La chitarra di Irio tra due generazioni

De Paula si racconta tra Italia e Brasile

di Fabio Germinario

       Giunto alla soglia dei sessanta con la stessa energia e entusiasmo di un ventenne, Irio De Paula continua ad essere il musicista generoso e il geniale chitarrista che tutti abbiamo conosciuto. E, fondamentalmente, un timido. Anche se come molti timidi è portato a negare questa debolezza e sono certo che ti manderebbe dritto a quel paese nel momento in cui glie lo facessi notare. Ma dietro alla sua apparente ruvidità, alla tentazione di glissare, di non raccontarsi e di affidare alla sua inseparabile chitarra il ruolo di unica depositaria e mediatrice delle proprie emozioni, De Paula nasconde una sensibilità e un'umanità non comuni. Nel corso di questa lunga intervista, forse la più estesa che abbia mai rilasciato - grazie anche all'amorevole intercessione di Isa, la compagna che come un'ombra lo segue ovunque - Irio per la prima volta si lascia andare ai ricordi, alla sua infanzia trascorsa nella sua Rio, alle sue passioni musicali. E dai fatti che narra, dall'elenco dei musicisti con i quali ha collaborato emerge la grandiosità di un curriculum musicale impressionante. Nel febbraio scorso ho assistito a un suo concerto a Bollate, in provincia di Milano, al quale era presente un pubblico prevalentemente giovanile, entusiasta della sua esibizione in assolo. E ho pensato a quanti giovani, in Italia, negli ultimi trent'anni si sono avvicinati alla musica brasiliana e al jazz grazie alla sua presenza come musicista e divulgatore. De Paula ha invece vissuto in Brasile la sua gioventù, e proprio negli anni '50, durante l'ondata nordamericana del rock and roll e alla vigilia di "invenzioni" che avrebbero fatto conoscere al mondo la grandezza della musica brasiliana.      

Sono ormai trascorsi alcuni decenni da quando, ancora bambino, lei si è avvicinato alla musica suonando nel gruppo Os pinguinis de Bangù, insieme ai suoi quattro fratelli. Da allora lei è diventato un musicista di fama internazionale, con oltre 50 dischi registrati tra quelli realizzati da solo e le numerose collaborazioni. Ma l'inizio di tutto, il suo “big- bang” musicale risale agli anni ’40, durante la sua infanzia vissuta a Rio. Che ricordi conserva di quel periodo? Può raccontarci qualcosa di quel suo gruppo e della Rio di allora?

E’ vero, ho cominciato a suonare “professionalmente” da giovanissimo: a 6 anni. A 7 partecipavo già con i miei fratelli a quel gruppo che lei ha ricordato. Bangù, tra l’altro, è il quartiere di Rio dove siamo nati: un quartiere di Rio interno, dal quale non si vede l’oceano e dove quando fa caldo, beh, lì fa ancora più caldo… In quegli anni ho partecipato ad alcune importanti trasmissioni radiofoniche di Rio, e in quel periodo ve ne erano tante. Si suonava sempre dal vivo e erano tutte piuttosto seguite, sia dal pubblico radiofonico che da quello presente in auditorium. In particolare ricordo quelle che si tenevano tutte le domeniche mattina dalle 10 alle 12 presso l’auditorium di  “Radio Tupì”: era una trasmissione rivolta ai ragazzini dagli 8 ai 16 anni. Ragazzini di allora, che si chiamavano, ad esempio, Baden Powell, Claudette Soares, Sergio Murillo, Trio Esperança, Golden Boys. Ricordo anche che  a Radio Carioca una volta alla settimana il nostro gruppo teneva un show  strumentale durante il quale una volta ha accompagnato un promettente cantante, allora sconosciuto: tale Roberto Carlos. E in seguito altri come Caubì Peixoto, Nelson Gonçalves, Jackson do Pandeiro, Nubia Lafaiette, Ciro Monteiro, tutti nomi ancora popolarissimi oggi in Brasile. Uno dei ricordi di allora è quello di aver partecipato anche allo spettacolo di inaugurazione della “mitica” Tv Tupi’!

E che fine fecero “Os pinguins de Bangù”?

Dopo aver registrato anche un 78 giri per la Rca di Rio, il gruppo si sciolse tra il '55 e il ’56 dopo 15 anni di attività. E per un motivo preciso: a Rio era arrivata la storica ondata del rock & roll…

Ne fu travolto anche lei?

Per circa un anno feci parte di un quintetto che suonava musica da ballo, e in seguito  frequentai musicalmente Copacabana, suonando nella cosiddetta “Rio by night”. Un periodo in cui erano numerosissimi i locali nei quali si faceva musica di ottimo livello.

Cosa ha significato per lei vivere in una città come Rio proprio in quegli anni importanti? 

Negli anni della mia gioventù Rio era una città abbastanza tranquilla, ancora “genuina”:  non dava la sensazione di metropoli; non era ancora invasa dal turismo se non a carnevale. Mi ritengo fortunato di aver vissuto in quel periodo, anche musicalmente molto stimolante, e mi rendo conto della funzione formativa che ha avuto per me, che sono essenzialmente autodidatta…

All'inizio degli anni '70 lei ha tuttavia lasciato il Brasile, come molti altri musicisti brasiliani, per sfuggire alla dittatura, ed è venuto ad abitare in Italia.

Sono arrivato in Italia proprio nel ‘70, quale chitarrista del gruppo musicale che accompagnava la sambista Elsa Soarez per una tournèe europea di circa un mese. In Italia abbiamo debuttato a Roma ne “I lunedì del Sistina”. In seguito siamo approdati al “Lirico” di Milano, al “Piccolo Regio” di Torino, al “Metastasio” di Prato e altri ancora. Poi siamo stati in Germania, Francia, Portogallo e Spagna. Terminata la tournèe europea a Madrid, sono tornato in Italia per partecipare al Festival Jazz di Pescara in Trio: chitarra, basso (Giorgio Rosciglione), batteria (Afonso Vieira). Quella sera, oltre al mio, era in programma un concerto di Ella Fitzgerald!

E come fu che decise di rimanere in Italia?

Ci sono rimasto perché mi sono piovute una serie di proposte: dischi, tv, concerti. Tra l’altro avevo la percezione, fondata sui riscontri entusiastici dal pubblico che veniva ad ascoltarmi, che in Italia mancasse un modo di suonare la chitarra come lo facevo io e il  tipo di musica che suonavo: e questa è stata una buona ragione per restare.

Con il suo paese ha tuttavia conservato forti legami, e ci torna spesso. Può raccontarci un episodio legato a uno di questi infiniti “ritorni a casa”?

Qui prende la parola Isa, la compagna di De Paula che è anche sua manager e fedele amica. 

Durante un soggiorno a Rio, vennero a trovarci vecchi amici di “gioventù” di Irio. Tra un piatto di fejoada, una cerveja, un’agua de coco e  un succo di abacaxi, la cosa più naturale e spontanea per questi “vecchi amici” è stata quella di mettersi a fare musica. Suonando tutto e di tutto: rievocando e ricordando. Stando tra loro ho scoperto un tipo di musica per me insolita, coinvolgente e trascinante: lo Choro. Irresistibile per me l’impulso di trovare uno studio di registrazione nei paraggi e di far registrare loro un disco di choro. Tutti d’accordo, disponibili e allegramente entusiasti. Una volta in studio, dopo avermi “accontentata” con uno choro di Pixinguinha, hanno fatto tutto ciò che volevano: uno suggeriva il titolo di un brano e via tutti a suonare di gusto; tutto in prima battuta, in diretta, senza alcun ripensamento o esitazione: quasi un record. Il tempo passato in  studio è stato quasi identico a quello per ascoltare il disco! Nacque così “Retrato do Rio”.

E queste scorribande musicali di Irio nella sua città natale sono proseguite anche più recentemente?

Dall’ultimo soggiorno a Rio siamo tornati con una registrazione delle due chitarre De Paula: padre e figlio! Roberto è ora un musicista giunto a un buon livello, sia come esperienza che come maturità musicale, per cui è stato spontaneo per i due suonare insieme un po’ di samba dal sapore jazzistico. Niente di più. Già l’estate precedente Roberto era venuto in Italia per tenere dei concerti in duo con Irio. Roberto però vive in Brasile dove svolge la sua attività di musicista.

Torniamo per un momento allo choro. Tra gli strumenti che Irio dice di amare di più vi è il cavaquinho, quella chitarrina a quattro corde meglio conosciuta dagli amanti dello chorinho…

Riprende la parola Irio

Devo dire che lo choro è stato la mia prima vera scuola: è alla base della musica brasiliana, l’abc da cui tutto si sviluppa, come il blues per la musica americana è la base per arrivare allo swing e poi al be-bop. E’ il fondamento su cui costruisci tutto il resto: il samba, la bossa nova, balanço... Può sembrare una musica semplice invece ha una certa difficoltà di esecuzione e richiede grande rigore interpretativo, ancora più della bossa nova.

Durante la sua lunga carriera ha suonato con innumerevoli musicisti di varie nazionalità e estrazioni. Può raccontarci qualche aneddoto legato a questi incontri?

Ve ne sono tanti… ad esempio quella volta che ho registrato “Encontro” insieme a Phil Woods, che è una grande persona oltre al grande musicista che tutti sanno. Non ci eravamo mai conosciuti di persona, e quando ci siamo trovati in studio, dopo aver sentito i primi accordi che stavo facendo alla chitarra ha messo via  il sax e, preso il suo clarinetto, ha registrato tutto con quello. Ricordo l’incontro con Astrud Gilberto, con cui in Germania abbiamo preparato uno spettacolo con grande orchestra e il mio quartetto, che ha richiesto 10 giorni di prove, è stato prodotto dalla TV tedesca, registrato al Casinò di Liegi e distribuito in Europa. Oppure quello con Chet Baker, avvenuto in casa di amici nella campagna romana. Dopo cena Chet mi ha invitato a suonare con lui: eravamo quattro in tutto ed è stata una serata molto bella, intima ed emozionante: immaginate chitarra e tromba, libere di suonare a piacere!

Qualche altro ricordo…

Sal Nistico: persona squisita, cordialissimo e rispettoso. E’ subito entrato in sintonia con il “sound” del mio trio a differenza di Archie Shepp, che invece ha incontrato difficoltà  perché suonava free-jazz. Con Nistico abbiamo registrato un disco come trio,  al quale ha partecipato anche Enrico Pieranunzi. Ricordo la presentazione del lavoro in TV con un concerto al celebre “Music In” di Roma. Con Chico Buarque nel ’70 ho partecipato alla realizzazione di un disco contenente la versione italiana delle sue canzoni tradotte da Sergio Bardotti, con arrangiamenti di Ennio Morricone e, come coriste, indovini un po', le sorelle Bertè. Sempre con Chico ricordo di aver partecipato ad un concerto al Casinò di Venezia. A lui ho dedicato “Samba e amore”, uno dei brani contenuti nel mio disco “Valeu!”. Si tratta di un omaggio a Chico ed è la prima e unica volta che canto in italiano. Infine, pochi anni fa, nel 1997, al Teatro Ariston di San Remo, in una serata dedicata interamente alla musica di Chico, gli ho dedicato una mia personale interpretazione di “O que serà”.

I ricordi, insomma, non le mancano…

Cosa vuole, in 50 anni di musica gli incontri sono stati innumerevoli e vari, alcuni anche curiosi come quella volta che Oscar Peterson mi aveva invitato a suonare insieme a lui ma, accidenti, non c’era un amplificatore per la mia chitarra elettrica. Roba da piangere! Un altro bel ricordo è stato l’invito a casa di Gorge Benson: gli avevano parlato di un chitarrista brasiliano in quei giorni a New York e lo voleva conoscere. Beh, ero io…

Tra tutti questi musicisti che ha conosciuto e con cui ha suonato ve ne è qualcuno che apprezza o stima più degli altri?

Ho suonato con tutti con molto piacere e soddisfazione: ognuno di loro è una persona apprezzabile e notevole. Di regola prima siamo amici, e soltanto dopo musicisti.

E oggi che musica ascolta?

In generale, raramente ascolto musica: preferisco suonare. Ogni tanto vado ad ascoltare qualche concerto jazz.

In questo periodo sta lavorando a qualche progetto discografico?            

Ne ho aperti diversi. Il 15 novembre scorso il concerto che ho tenuto in duo con Franco D’andrea è stato registrato dal vivo al Teatro Lauro Rossi di Macerata. Se la registrazione risulterà buona, uscirà il cd.  Inoltre proprio in questi giorni uscirà per l’etichetta Philology il disco registrato con Sellani dal titolo “Sossego”. Dopo “Delicatessen”, un lavoro del 1995, ci era rimasta ancora voglia di suonare assieme. Il sound, peraltro, è lo stesso, e anche il clima. Infine c’è un altro disco dal titolo “Agua de coco” che contiene tutti brani miei. Sono soddisfatto di come è riuscita la registrazione, ma non ho ancora una data precisa per l’uscita del disco. Agli appassionati vorrei anche segnalare che in Usa, nel 2000, è uscito “Saravà Jobim”, un CD col quale ho voluto omaggiare il grande Jobim. Nel disco suono la chitarra solista accompagnato da un’orchestra d’archi, rispettando “clima” e poetica del grande maestro.

Soffre di saudade come tanti brasiliani a causa della sua prolungata permanenza in Italia? E ha mai pensato di tornare in Brasile?

Trent’anni fa provavo molta saudade anche perché era raro incontrare brasiliani qui in Italia. Ora è ben diverso: brasiliani se ne trovano dappertutto i Italia, e la nostalgia la sento solo quando suono la chitarra. Oggi per me stare in Italia è un piacere: il piacere di continuare a suonare con soddisfazione sempre nuova, perché sto suonando per la seconda generazione del mio pubblico: i figli dei miei fans degli anni 70 che affollano i teatri e che vengono a conoscere la mia musica.  

 

O O O

         

Attualmente Irio si esibisce in concerto nelle seguenti modalità:

“SOLO” – recital chitarra brasiliana

“TRIO SambaJazz” – chitarra elettrica e acustica, basso e batteria

 

Nella sezione "Appuntamenti" sono riportate le date dei suoi prossimi concerti.