R e c e n s i o n i   

&

Cronache

Trio

Mocotò

SAMBA ROCK

 

 

DJ Patife

COOL STEPS  DRUM'NBASS GROOVES

 

Daniela

 Mercury

SOU DE QUALQUER LUGAR

 

Eli Goulart e Banda do Mato

BICHO DO MATO

 

Rosa Emilia

 in concerto a Milano

Lula

Queiroga

ABOIANDO A VACA MECANICA

 

 

Gabriele Mirabassi

in concerto a S.Lazzaro (Bo)

Trio Mocotò

Samba Rock

(Ziriguiboom / Crammed Discs / Y Brasil Music

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Sono trascorsi 24 anni dalla precedente uscita del Trio. Da allora non si erano più avute tracce di loro, se non per João Parahyiba, che partecipò anche all'unico disco del compianto Suba, "São Paulo Confessions", del '99. Il trio si fece conoscere, negli anni sessanta, accompagnando Jorge Ben, e contribuì a definire quello stile ibrido di soul/R'n'B/funk e samba, detto samba soul o samba rock. Trio  Mocotó, Dom Salvador, Bebeto,  Di Melo, Banda Black Rio, crearono il sound. Poi, più nulla. L'ondata di riscoperta di questi gruppi, partita da alcuni dj inglesi e sfociata in alcune compilations (ultimamente, sempre per la Ziriguiboom, è uscito "Samba Soul '70", con le note di copertina, guarda un po', di João Parahyba), ha favorito anche il Trio, che ripresenta il proprio sound con minimi aggiustamenti: concessioni, in un paio di brani, negli impasti vocali, al gusto pagode di questi anni, e qualche filtro vocale alla Cher, di cui non si sentiva la mancanza. Ma per il resto, sono sempre quelli di "Desapareça, vá, desapareça", o "Maior é Deus", e, dato l'evolversi del gusto, basta questo per suonare modernissimi. C'è grande divertimento in questo disco, nel suonarlo e cantarlo con incrollabile swing e "balanço", a partire da "Voltei amor", e prosegue senza cali fino a "Fui". Il "groove" scorre torrido tra composizioni originali (tra cui l'ultra-lounge ed exotica Cyrano De Beijorac - ".. um poeta de araque..." sic!, scritta da Rita Lee e Apollo 9), in equilibrio tra virtuosismi strumentali (si segnalano gli assoli alle tastiere di Roberto Lazzarini e un ospite di lusso come Nailor "Proveta" Azevedo, che cura anche gli arrangiamenti dei fiati) e cover come "Aguas de Março", con la cuica che sostiene la linea melodica (ma è inarrivabile la versione, sempre per "cuica e trio", che i nostri fecero nel '73,  nel loro disco omonimo, di "Raindrops keep fallin' on my head", di Bacharach, ribattezzata per l'occasione .. "Gotas da chuva na minha cuica"). L'altra cover è  "A tonga da mironga do Kabuletê", molto adatta, già in origine, alla "malandragem" del trio. Un ottimo ritorno.

(Mauro Montalbani)

 

 

Daniela Mercury

Sou de qualquer lugar

BMG-Ariola 74321876482

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Nuova uscita e nuova pelle per la Mercury (piu’ che mai piacente, sensuale e svestita sulla copertina di questo CD). La Daniela nacional abbandona com un guizzo gli esigui residui di axe’ delle ultime produzioni e si converte com decisione e definitivamente alla MPB: potenza delle leggi di mercato, ma non si puo’dire che il completamento della metamorfosi sia inefficace, sgradevole o fuori luogo. “Sou de qualquer lugar”, cosmopolita e eterogeneo fin dal titolo, e’ un lavoro riuscito e bem arrangiato, che chiama in causa il meglio dei compositori degli ultimi anni, da Lenine a Carlinhos Brown a Chico Science, senza dimenticare la vecchia guardia, bem rappresentata da Gilberto Gil e Rita Lee. A dire il vero, per accreditarsi ancora di piu’ come la nuova lady del pop brasiliano, la Mercury scava molto oltre nelle radici musicali del suo paese, fino a ripescare un celebre protosamba di inizio secolo di Chiquinha Gonzaga, “O abre alas”, riadattato e integrato nella traccia finale, “Nina”. In definitiva un buon album, anche se si finisce a tratti col rimpiangere certe intuizioni brillanti e ancora poco mature di “Feijao com Arroz” e “Sol da Liberdade”. Il tutto, come gia’ accennato, há la pulizia e la precisione di un prodotto patinato e altamente commerciale ma di ottimo gusto. D’altronde non era un intoccabile come Caetano Veloso che durante il tour di Fina Estampa disse: “Canto in spagnolo per sentire com’é essere nella pelle di un altro, o, come dice il mio manager, per guadagnare fette di mercato”? 

(Giangiacomo Gandolfi)

 

 

 

 

Lula Queiroga

Aboiando a vaca mecânica

autodistribuito

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Scena prima, 1983. Esce un disco "Baque Solto", a nome Lenine e Lula Queiroga", trascurabile per contenuti musicali, e difatti per anni non si sa più niente dei due protagonisti. Una decina d'anni dopo, uno dei due, quello con il nome comunista, inizia a farsi conoscere, dalla sua Recife, in qualche modo anticipando l'ondata musicale che verrà poi definita "Mangue-beat". Scena seconda, 2001. Esce il primo disco solo di Lula Queiroga. Se Lula è amico e vecchio sodale di Lenine, deve essere ascoltato con attenzione. Lo sforzo è ripagato, perché le affinità con il suo fratello d'arte sono tante. Certo, deve piacere questo stile estremamente ibrido, in cui convivono cantoria, bossanova, funk, maracatu, hip hop e quant'altro, dall'approccio sempre un po' concettuale, ma stimolante. Si parte subito con un pezzo molto teso, "Eu no futuro" (..tá tudo  mudado, eu virei vagabundo globalizado" ".. no futuro a onda é diferente mas tem miséria igual, tem solidão também"), passando poi alla bossanova tropicalista di "O habitat da felicidade", con la bella voce di Nina Miranda. Subito dopo segue "Ultimo Minuto", dalle movenze dub-maracatu, per poi passare, al brano seguente, all'elegia di "Noite Severina", composta e cantata assieme a Pedro Luis, di Pedro Luis e a Parede. Altri ospiti del disco: Jorge Mautner, Silverio Pessoa - transfuga dagli ormai sciolti Cascabulho -, Arnaldo Antunes, e l'immancabile Lenine. Si possono trovare, come in "É nenhuma" inflessioni funk-rock coesistere con sonorità nordestine. "Torcida inglesa", con Arnaldo Antunes, sembra uscita direttamente da "Na pressão" di Lenine, che a sua volta compone a quattro mani e interpreta con il suo antico compagno il pezzo che chiude il disco, "Rosebud (o verbo e a verba)". Parole di Lula: "Aboio è uno stile di canto del sertão nordestino, prologo cantato dai mandriani per suonare la boiada. Vaca Mecânica è il nome con cui sono chiamati i centri di distribuzione di pane e latte di soia per le comunità bisognose, in alcuni stati del nordeste". Parole di Jorge Mautner, che non è necessario tradurre: ".. É uma miscelândia kaótica e de profunda harmonia dos sons e acordes e letras-poesias das praias e florestas do novo mundo." Stimolante.

(Mauro Montalbani)

 

 

 

 

DJ Patife

Cool Steps – Drum’n’Bass Grooves

Sambaloco/Trama T300/523-2

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Quale futuro per la scena D’n’B paulista dopo la precoce e drammatica morte del suo leader, l’eccellente Suba? Questa sembra la domanda a cui tenta di rispondere l’astro nascente DJ Patife, e per farlo non esita a dialogare com i piu’ accreditati colleghi europei e americani. Il risultato e’ un’avventura musicale assolutamente degna di nota che esplora nuovi territori e brilla di intuizioni felicissime come di grooves contagiosi per il dancefloor. Il discorso sotteso a questo lavoro non e’ altro che l’eterno fil rouge della musica brasiliana: una dialettica infinita tra tradizione e innovazione, tra radici autoctone (la mitica e paradossale “purezza nazionale mestica”) e influenze esterne, contaminazioni frattali com i mille linguaggi del mondo globalizzato (in questo caso l’apparentemente algido scenario dell’elettronica). Ebbene, ascoltate “Cool Steps”e capirete quanto indistruttibile e creativamente superba sia la forza che tende ad assimilare, assorbire, rielaborare nella specificita’ brasileira immaginari musicali apparentemente estranei e lontani. Di piu’:  questa energia interpretativa riesce a incorporare un immaginario di ritorno, un esotismo superficiale da Primo Mondo annoiato che contempla e desidera l’elan vital tipicamente tropicale. Come Tropicalia fa suoi al tempo stesso i prodotti rock dell’occidente ribelle e il grottesco demode’ del casco di banana di Carmen Miranda, cosi’DJ Patife reimporta da Londra la post-bossa decorata di improbabili batucadas elettroniche e condita di riff house e funkeggianti, conferendole un aroma inconfondibile di musica urbana del Brasile contemporaneo. Ed ecco cosi’nascere piccole perle come “A go go”, remix di un hit del teutonico Truby Trio, “Wishing Well” degli emergenti e trendy London Elektricity, una elettrizzante versione del jobiniano “So tinha de ser com voce” in compagnia di Fernanda Porto e DJ Marky, una impagabile “Jam Session” strumentale com Joao Parahyba. Patife campiona e swinga come un perfetto biotecnologo della consolle, estraendo spezzoni di DNA musicale e rimescolando a piacere (suo e nostro) com precisione metronomica. E non a caso finisce com remixare un altro emergente “onnivoro”del pop brasiliano, Jairzinho Oliveira, facendo un efficace tormentone-manifesto del suo “Mexe e saculeja”.

(Giangiacomo Gandolfi)

 

 

 

 

Eli Goulart e Banda do Mato

Bicho do mato

Unique 053

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Alla fine doveva succedere. Le etichette che definiscono la club culture, dopo il saccheggio dell'immenso patrimonio musicale brasiliano, si sono messe a produrre in proprio gli artisti, invece di campionarli. É il caso, da tempo, della Far Out, della Mr. Bongo, ed ora anche della Unique. Eli Goulart è un cantautore che possiede nei cromosomi, pur con una sua personalità, più di un gene di Djavan, seppur con diverso timbro vocale, si veda ad esempio "Destino" o "Espelho". Il linguaggio musicale è abbastanza composito, con inflessioni a volte nordestine, a volte MPB, funk-jazz, o anche maracatu-funk, come nel brano che dà il titolo all'intero disco, dagli arrangiamenti molto raffinati, e ben suonato dalla "banda do mato", con la sezione fiati tutta tedesca. Il samba-reggae può fondersi con la MPB, come nel brano "A espera di criador", ma sempre con fluidità. Molto bella anche la quiete di "Palavra", con l'assolo di tromba di Volker Goetze, ma è tutto il disco che non ha particolari cedimenti, e risulta esteticamente compatto. Eli è a suo agio anche nella bossanova di "Tête a tête", così come nel samba strumentale "Meu samba", di cui già circola il remix di Nicola Conte. Un disco forse non indispensabile, ma fatto con amore, gusto ed eleganza.

(Mauro Montalbani)

 

 

 

Concerto

Lo Choro di Gabriele Mirabassi

Lunedì 26 novembre 2001

Teatro ITC di San Lazzaro (BO)

 

Musicisti italiani e francesi hanno suonato lo Choro brasiliano con strumenti imprevisti, mai prima contemplati per questo tipo di musica. Gabriele Mirabassi e il suo clarinetto hanno guidato un’avventura che si è aperta al suono di “Um a zero” di Pixinguinha, con la fisarmonica di Luciano Biondini, il mandolino di Patrick Vaillant e la tuba di Michel Godard fusi in una vitalità ritmica che ricordava il Ragtime, le feste popolari d’estate, l’allegria della banda, in arrangiamenti di grande raffinatezza. Mirabassi è simpatico e comunicativo, spontaneo: tra un brano e l’altro parla con autentica passione dei principali compositori di choro - Pixinguinha, Jacob do Bandolim e Ernesto Nazareth - autori dei brani da loro eseguiti. Si dichiara in continuo apprendistato verso questa musica straordinaria e ricchissima. E' contento quando parla di choro e anche quando lo suona; in realtà è uno spettacolo anche solo vederli suonare: durante brani vivaci e pieni di aria, vita e virtuosismo come “Chorei”, “Ainda me recordo”, “Segura ele”, i quattro bravissimi musicisti sembrano intenti in un gioco che li diverte e ancora li sorprende. E il clarinetto di Mirabassi prende vita, si muove, si solleva, facendo quasi lievitare il musicista dalla sedia. La fisarmonica di Biondini dondola, lui ne accompagna dolcissimo i movimenti nell’assolo di “Apanhei-te cavaquinho”. In “Seu Lorenço no vinho”, titolo che aveva molto divertito Mirabassi quando – ha raccontato il musicista - l’aveva erroneamente interpretato come San Lorenzo nel vino, fisarmonica e clarinetto si inseguono in una musica senza tempo: in che secolo siamo: Sette, Otto o Novecento? In “A Ginga do Mané” la fisarmonica suona insieme al mandolino di Vaillant, mandolino poliedrico, un po’ chitarra, un po’ cavaquinho, mandolino serio di musica provenzale e rilassato mandolino del sud che in “Vidinha boa” occupa la scena. Suonano tutti magistralmente, tirando fuori dai loro strumenti ogni tipo di suggestione. Anche la tuba cambia registro, con suoni inaspettati che la rendono, lei così potente, un’eco. Non poteva mancare la dolcezza con “Vou vivendo” e soprattutto con lo struggentissimo “Ingenuo”, brano lungo e in continua trasformazione. Sembra parlare di amore, da principio è languido, con la tuba di Godard leggera, poi tenero e infine forte e deciso - una dichiarazione di amore alla musica, alla vita. I musicisti suonano felici e coinvolti, la melodia si trasforma, e quando ormai la si è quasi dimenticata, ritorna, per trasformarsi di nuovo. E’ notte, adesso, il ritmo solare e sostenuto, vivacissimo ma mai disordinato, ha ceduto il posto a qualcosa di più delicato, le luci sembrano abbassarsi. E’ in questi brani che si avverte la complessità dello choro, non c’è nulla di semplice anche se l’impatto è immediato e si viene subito conquistati. E’ musica precisa e elegante, ma mai contenuta. E’ sincera, diretta, spontanea ma assolutamente complessa. Introducendo “Carinhoso”, Mirabassi ricorda che si tratta di una delle più belle melodie di Pixinguinha, che ha avuto tantissime versioni tra cui quella di Elis Regina, cantata nel 1973 dai duemila partecipanti al funerale dello stesso autore brasiliano. Ascoltandola,  si immaginavano tutte quelle voci che davano l’addio al grande musicista, in omaggio al suo talento, con lo stesso calore che si percepiva l’altra sera tra le note di Mirabassi e dei suoi amici di musica.

(Fabrizia Clerici)

 

  

 

Concerto

Rosa Emilia - “Tributo a Nélson Angelo”

martedi 4 dicembre 2001

Salumeria della Musica - Milano

 

Nuovo concerto milanese per Rosa Emilia, cantante baiana da tempo residente in Italia, accompagnata come già la scorsa primavera da Marco Ponchiroli al pianoforte, Edu Hebling al contrabbasso e Francesco Casale alle percussioni per un tributo al musicista brasiliano Nélson Angelo. La voce di Rosa Emilia, che si estende su una gamma di toni ora caldi e suadenti, ora acuti come un grido, ci accompagna attraverso un poetico diario brasiliano composto da molteplici stati d'animo, interpretando canzoni per lo più inedite con testi dello stesso Nélson Angelo, di Fernando Brandt e Cacaso. Lei è come la sua voce, insieme solare e profonda. Canto e musica non si sovrappongono, lasciando spazio a improvvisazioni musicali che consentono alle immagini cantate di espandersi nella fantasia di chi ascolta. Il concerto si apre con uno dei brani più conosciuti di Angelo, "Um canto de trabalho",  che ben introduce il carattere della serata alternando ritmi trascinanti a momenti più meditativi. Nélson Angelo racconta il suo Brasile: quello della fisicità di terra e natura, quello dei sentimenti delicati e profondi, ma anche quello scanzonato e autoironico al ritmo di samba. Come in "Dora de novo" e "Cresça e apareça", in cui si ironizza sul successo dei vip quanto sui poteri divinatori della macumba. Nei suoi testi c'è il Brasile della condizione della donna che vede troppo spesso i suoi sogni infranti ("Maria è demais"), c'è la vitalità della musica intesa come filosofia di vita e ricerca di felicità ("A vida leva"). E c'è l'amore in numerose sembianze: con le sue incertezze ("De uma vez por todas"), l'amore-corpo avvolgente e l’intimità del sentire ("Na subida da ladeira"), e quello dolce e totale di "Ave". Non mancano accenni ad altri temi “classici” come la saudade, stemperata tra i colori dell'estate brasiliana ("Melancolia de dezembro"). Ma in questo diario multicolore c'è soprattutto il Brasile-natura. In "Ave de arribaçao" col desiderio di imparare a volare e navigare, di ali-vele per fluttuare, ali di sognatore per gli spazi blu dell'aria. "Ilha" - spiega Rosa Emilia - è una canzone che ho visto nascere: fu composta per gioco, partendo dalla descrizione geografica di un'isola "pedaço de terra cercado de agua por todos os lados, e você è um pedaço de mim, sem começo nem fim, sem virtude ou pecado". E sempre la natura, mescolata al tempo che passa e alla sete di vivere, riemerge anche in "Fazenda", già proposta da Milton Nascimento. La bella "Canoa, canoa" sembra invece il racconto sussurrato e cantilenante di un indio, inframmezzato dai toni africani delle strofe più acute, con l’imbarcazione che scende il fiume tra pesci e uomini, notte e foresta, solitudine e coraggio. Ma questa lunga dichiarazione d’amore di Angelo e Rosa Emilia nei confronti della grande terra Brasile raggiunge il suo culmine in "Carta ao Brasil": terra di mistura di razze e popoli, di mare e nuvole, di natura, pezzetto di pianeta, "...terra brasileira meu destino, minha paixão... te declaro o meu amor." 

(Fabrizia Clerici)