo e che adesso prende il posto di supremo rappresentante della Nazione, vedo e so con tutta chiarezza e convinzione, che noi tutti, insieme, possiamo fare molto, molto di più.

Stiamo cominciando, oggi, un nuovo capitolo della storia del Brasile. Non un Paese che cede la sua sovranità, né una nazione immorale che osserva passivamente la sofferenza dei più poveri. Ma un Paese fiero, nobile, che si afferma con coraggio nel mondo come nazione di tutti, senza distinzioni di classe, razza, sesso e religione.

Questo è un Paese che può fare, e lo farà, un salto di qualità. È il Paese del nuovo millennio, per la potenza agricola, la sua struttura urbana ed industriale, la sua fantastica biodiversità, la sua ricchezza culturale, il suo amore per la natura, la sua creatività, la sua competenza intellettuale e scientifica, il suo calore umano, il suo amore per il nuovo e l'inventiva ma, soprattutto, per le doti e l'energia del suo popolo.

Ciò che viviamo oggi, miei compagni e mie compagne, può essere riassunto in poche parole: oggi è il giorno del rincontro del Brasile con se stesso. Ringrazio Dio per essere arrivato dove sono arrivato. Adesso sono il servitore pubblico numero uno del mio Paese.

Chiedo a Dio saggezza per governare, discernimento per giudicare, serenità per amministrare, coraggio per decidere e un cuore grande come il Brasile per sentirmi unito a ogni persona di questo Paese, ogni giorno, per i prossimi quattro anni. Viva il popolo brasiliano. 

 

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"Lula, il presidente dei poveri. Un ex operaio alla guida del Brasile" di Paolo Manzo - Collana: I Saggi, Baldini&Castoldi, Milano, 2003, ISBN 88-8490-351-3, pagg. 152, 11,90 euro.

Paolo Manzo, 32 anni, di Santo Stefano Belbo (Cuneo), laureato alla Bocconi in economia politica. Redattore e giornalista di Vita, il settimanale del non profit italiano. Editorialista specializzato in politica estera sudamericana per il quotidiano Europa. Per la sua attività giornalistica ha viaggiato per lunghi periodi nella ex-Jugoslavia, nel Kurdistan turco, in Brasile e in Argentina.

 


Note


[1] E Joao Pedro Stedile il leader del Movimento dei Sem Terra lo spiega bene nella sua intervista nel secondo capitolo.

[2] Il Pernambuco è lo Stato del Brasile, con capitale Recife, di cui fa parte Caetés.

[3] Non nove perché il fratello maggiore Jaime aveva già raggiunto il padre a Santos due anni prima.

[4] Un liquore che si estrae dalla canna da zucchero. Sono circa 130 i termini diversi per definirla ed i più accreditati sono: acqua del litigio, sudore d'alambicco, sette virtù, focosa, veleno oppure mia consolazione. In molti sostengono che l'origine di questo liquore è da attribuire ai contadini che lavoravano nei campi e pestando involontariamente la pianta, ne consentivano la successiva fermentazione. Dalla cachaça, all'inizio del secolo scorso, nasceva la Caipirinha.

[5] Il Movimiento Democrático Brasileño, unico partito politico esistente in quegli anni in Brasile, assieme all'Arena (Alianza Renovadora Nacional). In teoria di centro-sinistra, avrebbe dovuto fare da contraltare all'Arena che appoggiava apertamente i militari. De facto servì a mantenere una facciata di parlamentarismo in Brasile, dopo il golpe del 1964.

 [6] Il quartiere di San Paolo che fu teatro degli scioperi e della repressione dei militari.

[7] La Camera brasiliana, che ha sede nel Congresso.