Il ramo a sud dell'albero dei sax

La “escola brasileira de sopro” rifiorisce nel nuovo millennio
Ne esploriamo affinità e divergenze con gli altri rami del jazz

 

di Giangiacomo Gandolfi

    Mi piace immaginarlo come un grande albero verdeggiante, sui cui rami sono appollaiati decine di volatili color ottone che cantano a voce spiegata mille melodie, al tempo stesso umane e celestiali. Le loro voci si intrecciano ciascuna con il proprio fraseggio caratteristico, con il proprio timbro personale, in una sinfonia globale che solo Olivier Messiaen è riuscito a catturare nei suoi cataloghi orchestrali di uccelli esotici. E’ l’albero rigoglioso del sassofono, le cui radici affondano nella musica bandistica, ma con rami lunghi, solidi e nodosi che si estendono nel dominio del jazz, della musica erudita e popolare. Un albero i cui semi si perdono nel mito, con i primi suonatori di aulos - musicisti “d’aria”- (contrapposti ai suonatori di lira – musicisti “di terra”: i futuri pianisti e chitarristi) che cedono lentamente il passo alle ance, agli oboi, ai clarinetti. Un albero di cui troviamo splendida immagine archetipica nelle leggende celtiche, specialmente nel “Viaggio di St Brendan” del IX secolo, che costituirà il modello di numerose narrazioni successive: un’infinità di uccelli armoniosi ricoprono i suoi rami giganteschi e cantano all’unisono salmi e versetti estatici in ciascuna delle ore canoniche, deliziando l’Isola del Paradiso raggiunta dal santo esploratore.

Dove inizia il ramo fecondo del sassofono brasiliano? Verso sud, con certezza, esposto al sole dei tropici ma colpito anche da una brezza boreale. Se ne sezionassimo il legno potremmo contarne gli anelli, gli strati sovrapposti che testimoniano della sua relativa anzianità:  sul finire dell’Ottocento lo strumento di successo inventato da Adolphe Sax si diffonde attraverso gli organici bandistici in tutto il mondo ed è accolto con entusiasmo anche in Sudamerica. Si tratta dunque di un ramo autonomo, contemporaneo a quello nordamericano, che nasce dal comune ceppo europeo ed è da subito immerso in un contesto multirazziale, che ne segnerà irreversibilmente il suono e la tecnica di emissione. L’inizio, come è immaginabile, si discosta poco dal modello bandistico, ma a cavallo del nuovo secolo il grande pioniere mulatto Anacleto de Medeiros ne fa strumento di battaglia per i suoi innovativi tentativi orchestrali di natura “indigena” e i primi suonatori di “choro” da strada lo sperimentano in alternativa a flauto e clarinetto. E' in questo contesto già “sporco” e popolare che un prestigioso estimatore come Villa-Lobos lo incontra con curiosità e interesse. Il grande compositore lo utilizzerà in più di un suo brano di musica da camera (esemplare e’ il “Sestetto Mistico”, in cui ne esalta le tinte più delicate e cromatiche) e gli dedicherà addirittura una fantasia orchestrale, più o meno negli stessi anni del collega Debussy.

Ma il sax brasiliano gia’ vive di vita propria, lontano dalle sale da concerto. Bande e gruppi di choro intensificano gli scambi, generando una creatura ibrida, il “coreto”, che lo vede spesso nel ruolo di solista. E quando il massimo esponente della musica popolare Pixinguinha giunge a una scelta definitiva, abbandonando nel 1946 l’amato flauto per l’ancia del sassofono, la consacrazione dello strumento è totale. A poco valgono le numerose proteste di chi già intuisce che lasciando il palco al sax l’“influencia do jazz” guadagnerà spazio e vigore nel mondo sonoro brasiliano, minacciando il carattere nazionale della musica. Perfino un teorico del meticciato come Gilberto Freyre depreca lo stile nordamericano, esaltando una artificiosa e inesistente “purezza del samba”. Ma la strada della contaminazione è ormai tracciata, una strada ben lontana dal rappresentare una perdita di identità, di storia e di specificità. Piuttosto un arricchimento lento e costante, che sarà evidente nelle generazioni successive.

Il sax di Pinzindim marchia comunque a fuoco l’evoluzione della musica strumentale brasiliana: virtuosismo, il suo senso della melodia e il suo fraseggio rimarranno un imprinting ineliminabile per  qualunque suonatore carioca, paulista o mineiro. A raccogliere e perfezionare l’eredità di Pixinguinha sarà immediatamente un gigante dello strumento, Abel Ferreira. Emerso nelle orchestre di Rio nel corso degli Anni ’40, il musicista  e compositore mineiro codificherà uno stile inconfondibile, caratterizzato da un’eleganza sopraffina (un po’ come un Ben Webster o un Coleman Hawkins), malinconica, languorosa e non priva di lunghe sequenze improvvisative (appunto il jazz che si fa strada). E’ la nascita ufficiale della “Escola brasileira de sopro”, il cui caratteristico linguaggio ha formato quasi tutti i grandi sassofonisti del dopoguerra, da K-Ximbinho a Paulo Moura a Ze’ Nogueira a Carlos Malta. “Chorando Baixinho” ne è in qualche modo il trasparente manifesto: parsimonia, concisione e grande attenzione alla qualità del suono sono i suoi tratti caratteristici.

Maturato dunque nel contesto delle grandi orchestre da ballo carioca (un po’ come avviene contemporaneamente negli States con le orchestre swing), il sax brasiliano si rivolge rapidamente alla modernità, prediligendo per naturale inclinazione il soprano e evolvendosi secondo linee parallele al cool della West Coast e al be-bop montante attraverso le sofisticate progressioni armoniche della bossa nova. E’ un’esplosione di creatività che, come dicevamo,  accentua le affinità con il discorso musicale del Nordamerica. Sorgono talenti tumultuosi (e da riscoprire perché troppo scarsamente valorizzati): Mestre Cipò, Moacir Santos, Paulo Moura. Gli Anni ’60 coronano trionfalmente questa tendenza offrendo un rigoglio di “combos” esplicitamente jazzistici che continuano ad abbeverarsi efficacemente alle fonti ritmiche e tradizionali del folklore brasiliano. E’ il caso, in particolare, dei vari “copas” di J.T. Meirelles, solista infuocato e insolitamente energico nel panorama nazionale, recentemente riscoperto e ampiamente ristampato.

In questo scenario si sviluppa e giunge velocemente a maturità il talento di quello che è da molti considerato il sassofonista jazz brasiliano più brillante di tutti i tempi, Victor Assis Brasil, un fuoriclasse di statura immensa purtroppo precocemente scomparso a soli 36 anni nel 1981. Assis Brasil e’ uno dei pochi esempi di voce maschile ed aggressiva (una deviazione dalla norma della “Escola de sopro”, tradizionalmente sensuale, perfezionistica e molto “femminile”), un innovatore con straordinarie capacità compositive che guadagna da subito l’attenzione del jazz internazionale, vincendo il titolo di miglior solista al festival di Berlino.

A cavallo tra gli Anni ’70 e ’80 i sax brasiliani continuano la loro marcia evolutiva nel rispetto della tradizione, lasciandosi toccare ben poco dall’ondata dell’elettrificazione. Parziale eccezione il celebratissimo Leo Gandelman, che indulge eccessivamente in prodotti patinati e commerciali a dispetto della solida formazione accademica e l’eccellente tecnica esecutiva, a metà strada tra un Fausto Papetti carioca e  la fusion più bieca. Nonostante ciò, Gandelman ha prodotto numerosi lavori e collaborazioni notevoli, affiancato nello stesso periodo da solisti di vaglia, classici e collaudati, come Nivaldo Ornelas, Mauro Senise e Ze’ Nogueira, session-men di lusso tuttora in circolazione.

Prima di inoltrarci più avanti nel ramo, alla ricerca dei germogli più recenti e promettenti, è giunto il momento di una pausa, di una breve parentesi di riflessione. Per cercare di capire quali siano queste costanti affinità e divergenze col jazz nordamericano che continuano ad affiorare a intervalli regolari nella nostra cronistoria. Uno sguardo d’insieme ci aiuterà a metterle a fuoco. La prima tendenza che si può facilmente individuare nel sopro brasileiro è la preferenza per una certa economia di mezzi nonostante l’abbondanza di ritmi e strutture armoniche. Il sito leader del jazz brasiliano, “Ejazz”, sintetizza così: “Fuoco della musica generalmente ben definito. Fraseggio incisivo. Accompagnamenti economici. Armonia concentrata ma di grande effetto”. Non ci sono barocchismi in questi fiati che parlano all’anima con profonda intensità emotiva.

D’altronde, come già espressamente notato, è pervasiva una sensibilità tipicamente “femminile”, nel modo di legare le note, nelle pause, nelle appoggiature. Pochi, per capirci, sono i John Coltrane, i Sonny Rollins, i David Murray della musica strumentale brasiliana. Anche un solista come Gato Barbieri, in un ramo parallelo del grande albero che volge sempre a meridione, è distante anni luce dal modello. Effetto della maggiore armonizzazione della coscienza nera all’interno del panorama musicale nazionale? Oppure, al contrario, segno di emarginazione di quella componente africana che spinge i sax statunitensi a strillare, gorgogliare, graffiare con violenza? Segno di predilezione ineliminabile per l’accademismo occidentale e la sua solida storia che nonostante tutto fa ancora da collante nello spirito brasiliano, dopo secoli di barocco portoghese e di musica da “salão” intrisa di melodramma italiano? Difficile dirlo. Resta il fatto che il sassofono rimane una voce centrale della musica nazionale (molto più che qui in Italia), in particolare il sax soprano, al fianco di chitarra, violoncello, percussioni, piano e canto umano.

Ed eccoci giunti alla punta del ramo, mentre gli uccelli color ottone continuano a cantare a gola spiegata il loro canto lirico e ammaliante, dalle tonalità quasi umane. Facendoci strada tra i germogli troviamo molti sassofoni interessanti, alcuni addirittura entusiasmanti. Carlos Malta è il primo della lista. I suoi album sono tutti smaglianti, eclettici e sommamente fantasiosi. Il suo virtuosismo, frutto della lunga militanza nelle formazioni di Hermeto Pascoal, è fuori discussione. I recenti “Pixinguinha – Alma e corpo” e “Tudo Coreto” (che con tutta evidenzia chiude un cerchio storico) si possono tranquillamente catalogare come capolavori assoluti. Ma c’e’ molto altro di promettente. Il brillante fraseggio di Mané Silveira, per esempio, o la solida maestria di Teco Cardoso e Mario Seve, l’emergente grinta di Raul Mascarenhas, la classe paulista di Nailor Proveta, l’inesausta creatività di Paulo Moura, che a settant’anni passati suona ancora fresco e geniale come solo i grandi sanno essere. C’e’ di che stare tranquilli e fiduciosi: l’albero continuerà a crescere. Potremo deliziarci all’ombra delle sue fronde, battendo il tempo e seguendo le curve di mille melodie caleidoscopiche, per molto tempo a venire.