Omaggio giapponese a Tom Jobim

 Sakamoto dedica il suo ultimo disco al grande compositore

di Célia Takada

Traduzione dal portoghese di Massimo Milano

 

 

Sono frammenti di vita, nella loro involontaria poesia quotidiana, quelli che Ryuichi Sakamoto ha scelto di raccontare nella sua prima incursione nei territori della musica brasiliana. Punteggiati dal violoncello meló di Jaques Morelenbaum e dalla voce calma e lineare della cantante Paula, entrambi suoi partner nel recente tour nipponico per il lancio dell'album "Casa", dedicato ad Antonio Carlos Jobim. Un incontro/confronto fra personalità artistiche capaci di accorciare le distanze fra due culture apparentemente in antitesi, e di mostrare al pubblico giapponese —già per tradizione sensibile al fascino della bossa nova— un Tom osservato da una diversa angolazione estetica, dal sapore vagamente cameristico.

Ma benché collocate in una nuova dimensione, le canzoni di Jobim non sono state spogliate del loro caratteristico umore nostalgico, tipico dello spirito carioca. Come brevi haiku in forma di musica, le riletture del trio hanno semmai enfatizzato il potere immaginifico della musica di Tom, la sua capacità di evocare con la medesima naturalezza il calore di un bacio, il tepore di una spiaggia o le luci di un tramonto, senza mai cadere nella retorica da cartolina patinata. Quando Sakamoto ha dato inizio al concerto con "As Praias Desertas", su di un palco dal colore inquietantemente nero, l'impressione è stata quella di assistere ai preliminari di un rito celebrato da un sacerdote visionario, in grado di intervenire con il suo potere demiurgico sulla materia sonora e di rimodellarne la forma. In quell'oscurità in cui duemila occhi nipponici si aspettavano una musica tenue ma al tempo stesso propulsiva e ricca di colori, l'artista giapponese ha mostrato sin dalle prime battute l'intenzione di voler ridefinire la nozione stessa di bossa, così come giunta fino a noi, per dare vita ad un nuovo suono, più etereo e stilizzato, da centellinare a piccoli sorsi come un inebriante vino d'annata. 

In uno spettacolo concepito con estrema semplicità, ma al tempo stesso raffinatissimo e attento ai più piccoli dettagli, non è stata per nulla sorprendente la defezione del pubblico brasiliano, che pur vanta la più numerosa comunità straniera presente oggi in Giappone, con oltre 250 mila lavoratori giunti nel paese nel corso degli ultimi dieci anni. Salvo rare eccezioni, la maggior parte di quegli imigrantes non ha mai avuto la possibilità di accedere ad una nozione di musica in quanto arte. Sottoposti ad un martellamento incessante di canzonette a buon mercato, fatte su misura per evocare culi al vento ed un immaginario erotico di basso livello, i nippo-brasiliani hanno finito per confondere la propria tradizione culturale con molti dei sottoprodotti che in parte già consumavano nel loro paese d'origine, in un processo di progressiva spersonalizzazione, alimentato da condizioni di vita impossibili e da estenuanti orari di lavoro alla catena di montaggio in fabbriche di ricambi d'auto, di computer o di bento.

Momenti da rimuovere ad ogni costo dalla memoria, anche a prezzo di congelare la propria evoluzione intellettuale in una sorta di 'sindrome di Peter Pan' collettiva. Per i dekassegui —così sono chiamati i brasiliani di origine nipponica che vivono per lo più concentrati in alcune regioni del Giappone— la resistenza alla crescita non è infatti limitata ad una mera questione anagrafica. E' piuttosto una resistenza alla maturazione della propria stessa sensibilità culturale; un rifiuto netto di tutto ciò che è altro rispetto al proprio microcosmo quotidiano; un atteggiamento mentale che in relazione alla musica si traduce in un impulso a consumare in modo ossessivo una miscela confusa di ritmi funk e axé, quasi come se il rifugiarsi nella frenesia di una danza ad alto contenuto erotico avesse il potere di contenere il processo d'invecchiamento e di preservare dai problemi del quotidiano.

Non è stato dunque il costo dei biglietti (7000 yen, circa 125 mila lire) a scoraggiare i brasiliani, anche se è servito come ottimo pretesto per perpetrare quella discriminazione di cui la comunità da sempre si dice vittima. Ma il forfait dei sudamericani non ha pregiudicato la riuscita del concerto. Con un clamoroso sold out al teatro Shimin Kaikan di Nagoya, ed in quasi tutte le altre piazze toccate dal tour, i giapponesi hanno dimostrato con la loro presenza numerosa l'importanza di una politica educativa che investe nella formazione culturale dell'individuo sin dalla sua prima infanzia. Un Sakamoto particolarmente loquace ha sedotto e intrattenuto quella platea attenta, raccontando aneddoti su Jobim e le sue composizioni, per poi soffermarsi sul suo viaggio in Brasile, lo scorso maggio, in occasione del tour promozionale del CD "Zero Landmine", dedicato alla raccolta di fondi per lo sminamento delle ex zone di guerra. 

La concentrazione del pubblico, tuttavia, non ha impedito alla serata di essere prodiga di emozioni. Abbandonando la propria abituale rigidità, il fervore nipponico si è spinto ben oltre gli applausi di rito, esplodendo in grida, esclamazioni e risate fragorose, in un continuo botta e risposta con l'artista. E in quel clima insolitamente disteso, la gente si è lasciata prendere per mano e trasportare da una musica impregnata di poesia, che ha portato sul palco le stesse atmosfere naturalistiche già assaporate nell'album "Casa", registrato lo scorso febbraio a Jardim Botânico nella villa di Tom, fra i gracidii delle rane ed il fruscio delle piante del vicino giardino. Un omaggio affettuoso all'universo sonoro di un musicista che il trio ha scelto di proporre per l'occasione come l'ultimo dei grandi autori classici del Brasile contemporaneo, più ancora che come padre storico della bossa nova.       

                                     

Célia Takada (São Paulo, 1959) è giornalista ed esperta di problemi socio-culturali del Brasile. Ha collaborato con l'Agencia O Globo, il Jornal Estado de São Paulo, la Folha de Londrina ed il Caderno Rural. Vive attualmente in Giappone dove è corrispondente per il settimanale International Press. In Italia collabora con l'inserto culturale Alias de Il Manifesto.