Falamansa, o l'ascesa del forró sudista

Il successo del giovane gruppo è uno dei misteri del Brasile,
comprensibili solo a chi si immerge nel suo calderone etnico 

 

 

di Vesa Matteo Piludu



Il 6 dicembre scorso sono giunti a Roma i Falamansa, gruppo giovane del momento in Brasile e stelle di punta della cosidetta "generazione forró pé-de-serra". Il concerto ha riunito in stretta e animata danza la variegata comunità brasileira della capitale: nordestini, baiani, paulistani, gauchos, capoeiristi, garotas, padri di famiglia e ragazzini, accompagnati dagli appassionati italiani di Mpb che non si perdono uno show.


    Il fenomeno Falamansa è uno dei misteri del Brasile, comprensibili soltanto a chi si immerge a fondo nella calderone etnico e culturale del Paese-Continente. In che cosa consiste? Nel fatto che ironia ha voluto che solo uno dei quattro componenti del gruppo, il "veterano" sanfoneiro Valdir do Acordeon è un forrozeiro "con la patente". I giovanissimi altri tre, il cantante Tato, Dezinho (percussioni e triangolo) e Alemão (zabumba), sono cresciuti in altra scuola nella cosmopolita São Paulo: rock, reggae, heavy metal. Tato chiarisce l'assenza di contrasto fra i generi, ma ha le sue gerarchie: «Amiamo il rock'n'roll, l'hardcore, il reggae e anche molta Mpb, ma siamo sempre stati legati al movimento del forró pé-de-serra che cominciava a esplodere nel circuito universitario paulista. Io e Alemão eravamo Dj di forró, e Dézinho faceva produzioni legate al genere». E' stato l'incontro con lo xaxado, lo xote e il baião a decretare il loro successo, dapprima ristretto al pubblico universitario, poi esploso con gli hit "Fique na Saudade", "Ver Pra Crer", "Solução" e "Xote da Alegria". Il risultato è un milione e mezzo di copie vendute con "Deixa Entrar", primissimo disco del gruppo.

Il segreto sta nell'aver tradotto in linguaggio pop per le nuove generazioni lo stile dei maestri Gonzagão, Jackson do Pandeiro, Dominguinhos e Trio Nordestino. Innovazioni che tuttavia si inseriscono, secondo le chiare parole di Tato, «all'interno dell'universo del forró tradizionale, senza mescolare pianole elettriche, mantenendo la strumentazione del pé-de-serra». Non ci si meraviglia però che oltre agli innumerevoli omaggi a Luiz Gonzaga,
nello show romano vi sia stato posto per l'altro grande mestiço di culto in Brasile, il festeggiatissimo Bob Marley.

La critica ha accomunato i Falamansa a uno delle tante mode giovanili in Brasile, ma Tato contesta l'analisi: «Il discorso può valere per il funk, genere che è esploso dappertutto solo con tre o quattro musiche diverse, forse proprio grazie alla sua stessa limitazione. Nel nostro caso abbiamo a disposizione una varietà ben maggiore, sia nel modo di suonare quanto nel repertorio che mescola il nostro materiale originale con i classici del
forró. Nella mia opinione, la grande differenza fra il forró e te tutte queste mode passeggere, è che il genere esiste da quasi cento anni! Fa quindi già parte della nostra tradizione culturale e non morirà mai, proprio come non morirà mai il samba. Oltre a ciò abbiamo la chiara percezione che siamo in un momento di auge del forró e non sappiamo quanto durerà, ma crediamo sia diverso perché è una cosa eterna, mentre le mode finiscono sempre».

Il successo dei Falamansa è un chiaro segnale di riconoscimento ufficiale di un fenomeno che da almeno quattro anni si verifica a São Paulo e Rio de Janeiro: bande di forró più o meno tradizionali, che però sono composte da giovani locali di classe media, che suonano per un pubblico di classe media, che crea opinione ed è fortemente legato alla musica. E vi è già a chi va stretta la definizione del genere, come a Flávio José, veterano e vero paraibano di Monteiro: «Io dico che non è forró universitário, ma gli universitari nel forró!». E Duani, dei cariocas Forróçacana, tiene a sottolineare: «Suoniamo molto nelle università, ma anche in molte fiere nordestine».

L'accusa di lesa autenticità nordestina grava ancora sui giovani sulistas, ma non sembra infastidirli troppo, visto che in difesa scendono in campo i nordestini come Siba, della rispettata banda pernambucana Mestre Ambrósio: «Tutti parlano del forró universitario come se non fosse legittimo. Si chiedono se un sulista possa suonare forró, ma non se un nordestino può suonare rock, per esempio!». A dare una spallata ai purismi pensa di nuovo Flávio José, che suona in locali dove la classe media proprio non mette piede: «Essere autentico, nel forró, significa non cambiare il ritmo. Il Trio Nordestino aveva già suonato con basso e batteria, Luiz Gonzaga ha usato chitarre elettriche in "O Fole Roncou". Ci deve essere zabumba, triângulo e sanfona... non importa tutto il resto che finisce in cucina».

E se in difesa dei ragazzini del Sul si pone addirittura un astro della Mpb come Elba Ramalho? E' alla sua voce che affidiamo le ultime riflessioni: «Cos'è questa storia di dire: ah, non sono nordestini, allora niente forró! Oggi muri e colpe sono caduti. Un paulista può tuffarsi nell'opera di Luiz Gonzaga o Jackson do Pandeiro senza paura di intossicarsi! Tutti uniti, facendo una musica come questa, di qualità, e il paese rimarrà forte!»