Quel mancino geniale di Canhoto

 

 

di Nené Ribeiro

 

   Questa storia, anche se negata con veemenza da uno dei protagonisti, ci fa conoscere in modo esemplare l’ambiente dove si formava e cresceva la musica brasiliana strumentale. La raccontiamo, non senza il timore di avallare una ricostruzione dei fatti contestata, ma avvolti nel velo poetico del mito; ne vale la pena.

Avvenne nel 1959. In una festa. Non una festa qualsiasi, bensì un sarau: il termine portoghese che indica una riunione dove la musica dal vivo è l’attrazione. Il più ambìto incontro musicale di Rio de Janeiro: un sarau a casa di Jacob do Bandolim, lo straordinario interprete del mandolino, diffusore e ricercatore infaticabile dello choro. Invitati “a dito” per l’occasione, i più grandi esponenti della musica strumentale carioca, dove spiccavano la figura dei maestri Radamés Gnattali e Pixinguinha. Un ragazzo di sedici anni, Paulo César, accompagnava il padre, Cesar Faria, chitarrista del complesso di Jacob.

Erano tutti radunati per accogliere la carovana di musicisti, che in modo avventuroso, in una macchina malsicura, avevano affrontato un viaggio di cinque giorni dal lontano Stato di Pernambuco fino a Rio. Un gruppo di bravissimi interpreti dello choro. Un’occasione di conoscenza, curiosità reciproca, scambio d’informazioni: incontri fatti da note, accordi, melodie e tanta allegria.

 

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Il sarau fu organizzato da Jacob e sua moglie Adylia con la consueta dovizia di particolari: una fascia davanti alla casa salutava i viaggiatori; bandierine colorate per tutto il giardino; lampadine sotto gli alberi; e, last but not least, tanto cibo, perché un buon strumentista di choro “non entra in casa se il gatto dorme nel forno”.

Arrivò l’ora della musica. Jacob, come sempre, impose un silenzio assoluto e presentò gli invitati, che uno a uno si esibirono: Zé do Carmo, João Dias e sua moglie, Dona Ceça, alla chitarra; Rossini Ferreira, al mandolino. L’entusiasmo era grande. Ma quando quel sorridente mancino impugnò a rovescio la sua chitarra e iniziò il suo breve concerto, la platea restò muta unicamente perché sapeva quanto il padrone di casa teneva a questa regola. Alla fine dello spettacolo, Radamès Gnatalli, esaltato, lanciò il suo bicchiere di birra in alto, macchiando i presenti e il soffitto della stanza ed esclamò: - Questo soggetto è un pazzo!  Paulo César, il ragazzo sedicenne, meravigliato, decise in quel momento di diventare un musicista, conosciuto oggi come Paulinho da Viola.

 Si racconta che Jacob non permise mai che si imbiancasse quel segno, ricordo di quello straordinario momento musicale. Gnattali morì negando il suo vigoroso gesto.  Tuttavia, nessuno potè mai negare la genialità del principale protagonista: il chitarrista mancino, Canhoto da Paraiba.   

 

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Francisco Soares de Araújo, questo il nome completo del nostro protagonista, non era un vero mancino: scriveva con la mano destra, colpiva i palloni di calcio con il piede destro. Però faceva tutto il resto con la sinistra. Nacque in casa di musicisti - il nonno suonava il clarinetto nella banda di Princesa Isabel, città dell’alto sertão paraibano. Imparò diversi strumenti, ma la passione era la chitarra del padre. Fu un amore pieno di fatiche. C’era una sola chitarra per tutta la famiglia;  le corde non potevano essere capovolte e lui la doveva impugnare al contrario. Il padre provò a insegnargli lo strumento davanti allo specchio, ma desistette. Chico Soares seguì da solo e sviluppò la sua singolare tecnica, che, alleata a un senso melodico e armonico raro, lo trasformò in un interprete unico. Nel 1946, fu invitato alla Radio Clube di Pernambuco ed esordì a fianco del grande Sivuca.

 

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Nel 1953, a 25 anni, fu contrattato da "Radio Tabajara" di João Pessoa. Cinque anni dopo conobbe João Dias, che lo riportò a Recife, a "Radio Jornal" do Commercio, dove suonavano alla trasmissione "Quando os violões" se encontram. La sua fama crebbe molto in seguito al leggendario sarau in casa di Jacob, ma solo nel 1968 incise il suo primo disco, "Unico Amor", sotto la direzione del maestro Nelson Ferreira.  Nel 1971, Paulinho da Viola scrisse uno choro "Abraçando Chico Soares" e sei anni dopo produsse, presso la casa discografica Marcus Pereira, il disco "Canhoto da Paraiba – Com mais de mil". Insieme realizzarono una tournee in tutto il Brasile, nell’ambito del "Projeto Pixinguinha" della Funarte. Nel 1993, il chitarrista registrò il cd "Pisando em brasas", con la partecipazione di Rafael Rabello, nel quale Paulinho suonava il cavaquinho. Recentemente è uscito un cd di una sua intervista alla trasmissione "Ensaio" di TV Cultura.

 

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Jacob do Bandolim, conosciuto per il suo perfezionismo, rivelò che durante la permanenza della carovana arrivata da Recife in casa sua, Canhoto da Paraíba si svegliava e si addormentava suonando. Suonava nelle più svariate posizioni, in qualsiasi posto. Jacob riferì ancora che non lo vide mai sbagliare una nota, un passaggio. Suonava e sorrideva. Sempre. Un sorriso ingenuo come se non facesse niente di eccezionale.

Nell’aprile del 1998, Canhoto fu affetto da ischemia cerebrale mentre registrava con gioia un nastro a casa, e restò paralizzato in tutto il lato sinistro del corpo. Amici e ammiratori sostennero diverse iniziative per aiutarlo, tra cui l’edizione in cd di "Unico Amor". Però, poco a poco, Canhoto si sentì dimenticato. Secondo la moglie, Eunice Gadelha, “lui che fu un uomo allegro, si è immerso in una profonda tristezza e non sorride più”.  Un grande abbraccio a te, Chico Soares.