N.N. - DISPERSI E RITROVATI DELLA MUSICA BRASILIANA 

Jean De Léry, l’archetipo canto brasiliano

 

 

di Nené Ribeiro

 

   In principio fu un sordo mormorio. Le voci dei guerrieri Tupinambás giunsero dalla stanza accanto come una lenta preghiera. Erano passati sei mesi da quando una missione di calvinisti, chiamati nel 1556 dal cavaliere di Malta e vice-ammiraglio di Bretagna, Charles Durand-Villegaignon, approdò in Brasile per formare la prima colonia protestante in America, la Nouvelle Genève. Una polemica liturgico-teologica con Villegaignon li costrinse ad abbandonare la fortificazione francese e a cercare rifugio presso gli indios. Stavano in quel locale insieme a duecento fra donne e bambini indigeni: gli uomini Tupinambás  li avevano avvertiti  di non lasciare il locale. Appena sentirono la voce dei loro guerrieri, le donne e i bambini si misero di piedi. Jean De Lery ricordò che i 14 francesi smisero di mangiare.

 

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Poco a poco il canto nasale dei Tupinambás crebbe. Si poteva distinguere un’esclamazione d’incoraggiamento - he, he, he, he - ripetuta dalle voci tremolanti delle donne. Queste rispondevano al canto e allo stesso tempo urlavano saltavano agitavano i seni. Alcune tra loro spumeggiavano dalla bocca e cadevano per terra come prese da un attacco epilettico. Ora anche i bambini si muovevano in modo convulso. Jean De Lery si ricordò di avere avuto paura.

 

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Tutto questo durò un quarto d’ora: il canto dei Tupinambás cessò; le donne tacquero;  i bambini si calmarono. D’improvviso, dalle due stanze separate, ricominciò un nuovo coro. Ma fu un canto talmente armonioso che la paura di Jean De Lery scomparse e in lui nacque il desiderio di vedere tutto da vicino. Fu assorto dagli accordi della folla e trasportato dalla cadenza incessante del ritornello: Hé, he, ayré, heyrá, heyrayre, heyra, uéh. Il cuore di Jean De Lery palpitò forte al ricordo di quell’emozione.

 

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Per due ore i Tupynambás ballarono e cantarono. La cerimonia terminò quando tutti, uomini donne bambini, percossero forte la terra con il piede destro e sputarono; e, in un perfetto attacco, ripeterono con le voci più rauche: Hé, hyá, hyá, hyá. Jean De Lery nei suoi ricordi si domandò meravigliato come un modo tanto elevato di cantare non richiedesse una conoscenza musicale formale e codificata.

 

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Più tardi Jean De Lery seppe che il rituale si realizzava in ricordo dei loro coraggiosi avi, nella speranza di ritrovarsi tutti, dopo la morte, al di là delle alte montagne, a ballare e a ridere insieme. Jean De Lery seppe ancora come, in analogia alle Sacre Scritture, i Tupinambás narravano come le acque avevano coperto tutta la terra, annegando ogni essere vivente, ad eccezione dei loro antenati che si erano salvati arrampicandosi sugli alberi più alti. Jean De Lèry si ricordò di avere un Dio e pregò.

 

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Dopo l’insuccesso della missione ugonotta, Jean De Lery ritornò in Europa. Aveva 22 anni. Calzolaio, pastore e teologo calvinista, il nostro protagonista pellegrinò per la Francia sconvolta dalla guerre fratricide di religioni, da Ginevra alla Charitè-sur-Loire alla Sancerre assediata: sono gli anni del terribile massacro della Notte di San Bartolomeo. Fu solo nel 1578, dopo aver perso il manoscritto originale, che Jean De Lèry diede alla stampa il suo Histoire d’un voyage fait en la terre du Brésil, la narrativa dei suoi ricordi nel Nuovo Mondo. Nelle sue pagine descrisse con commozione della serenità dell’aria, della diversità dei animali, della varietà degli uccelli e pesci, della bellezza dei alberi e delle piante, della bontà dei frutti, della pulizia dei fiumi. Si ricordò, e scrisse quasi con gratitudine, una serie di canti degli indios con il sistema delle figure quadrate adottato allora. Fu il primo a far conoscere la musica Tupinambá nel Vecchio Continente: canindé-iouné, canindé-iouné hera oueh.

 

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Il canindé è un bel pappagallo con le piume azzurre e gialle. Jean De Léry descrisse la tenerezza con la quale gli indios trattavano questi uccelli portandoli a vivere in casa insieme a loro. In un’altro registro musicale si può leggere: canindé júb, canindé júb, ayra osé, ossia canindé giallo, canindé giallo come il miele. Ricordò le feste indigene: l’ebbrezza raggiunta con la bevanda preparata dalla masticazione femminile della manioca – il cauim -; gli impressionanti rituali di antropofagia, la crudezza del cannibalismo: il nemico delle tribù rivali, soggiogato colpito arrostito mangiato dagli uomini, donne e bambini. Jean De Lèry ricordò l’orrore di tutte le guerre.

 

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Più  della polemica teologica con il libro comparso nel 1575, Cosmographie universelle, di Andrè Thevét - viaggiatore cattolico approdato dopo i calvinisti nella fugace avventura della Francia Antartica - il magnifico Histoire d’un voyage fu sempre rievocato per la potenza delle sue raffigurazioni: divenne la principale fonte del famoso saggio Des cannibales, di Montaigne; per l’antropologo Claude Lévi-Strauss fu “il breviario dell’etnografo”, il libro di comodino nelle sue ricerche in Brasile. Per tutti noi amanti studiosi interpreti della musica brasiliana, Jean De Lèry è il primo esempio di rispetto per una cultura che da circa 500 anni lotta per non scomparire davanti alla furia cannibale di un mercantilismo selvaggio. I Tupinambás non ci sono più, ma l’archetipo canto indigeno brasiliano, da lui raccolto, vibra nelle nostre melodie accordi parole. Jean De Lèry morì il 1611 a Berna, Svizzera. Sarà sempre ricordato.