LETTURE BRASILIANE

Benjamim, il deserto dell'anima

di Fabrizia Clerici

Benjamim è un libro che mi ha messo paura e disagio, per tanti motivi. Prima ancora di leggerlo, per timore reverenziale verso il suo autore, Chico Buarque. Appena cominciato, perché non riuscivo a stare dietro alla trama, persa in minuziose descrizioni di dettagli apparentemente futili. A metà libro, perché non mi ricordavo più come fosse cominciato... e alla fine, perché dopo aver trovato una chiave di lettura, mi sono accorta che ero di fronte a una porta spalancata, senza serrature. Che me ne facevo della chiave? Avevo cominciato a leggerlo mesi fa, al mare, luogo ideale per scoprire la scrittura di Chico Buarque, pensavo. La copertina dell'edizione italiana è molto attraente: un fiore rosso di Anthurium su sfondo nero. In realtà, la copertina depista, come tutte le mie aspettative su questo libro. Molto più opportuna quella dell'edizione originale: un collage di foto in biancoazzurro e nero che ritraggono un uomo di mezza età, in giacca e cravatta, in varie pose e dettagli del suo abbigliamento, perfino dell'orologio, uno dei temi che tornano nel libro.Benjamim mette paura perché non c'è un solo dialogo in 165 pagine. Eccetto uno, quello di un film in televisione. E lo stile della scrittura, ossessivo, riflette perfettamente il mondo ritratto. Sono riportati i pensieri dei personaggi, che vivono buona parte del tempo nella loro testa, immaginando, ritenendo che, ricordando, aspettando, calcolando, camuffandosi, sognando, preparandosi per; cominciando a scrivere lettere subito stracciate, guardandosi allo specchio, e mai che compaia la voglia o l'impulso di uno scambio di idee, di una conversazione. Ma non si tratta solo di solitudine. E’ che siamo entrati nel regno dell'immagine, dove anche se non si sa cosa fare della propria vita, si sa benissimo quale cravatta si intona meglio con la giacca. L'apparenza, il denaro, l'esteriorità, la marca dell'auto, il tipo di casa sono i veri compagni di questi uomini e donne e del loro vuoto terribile, ora che si sono staccati da un passato scomodo, da qualche avvenimento dell'infanzia che li ha segnati, dai ricordi che hanno seppellito insieme alle madri. Ognuno ha il suo personale buco nell'anima, ognuno forse sta cercando di riempirlo muovendosi in un mondo di finzione o di rappresentazione fasulla di sé. Ognuno si crea la propria realtà, inventandosela, o cambiandosi nome, o evitando scomodi confronti, pur di lasciare intatta un'illusione. Qua e là, violenza sotterranea, povertà, polizia, razzismo, qualche furto, arresto, ma come se niente fosse. Se si prendono questi elementi e li si mischia, sovrapponendoli, incastrandoli, e si crea un vortice, anche temporale, e ci si chiama Chico Buarque, ecco che nasce Benjamim. Mette davvero disagio, questo libro, perché sfugge a ogni controllo: ci fa entrare in una spirale di eventi concatenati che catturano l'attenzione e ci distraggono da indizi importantissimi, e ci confondono. Al punto che non so dire se questa falsa vita dei protagonisti sia una inevitabile tecnica di sopravvivenza appresa dopo un tremendo dolore, o sia solo vuoto; se questa narrazione è il riflesso di un mondo che sta precipitando, o è il delirio personale di Benjamim; se quelle illusioni che a me sembrano insensate, in fondo non siano parenti strette delle mie; se la mancanza del senso di realtà nei protagonisti derivi dal fatto che la realtà non ha mai molto senso; se Benjamim evita di dire la verità su di sé perché a nessuno importa; se in quell'universo descritto esisteva davvero un'alternativa.

O O O

Chico Buarque, Benjamim, Piccola Biblioteca Oscar, Mondadori 1999, £ 13mila

Chico Buarque, Benjamim, Companhia Das Letras, 1995