Agualusa scrittore di frontiera

Intervista all'autore di “Quando Zumbi prese
Rio”, romanzo-ponte tra distinte identità culturali

 

di Silvia Zingaropoli

 

«Elicotteri volteggiano nel cielo, in lontananza, agitando l'acqua stagnante della laguna. Francisco Palmares (...) li vede puntare verso il Morro da Barriga, proprio lì, dove gli ultimi rivoltosi hanno cercato rifugio. A quella velocità gli saranno sopra, sputando fuoco, in pochi secondi. Intorno agli apparecchi, si alza un disperato trambusto di ali. Stormi di tucani, aironi, anatre, si lanciano impazziti contro le eliche, e il sangue schizza e si sparge, soffiato dal forte vento, fino a rovesciarsi in una pioggia da fine del mondo sull'asfalto caldo».

Con questo scenario apocalittico si apre “Quando Zumbi prese Rio” (edito dalla casa editrice La Nuova Frontiera),  l'ultimo libro dello scrittore angolano José Eduardo Agualusa, presentato il 27 maggio scorso presso il Centro de estudos brasileiros di Roma. Il romanzo si ispira al mito del fondatore della Republica dos Palmares, costituita nel XVII secolo da un gruppo di schiavi fuggitivi, e - trasposto al giorno d'oggi - narra la storia di un vecchio coronel da segurança angolano che, nel 1992, si trasferisce a Rio de Janeiro entrando nel commercio di armi con i trafficanti. Poco a poco quello che sembra essere un semplice conflitto tra polizia e banditi comincia ad assumere contorni spiccatamente politici, e la narrazione non è che la storia delle violazioni dei diritti nei confronti del popolo delle favelas viste dall'ottica di due angolani, il colonnello e un giornalista. A questo proposito, Agualusa ha affermato che «tutti i personaggi sono inventati, ma la realtà è lì. I personaggi ricordano figure mitiche della storia del Brasile, eroi e banditi, tutti in qualche modo legati dalla lotta contro l'oppressione e l'emarginazione».

Goffredo Fofi, grande esponente del giornalismo italiano, nel corso della presentazione del libro ha definito l'autore come un «uomo in movimento, alla continua ricerca del modo migliore di raccontare la propria epoca ed in perfetta sintonia con essa. Un'epoca più complessa rispetto al passato, l'epoca della globalizzazione: non nella accezione negativa del termine (in chiave di capitale, di imperialismo), bensì intesa come un collegamento tra gli abitanti della terra che permette di avvicinarsi a situazioni, culture, persone diverse da noi. E’ un romanzo "dentro" la cultura di oggi, senza il ricatto e le cadute che questa globalizzazione produce». E difatti un filo sottile percorre tutto il libro congiungendo i vari poli dell'universo lusofono, un filo che passa da Lisbona a Rio De Janeiro fino ad arrivare, nel suo viaggio letterario, a Luanda. E' questo, il messaggio fondamentale dell'autore: strenuo sostenitore della necessità di un recupero delle proprie radici da parte del popolo brasiliano di origine africana, Agualusa ha scritto un romanzo che potrebbe essere definito un ponte tra distinte identità culturali. Un incontro culturale unico che contribuisce a rafforzare, in maniera indelebile, i vincoli che uniscono i paesi di lingua portoghese.

«Esiste una totale mancanza di informazione, nel brasiliano medio, riguardo all'Africa», afferma l'autore. «Ignoranza perversa: il Brasile è una nazione di origini africane. Ma il nero continua a essere associato alla schiavitù ed alla povertà, e egli stesso tende ad eludere la sua origine. Il Brasile ha necessità di riscoprire l'Africa nella vitalità della sua cultura moderna, perché solo così i  brasiliani di origine africana potranno recuperare orgoglio e dignità».

Il romanzo è scandito da citazioni di poesie e canzoni che contribuiscono a dare luogo ad una narrazione ritmata, “musicale”: non è un caso che sia dedicato, tra gli altri, a Chico Buarque, Gilberto Gil e Caetanto Veloso («Perché con loro ho scoperto il Brasile» ha affermato l’autore). Accanto a questi nomi, compare anche quello di Jorge Amado. «Gli africani e gli afro-discendenti hanno partecipato, dal principio, al processo di formazione della nazionalità brasiliana», spiega Agualusa: «non è un caso, infatti, che le manifestazioni della cultura brasiliana che si sono imposte sul panorama internazionale siano, nella loro essenza, di origine africana: la musica popolare, il carnevale, o il potente universo letterario di Jorge Amado».

Romanzo di azione, di storia, d’attualità. Romanzo che affronta problematiche attuali ma che al contempo è pura finzione. Romanzo di denuncia e di introspezione scaturito da una serie di interviste fatte dall'autore nelle favelas, “Quando Zumbi prese Rio” ci parla del ruolo dei trafficanti e del loro potere in Brasile. Una storia che è frutto dell’immaginazione dell’autore, ma che al contempo prende spunto dalla realtà riproducendola e, in alcuni casi, estremizzandola. Tutto questo è l’ultima opera di José Eduardo Agualusa che è riuscito, ancora una volta, a rendere onore allo straordinario universo culturale africano spesso dimenticato e, forse, troppo spesso sottovalutato.

 

                     

Intervista a José Agualusa

 

"O Ano em que Zumbi tomou Rio" s’ispira a un personaggio storico (Zumbi, il fondatore della Repubblica dos Palmares) e, al contempo, affronta un tema attuale come quello dei trafficanti di armi in Brasile; inoltre personaggi reali si fondono con personaggi fantastici, ed esperienze personali sfumano in racconti mitici. Qual’è la chiave di lettura giusta per questo romanzo? 

«È un romanzo che parla di oggi, di ieri e di domani: è un insieme di riflessione e di azione, di realtà e finzione. Mi piacerebbe che il lettore riuscisse ad entrarvi totalmente e arrivasse a interrogarsi sulla realtà del popolo brasiliano».

Grandi nomi come Mia Couto, José Craverinha o José Agualusa, hanno il merito di aver fatto conoscere a livello internazionale l'universo letterario lusofono del continente africano: ciononostante, all'estero si parla poco di questo affascinante mondo letterario. Secondo lei, da che cosa dipende questa disattenzione da parte del pubblico straniero?

«Diciamo che partiamo svantaggiati: nel mondo, il romanzo contemporaneo è evidentemente un genere di tradizione europea, ed è quindi naturale che l'Europa abbia una letteratura molto più forte di quanto lo sia quella africana. Ma negli Anni Settanta abbiamo assistito al boom della letteratura latinoamericana che, con il suo realismo magico, andò ad influenzare enormemente le altre letterature - in primo luogo quella Nord-americana -: credo che accadrà la stessa cosa anche con la letteratura africana...».

Intende dire che lo merita?

«Lo merita, ma soprattutto credo che noi africani abbiamo una storia interessante da raccontare. Ci sono buone idee, autori di grandi capacità, ma soprattutto una grande storia da raccontare».

Nel suo ultimo romanzo, compie un viaggio letterario che abbraccia l'intera comunità linguistica portoghese, passando da Lisbona a Rio de Janeiro, giungendo fino a Luanda. Quanto è importante, per lei, l'incontro culturale delle diverse terre lusofone?

«Credo sia importante che un paese grande come l'Angola, che in questo momento ha svariate prospettive per il futuro, riesca a integrarsi in universo più vasto, sia dal punto di vista culturale che sociale. Dall'altro verso, tra i paesi di lingua portoghese, il Brasile è forse quello che meno possiede una coscienza "lusofona". Credo che uno scambio culturale reciproco, apporterebbe grandi benefici a tutti». 

Secondo lei il Brasile si è allontanato troppo dalle sue origini africane?

«Il Brasile è un paese molto chiuso in se stesso, e ciò forse dipende dalla sua vastità: i brasiliani sono 170 milioni e, più di tanto, non interessa loro sapere quello che accade nel resto del mondo. Credo sia importante che il Brasile si riavvicini all'Africa, perché le persone che sono oggi in Brasile sono le stesse che un tempo si trovavano in condizioni di schiavitù. Troppe volte purtroppo accade che l'alta borghesia brasiliana provi vergogna delle proprie origini africane, delle proprie origini schiave; riavvicinarsi all'Africa, andare alla ricerca delle proprie radici significherebbe ridare dignità a milioni di afrobrasiliani: è necessario che riscoprano l'Africa e la sua cultura».

L'Angola è un paese ricchissimo: petrolio, diamanti, terre fertili... eppure il tenore di vita degli angolani è uno dei più bassi del pianeta. Denutrizione, povertà e devastazione regnano su questa nazione, da poco uscita dal terribile conflitto (durato quasi un trentennio) che ha lasciato in eredità più di 15 milioni di mine inesplose. Come definirebbe l’odierna situazione in Angola?

«Senza dubbio l'Angola, dopo la tragedia della guerra, ha finalmente intrapreso il cammino verso un miglioramento. La stampa rappresenta il primo segnale di questi progressi: possiamo affermare con sicurezza che oggi il giornalismo angolano è totalmente libero. Ma, per cambiare questo stato di cose è necessario, in primo luogo, istituire una democrazia: di fatto, è solo per mezzo di un governo democratico che possiamo pensare di battere  la corruzione,  una delle cause principali dei mali che attanagliano l'Angola: basti pensare che le imprese private che oggi si occupano dello sminamento, sono le stesse che durante la guerra hanno alimentato il commercio delle mine. Questa è, secondo me, una delle più grandi ipocrisie del mio paese. Solo grazie alla democrazia riusciremo a tornare in una situazione di normalità ma, fino ad allora, tutto ciò non sarà possibile». 

Come definirebbe la nuova generazione di autori angolani?

«Ciò che maggiormente la contraddistingue è la diversità, la varietà: credo vi siano idee molto interessanti tra i giovani autori angolani, e vale la pena che vengano presi in considerazione». 

Crede che un giorno tornerà a vivere in Angola?

«Ho appena comprato una casa a Luanda: presto tornerò a vivere lì». 

Lei ha vissuto tra Angola, Brasile e Portogallo. Quale, tra queste tre nazioni, sente come la sua vera "patria"?

(Ride, ndr) Tutte. Mi sento un cittadino del mondo.

 

OOO 

 

 

Di origine angolana, portoghese e brasiliana, José Eduardo Agualusa (che si autodefinisce sempre più scrittore e sempre meno giornalista) dedica gran parte del suo lavoro allo studio della cultura creola, che significa per l’autore riscoperta delle proprie radici, fondamentali per l’affermazione dei valori culturali angolani e delle culture africane colonizzate in genere. Sostenitore dell'innovazione stilistica e semantica impressa dagli autori africani moderni alla lingua portoghese, Agualusa è al contempo vivace difensore e fruitore del portoghese dei grandi autori classici, come Eça de Queiros, al quale si ispira nel suo romanzo Nação Crioula. Autore, tra gli altri, di testi come A Conjura (1989), A Feira dos Assombrados (1992) o Estação das Chuvas (1992), Agualusa è da sempre impegnato nella lotta per l'introduzione delle lingue africane nella letteratura del suo paese, allo scopo di aiutare i giovani autori ad esprimere i propri sentimenti in maniera più spontanea ed esatta. A questo proposito ha proposto la creazione di una commissione di traduttori allo scopo di divulgare i loro testi nelle altre lingue.  

 

 

"Quando Zumbi prese Rio" - di José Eduardo Agualusa - 2003 - Ed. La Nuova Frontiera - Collana Liberamente - 16,50 - pagg.320