Riforma agraria ancora lontana  

A causa degli errori dei governi precedenti, in Brasile
viene coltivato soltanto il  7,8  per cento del  territorio 

 

di Raoni Guerra

  Il Brasile è un paese di proporzioni continentali. Il suo territorio corrisponde a due volte e mezzo quello dell’Unione europea. E già Vaz de Caminha (lo scriba della flotta della scoperta) scrisse cinque secoli fa: “Em tal maneira é graciosa que, querendo-a aproveitar, dar-se-á nela tudo” ([la terra] è talmente graziosa che, se si vuole sfruttarla, crescerà di tutto). Ma soltanto una frazione di tutta questa potenzialità viene utilizzata: oggi viene infatti coltivato il 7,8 per cento del territorio, mentre negli Usa e Italia la percentuale è del 20 e del 37 per cento rispettivamente.

 

I grandi latifondi

La ragione del poco uso della terra è principalmente storica. Il sistema dei grandi latifondi in mano a poche persone incentiva il sottosfruttamento delle risorse, e per molti secoli (e ancora oggi in alcune zone rurali), l’accumulo di terre non produttive è stato considerato una forma d’investimento. Soltanto negli ultimi anni, con i disincentivi fiscali e la legge di depropriazione (creata nel ’64 ma regolamentata soltanto nel ’93) la riforma agraria è stata affrontata sul serio. Negli otto anni di governo Cardoso sono stati insediate tre volte più famiglie che negli ultimi trenta, e Lula ha promesso di finire la riforma. L’insuccesso della riforma agraria è dovuto alla strategia del governo di disincentivare il possesso di terre non produttive attraverso l’aumento delle imposte. La misura non ha tenuto conto che l’evasione fiscale  nel settore  arriva ai 90% tra i grossi proprietari, e che le tasse sono spesso “perdonate” a causa delle pressioni dei ruralisti nel congresso.

 

Mercato in potenziale

Un altro motivo del sottosfruttamento della terra è la necessità di trovare nuovi consumatori. Il mercato domestico ha un enorme potenziale di crescita. Una miglior distribuzione dei redditi genererebbe un aumento considerevole nella domanda per alimenti. La povertà non soltanto è una vergogna, ma toglie dal mercato milioni di consumatori in potenziale. In Brasile si è gia osservato un fenomeno simile all’inizio del “Plano Real”, nel ’93. La fine dell’inflazione ha creato un aumento reale del reddito dei più poveri, i quali non riescono a proteggersi dall’inflazione galoppante, che in un mese ha consumato il 40 per cento del loro stipendio. Un’altra possibilità è l’espansione verso l’estero, che nel caso brasiliano è una necessità. Negli anni del governo Cardoso l’economia è diventata più dipendente dalla moneta estera, principalmente dal dollaro. Nei primi anni di governo, l’aumento esponenziale dei debiti privati e statali in dollari e delle importazioni sono stati sostenuti dai grossi investimenti di capitale estero principalmente nel mercato finanziario nello stesso periodo.

Con la crisi della Russia, nel ’98 il mercato ha perso la fiducia nei paesi emergenti; da allora si è verificata una fuga di capitali che ha contribuito a generare la crisi Argentina e quella del cambio in Brasile. Senza la fiducia degli investitori, le esportazioni sono diventate essenziali per ottenere valuta estera per pagare i debiti privati e statali, non essendovi ulteriori prestiti da parte del Fmi (Fondo monetario internazionale). Le politiche di Cardoso hanno minato le esportazioni tra ’95 e 2000, e in questi anni il Brasile ha avuto una bilancia commerciale (data dal saldo di importazioni e esportazioni) molto negativa. Negli ultimi due anni, incentivate dal basso valore del Real che rende i prodotti Brasiliani più competitivi, finalmente la bilancia commerciale ha segnato valori positivi. Questo è l’inizio della ripresa del ruolo di paese esportatore che il Brasile ha sempre avuto.

  

Trincea dei Paesi Ricchi

Il blocco alle importazioni dei prodotti agricoli è stato un grande ostacolo nel cammino del Brasile. I meccanismi che creano questi ostacoli sono vari e complessi. I principali sono: quote nelle importazioni, sistema tariffario e sussidi alla produzione ed esportazione. Il Doha Round, un giro di negoziazioni proposto dall’Organizzazione mondiale del commercio nel 2001 ha creato speranze che le barriere fossero giunte agli ultimi giorni. I 144 paesi membri hanno firmato un accordo che prometteva «migliorie sostanziali nell’accesso al mercato» (ovvero riduzione nelle tariffe, ndr), «riduzione con prospettiva di eliminare di tutte le forme di sussidio alle esportazioni», e «sostanziale riduzione nelle distorsioni degli scambi domestici». Il risultato invece è stato deludente. Il primo sabotaggio è venuto dalla Comunità europea. Chirach e Schroeder hanno firmato un accordo per mantenere fino a 2013 la Cap (Common agricultural police). La Cap fa parte del trattato di Roma (1957), e aveva l’obbiettivo di garantire l’approvvigionamento di cibo in un’Europa resa al suolo dalla guerra. Da allora ci sono stati molti tentativi falliti di riformare un sistema che costa il 3 per cento del Pil (prodotto interno lordo) dell’Ue, e rappresenta il 38 per cento del valore della produzione. Gli Usa a loro volta nei prossimi cinque anni vogliono finire con i sussidi delle esportazioni, tagliare i sussidi alla produzione fino a 5 per cento di essa (oggi ammonta al 22) e di ridurre le tariffe d’importazione per non più del 25 per cento. Bush però, invece di diminuire i sussidi ha appena approvato un aumento di 70 per cento per il 2003.

 

Perdono tutti

I sussidi all’agricoltura portano problemi anche ai paesi che la praticano. Fenomeni come la desertificazione e la salinizzazione sono sempre più comuni in paesi che praticano l’agricoltura intensiva. Solo in Italia il 25 per cento delle terre agricole ed il 35 di quelle a pascolo sono a rischio. Da una parte i paesi ricchi precludano ai più poveri un maggiore sviluppo perché riducono l'accesso dei loro prodotti (meno cari), ma d'altro canto esigono dai paesi poveri che aprano i loro mercati ai loro beni e servizi. Un ulteriore problema che spesso non viene preso in considerazione è che il prezzo finale degli alimenti in Europa e negli Usa è molto più caro rispetto al resto del mondo. I consumatori pagano quindi due volte i loro alimenti: una volta attraverso il finanziamento del sussidio (in tasse) e una seconda volta a causa dell'alto prezzo pagato al dettaglio.

 

 

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Bibliografia

The Economist: The Doha squabble - 27 Mar 2003

The Economist: Coming unstuck - 31 Ott. 2002

The Economist: Can Lula finish the job? - 3 Ott. 2002

http://www.dsonline.it/partito/autonomie/agricoltura/documenti/dettaglio.asp?id_doc=4883

http://www.ossimoro.it/global2.htm

http://lanazione.quotidiano.net/art/2000/02/17/582306

http://www.openrepublic.org/policyanalyses/Agriculture/IEA_REFORMING_THE_CAP/20000601_CAP_HISTORY_AND_ATTEMPTS_AT_REFORM_IEA.pdf

http://www2.ibama.gov.br/proarco/riscoseameacas.pdf

http://www.cia.gov/cia/publications/factbook/geos/it.html

http://www.fao.org/WAICENT/FAOINFO/ECONOMIC/ESS/census/wcares/5itatb.asp

http://www.greencrossitalia.it/ita/acqua/risorse_acqua/acqua_009.htm

http://www1.folha.uol.com.br/folha/especial/2002/governolula/presidente-opiniao-19960602.shtml