Il carnevale, il giornale e la città di Brasilia


di
Antonio Teixeira de Barros [1]
Rogério Diniz Junqueira [2]
Sebastião Guilherme Albano da Costa [3]

 

traduzione di Dulce Rosa Rocque e Claudio Samori



"Chi  ha inventato il Brasile? Fu il sig.Cabral
Il  22  aprile.  Due  mesi  dopo  il  carnevale"
(Lamartine Babo)


(em portugues)



"Apri le ali che voglio passare" - Introduzione

Brasilia, capitale del Brasile, è vista da tutti come una città "futuristica", "senza incroci", "fredda", "senza nessuno per le strade", "senza una propria identità", etc.. Studiare il carnevale brasiliense - una festa che si svolge lontano dai riflettori e dall'attenzione dei mezzi di comunicazione nazionali e stranieri - può essere un mezzo per mettere in discussione tali concetti.
                                                     

Questo saggio analizza la "copertura" del carnevale di Brasilia da parte del principale giornale locale, il Correio Braziliense (CB), nell'anno delle celebrazioni del quinto centenario della "scoperta" del Brasile.

 

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- TRADIZIONE VERSUS INNOVAZIONE: "Io organizzo il carnevale / Io inauguro il monumento nell'altipiano centrale del paese"

Diversi studiosi hanno dedicato particolare attenzione ai processi di addomesticamento e incorporazione di aspetti della cultura popolare brasiliana da parte dei settori dominanti e al ruolo svolto dallo Stato per assicurare omogeneità a un discorso ufficiale che, trascendendo le contraddizioni sociali, potesse ottenere legittimità tramite l'appropriazione di elementi simbolici nel frattempo tramutati in "simboli dell'identità nazionale" (Ortiz, 1985; Oliven, 1986; Chauì, 1987). Un processo che si è sviluppato nei più diversi settori (religione, gastronomia, sport, musica e danza) e che, osservandone le specificità, non si è verificato soltanto qui, poiché in non pochi casi il "popolare" è stato trasformato in "nazionale" e questo in "tipico" (Canclini, 1983). Muniz Sodré ha sottolineato in modo particolare la graduale conversione del carnevale brasiliano, in prima istanza vissuto come espressione spontanea, rito di celebrazione comunitaria, in uno spettacolo che si manifesta secondo le logiche dell'industria culturale, portandolo a perdere gran parte del suo carattere di contestazione psico-sociale (Sodré, 1973).

Non sorprende, pertanto, che la dimensione spettacolare della celebrazione popolare del carnevale sia l'aspetto a cui viene riservato il primo piano della "copertura" del CB. Il giornale ha trasformato il carnevale in "evento mediatico" (Katz, 1993), il che è evidente per la quantità di fotografie, colori, risorse grafiche, elementi retorici, oltre al testo di richiamo e al contenuto che privilegia ciò di inconsueto che può servire ai fini della logica media-show, propria degli avvenimenti mediatici.

In un altro studio, Sodré (1996) sottolinea che, nel mondo contemporaneo, la realtà sociale degli individui è costituita, sempre di più, da avvenimenti giornalisticamente rappresentati. "La notizia viene convertita, così, in una tecnologia, non semplicemente cognitiva, ma produttrice di realtà - è la storia che crea storia -. Il reale così prodotto aspira ad una visibilità piena, in consonanza con le tecnologie, suggerendo l'identificazione assoluta tra vedere e credere" (p. 133).

Lo spettacolo è rappresentato dal CB come se fosse "del popolo", "della strada". In questo modo, il giornale sottintende che la popolazione di Brasilia che è rimasta in città durante il ponte di carnevale sia stata totalmente coinvolta nello spettacolo. Tuttavia, accanto all'enfasi data alla partecipazione dei brasiliensi allo spettacolo carnevalesco, alcuni articoli, sebbene pochi, registrano anche la scelta di persone che hanno preferito "fuggire dalla follia". Il giornale ha pubblicato gli itinerari di diversi ritiri spirituali, l'elenco dei videonoleggi aperti 24 ore, suggerimenti per gite ecologiche, per corsi di meditazione, tai-chi-chuan, di ceramica e alimentazione naturale. Tutto questo come alternativa per chi non desiderava "partecipare alla follia".

Se il giornale enfatizza lo spettacolo e lo presenta come se fosse di tutto il popolo di Brasilia, allo stesso tempo, tuttavia, riconosce che molti di coloro che abitano nella città preferiscono altri "percorsi" carnevaleschi. Segmenti significativi della popolazione rifuggono da questo spettacolo popolare e operano scelte di altra natura, "soprattutto quelle mistiche e esoteriche, un elemento culturale legittimo della località".

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"Je vous salue, Marly": simbologia carnevalesca e scenario brasiliense

I simboli del carnevale di Brasilia vanno da quelli che, grosso modo, sono comuni a tutte le feste negli altri stati brasiliani, a simboli specifici di una città concepita e costruita nell'ambito di un progetto di cambiamento della capitale che ha nessi indissolubili con la preoccupazione dello Stato di garantire uno spazio sicuro ed adeguato, distante da pressioni sociali (Visentini, 1985; Negrão de Mello, 1987).

Monica Rector (1989) rileva che la forza simbolica del carnevale si trova nella combinazione di quattro importanti codici: verbale, musicale, gestuale e degli oggetti. Tale combinazione favorisce i giochi dell'avvicinamento (Maffesoli, 1998), i quali "esorcizzano" la distanza che esiste tra un essere umano e l'altro o tra questi ed un oggetto. Pertanto, favorendo le possibilità di relazione spaziale tra le persone e con gli oggetti, il carnevale acquisisce quasi connotazioni che ricordano l'estasi della sensualità vissuta in gruppo, come nelle antiche feste pagane greche e romane.

Tra i simboli più evidenti del codice verbale carnevalesco spiccano gli argomenti ed i testi delle composizioni, degli slogan e delle frasi d'effetto stampate su striscioni e manifesti portati dai foliões (folleggianti, buontemponi) di strada, come, ad esempio: "ho avuto un'idea infelice, ho giocato al bicho (lotteria clandestina, ndt), ed è uscito Roriz" (Roriz è il governatore del Distretto Federale, ndt). Gli striscioni e i cartelloni evidenziavano le proteste verbali dei "folleggianti" a proposito del nuovo valore del salario minimo, delle modifiche del tasso di cambio e della politica educativa del governatore del DF. 

Il codice musicale è sempre uno dei più utilizzati nel carnevale, e qui si rivela particolarmente importante, poiché rappresenta i diversi ritmi presenti nel carnevale brasiliense: samba, frevo, axé, pagode e altri.

Il codice gestuale è strettamente associato a un altro elemento basilare del carnevale: la danza. Questo codice varia secondo il ritmo adottato, l'ambiente e il tipo di manifestazione carnevalesca (di strada, di club o di scuole di samba). Il codice gestuale di strada è spoglio e improvvisato; quello dei club è più misurato. Nel caso delle scuole di samba, obbedisce ai canoni di una rigida gerarchia: l'abre alas, la comissão de frente, il maestro di sala e la portabandiera, la regina della batteria, le baiane, i passisti, ruoli che impongono forme specifiche tanto dei vestiti che del diverso modo di ballare. Nella gestualità dei blocos de rua (gruppi di strada, ndt), prevale, per usare la terminologia di Monica Rector, il dionisiaco; il codice dei club, invece, almeno in principio, è più commisurato e apollineo, sebbene queste categorie, forse, non siano talvolta più adeguate a definire il fenomeno carnevalesco dei nostri giorni. La festa, comunque e senza dubbi, obbedisce ancora ad un rituale di gesti e danza. 

Anzi, il rituale, come ricorda Maffesoli (1998), è ripetitivo e finalizzato, e per questo offre sicurezza ai suoi praticanti; la sua principale funzione è di riaffermare il sentimento che un dato gruppo ha di se stesso. Oltre a ciò, il rituale esprime un certo ritorno allo stesso, una specie di azione ciclica. Tramite la molteplicità dei gesti ripetitivi, "il rituale ricorda alla comunità che essa è un unico corpo. Senza la necessità di verbalizzare ciò, il rituale serve da anamnesi alla solidarietà e (…) implica la mobilitazione della comunità"(p.25).

Il codice degli oggetti assume un'importanza singolare nella simbologia carnevalesca, sia per quanto attiene allo scenario che ai personaggi. Il costume, la maschera, gli strumenti musicali, i carri allegorici, gli ornamenti del Re Momo, della regina, il trio eletrico, (treno elettrico, ndt) gli indumenti, le piume e le paillettes, i brillantini, le stelle filanti. Si tratta di un insieme di oggetti che si trovano a essere, essi stessi, portatori del senso del carnevale. Ancor più, sono tutti oggetti che trascendono la propria materialità e diventano 'trans-oggetti' o cose-valori, ossia, prodotti culturali che portano con sé un insieme di significati che configurano una realtà che travalica, sempre, i propri limiti fisici e funzionali (Baudrillard, 1977). E' interessante riscontrare nella nozione di trans-oggetti una filiazione retorica, giacché nel caso degli oggetti carnevaleschi esiste l'intenzione di porre l'accento sulla tradizione e sulla simbologia.

Nel caso di quel carnevale brasiliense, anche altri elementi, riconducibili alla nozione di oggetto, hanno fatto parte della sua simbologia; ad esempio i colori verde e giallo, un'allusione ai 500 anni della "scoperta" (una ulteriore riaffermazione del "nazionale"), e gli indumenti che si rifacevano all'epoca dell'occupazione coloniale. E, nella stessa scia, in pieno Altipiano Centrale, non è mancata nemmeno la caravella portoghese. Oltre a questo, in un momento di evidente rilassatezza e incontinenza erotico-sensuale, il CB fa notare che il preservativo è stato utilizzato come icona di un "carnevale sicuro".

Il principale scenario che in Brasilia è servito come palco a tutti i codici sopra menzionati, fu la cosiddetta "Passerella dell'Allegria", nell'Asse Monumentale, una delle strade pubbliche di Brasilia più soggette al traffico che, durante il carnevale, cede il posto alla moltitudine di 'folleggianti' anonimi, diligenti sudditi di Momo.

L'inizio dei festeggiamenti carnevaleschi, quell'anno, si è tenuta nell'Aeroporto Internazionale di Brasilia, anziché nel tradizionale spazio popolare della Rodoviaria del Plano Piloto, punto di confluenza di quasi tutti gli itinerari degli autobus urbani. Qui si osserva una chiara contraddizione tra il tentativo del giornale di costruire una rappresentazione di un carnevale per il "popolo" e la politica carnevalesca dell'amministrazione locale. Altre strade del Plano Piloto, come l'"Eixão", la "W3 Sul" e le aree commerciali 203/204 Sud sono state destinate alle sfilate dei blocos come il Pacotão, il Galinho de Brasilia, i Raparigueiros e la Dona Baratona.

 

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"…noi non abbiamo bisogno che qualcuno organizzi il nostro carnevale…": il Pacotão

Merita attenzione il gruppo carnevalesco più famoso e irriverente della capitale: la suddetta Sociedade Armorial Patafisica Rusticana O Pacotão.

Secondo le osservazioni di Valeria Carvalho e Moacyr Oliveira Filho (1998), il Pacotão nacque nel 1978, durante il regime militare, fondato da un gruppo di giornalisti, nostalgici dei vecchi carnevali di strada, "del tempo in cui il folião (buontempone, ndt) indossava un costume e usciva, senza alcun impegno, per "giocare", senza le norme, le regole e i limiti imposti dalle sempre più mass-mediatiche sfilate delle scuole di samba. Ma l'irriverenza e l'originalità del disordinato gruppo hanno conquistato la simpatia della città e, anche durante i tempi della censura, i media non hanno potuto ignorarlo.

Fin dall'inizio, la caratteristica saliente del Pacotão fu la satira politica. Il nome stesso del gruppo è frutto di questa scelta. Il Rusticana faceva riferimento alla Cavalleria del generale Figueiredo. Il Pacotão si riferiva al "pacchetto" di misure economiche dell'aprile 1977. Nei suoi striscioni e nelle sue marcette, il gruppo esprime critiche mordaci ai principali personaggi e ai fatti politici di ogni anno. Fu così anche nel 1979, quando il gruppo ottenne grande successo con "A Marcha do Aiatolà": "Geisel ci hai impantanato,/ anche Figueiredo si impantanerà/Ajatollah, Ajatollah, vieni a salvarci/ perché questo governo è diventato gagá, gagá, gá, Geisel…" (gagá, oltre ad essere la ripetizione della prima sillaba del nome Geisel significa anche rimbambito, ndt). Non sono sfuggiti ai pacoteiros nemmeno il caso Baumgarten, l'inflazione galoppante, la campagna per le elezioni diretas já, le contraddizioni della Nuova Repubblica e neppure quanto è successo dopo. La critica alla censura durante il governo Sarney fu immortalata con la marcia "Je vous salue, Marly" (Marly era il nome della moglie di Sarney, ndt). Anche l'incendio nella raffineria della Petrobras a Vila Socó, nella città di Cubatão (con centinaia di morti), non è passato in silenzio: "Petrobras è fogo".

Ispirato a "Plataforma", di João Bosco, ("…non mettere freni al mio gruppo, non venire con le tue parole d'ordine, non allontanare la gente, non abbiamo motto, nemmeno divisione, non abbiamo bisogno che organizzino il nostro carnevale…"), dalla sua fondazione il gruppo compie, in maniera disorganizzata, le domeniche ed i martedì di carnevale, il suo tradizionale percorso, sempre contromano, sulla "W3", iniziando alle 11 di mattina e senza nessuna "previsione quanto all'ora di chiusura" (Negrão de Mello, 1987, p. 221).

 

 

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Natura della festa: "oggi samberò sulla strada/mentre tu sarai sul palco…"

La segregazione sociale, elemento fortemente caratteristico della struttura urbano-sociale di Brasilia (Paviani, 1966), lascia il segno anche nella baldoria carnevalesca del DF. Ancora: il carnevale agisce anche nel senso del rafforzamento e della legittimazione di questa struttura urbana stratificata. Da un lato, durante il carnevale vengono destinate al "popolo" la "Passerella dell'Allegria", l'"Eixão", la "W3 sud" e le aree commerciali del Plano Piloto; dall'altro, le feste private, nei club, riuniscono l'alta società, i colunáveis di Gilberto Amaral, il principale redattore di articoli sulla "società" di Brasilia.

Ogni struttura ha elementi propri. La festa nelle strade è segnata dalla spontaneità, dall'improvvisazione, dalla tradizione, dalla non differenziazione sociale e dall'irriverenza (di tendenza dionisiaca). In questo senso il Pacotão è il simbolo maggiore di questa irriverenza, con satire a politici nazionali e locali. Le feste dei club sono segnate dalla raffinatezza, dal lusso, dall'organizzazione, dall'eleganza e dalla distinzione sociale (di tendenza apollinea).

Vediamo. Il carnevale di strada riunisce il "popolo", ossia individui anonimi che desiderano semplicemente partecipare alla baldoria, oppure persone conosciute nell'ambito sociale, pubblico e culturale della città, che però, in quest'occasione, colgono l'opportunità per trasgredire, e sfilano come anonimi per tre giorni. Effettivamente, la strada torna ad essere lo spazio dell'anonimato in cui, come ricorda Roberto Da Matta (1983), il cittadino abdica alla propria condizione di persona, col suo status sociale, economico o politico e desidera essere soltanto un mero individuo, anche se per questo usa travestimenti e maschere. In questo senso, il carnevale di strada si trasforma in uno spazio di non differenziazione sociale, di non distinzione, nel quale la regola è lo scambio dei ruoli, l'uso di maschere e altri orpelli che costituiscono la personalità del folião.

Le feste dei club, al contrario, come dimostrano gli articoli di Gilberto Amaral, sono il luogo per eccellenza della distinzione sociale ed economica. In esse non c'è posto per meri individui, ma solo per persone che cercano riconoscimento sociale e rafforzamento del proprio prestigio. La festa di club costituisce, esattamente all'opposto della festa di strada, uno spazio di distinzione sociale in cui il tipo di maschera caratterizza sì il nuovo personaggio, ma in funzione di far risaltare il suo status sociale. Si tratta di una istanza sociale atta all'ostentazione del lusso, come evidenzia lo stesso giornalista. E questo risalto, in certo modo, contraddice la logica del carnevale come periodo trasgressivo e catartico, giacché il carnevale di club costituisce esclusivamente una riaffermazione di regole socio-economiche (sebbene l'elemento catartico possa essere presente). E' ciò che possiamo rilevare da un articolo di Gilberto Amaral: "…massima celebrazione dell'allegria del brasiliano, il carnevale è la stagione del glamour e della bellezza del nostro popolo. Principalmente delle donne (…) Brasilia non fa eccezione, rappresentando un vero festival di buon gusto, creatività, eleganza e …liberazione….. di tutte quelle che, oltre ad essere in evidenza durante tutto l'anno, nel carnevale mettono in mostra la propria esuberanza per la città (…) E' ciò che possiamo vedere e ammirare nei bei volti adornati dalle elaborate produzioni carnevalesche delle nostre signore. Bellezza, allegria e simpatia sembrano fuoriuscire dalle fotografie per illuminare il giorno di tutto il paese" ("Carnaval, festa de todos", 07:03).

Non ci sono dubbi: siamo di fronte ai rappresentanti dei moderni olimpianos, un elenco sfolgorante di personalità che, attraverso l'industria culturale, vengono trasformate in figure paradigmatiche, il cui stile di vita viene ammirato e diventa oggetto di imitazione (Morin, 1977a). Eroi e eroine la cui luce propria si confonde con quella dei riflettori dei media per, come dice l'articolista, "illuminare il giorno di tutto il paese". Questa "mitologia della felicità", osserva Morin, può però raggiungere un'altra fase, quella della "problematica della felicità", nella misura in cui possano verificarsi disavventure amorose o tempeste di tedio (Morin, 1977b, p.109-113). Intanto, questa fase di "infelicità degli olimpianos" non sembra toccare le colonne di Gilberto Amaral. Insomma, è carnevale e, osserva Da Matta (1994), "come tutte le feste, il carnevale crea una situazione in cui certe cose sono possibili e altre devono essere evitate. Non posso realizzare un carnevale con tristezza, così come non posso tenere un funerale con allegria" (p.71). I dispiaceri possono aspettare il mercoledì delle Ceneri.

 

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2 - CADUCITA': "Ma è carnevale… Domani tutto torna normale… Oggi io sono come tu mi vuoi"


Il presente è l'accento dell'aspetto della caducità nella copertura del CB, inteso, qui, come il momento della realizzazione della festa. Ciò che è messo in risalto è l'allegria dei partecipanti, l'energia, la disposizione, la sfilata delle scuole di samba e dei gruppi di strada, le feste nei club. Il passato è evocato in maniera ben circostanziata, come nel caso del riferimento ai 500 anni dalla "scoperta" del Brasile.

Altre forme che rimandano al passato sono gli articoli che riportano la storia di vita dei personaggi di base della festa, come il re Momo, la regina del carnevale, i presidenti delle scuole di samba, la regina delle batterie e altri. Ci sono altri due articoli che fanno chiaro riferimento al passato. Uno racconta la storia del carnevale, e l'altro presenta una sintesi storica dei diversi ritmi, come frevo, samba, maracatù, marcette, percussioni e axé-music.

Non c'è riferimento al futuro, il che rimanda al pensiero di Michel Maffesoli (1984, 1988). Secondo lui, l'uomo è sempre più rivolto all'oggi, concentrato sul suo presente, una caratteristica di neo-tribalismo che permea la cultura post-moderna, rimarcata dal "sentire comune", attraverso i momenti di comunicazione e di aggregazione sociale di natura dionisiaca, soprattutto nelle manifestazioni orgiastiche, come il carnevale, una celebrazione tipica del tempo presente e di natura sensuale e dionisiaca, nei termini proposti dall'autore succitato.

Sia come sia, la storia del Brasile, soprattutto a partire dal 1930, è stata frequentemente utilizzata, satiricamente e non, in marcette e nei temi delle musiche delle innumerevoli scuole di samba. La marcetta di Lamartine e il "Samba do Crioulo Doido", di Stanislaw Ponte Preta, ne sono chiare esemplificazioni. Più recentemente, si ricorda il samba "Vai Passar" di Chico Buarque, che parla di un tempo, "pagina infelice della nostra storia/passata scolorita nella memoria/delle nostre nuove generazioni", in cui "dormiva la nostra madrepatria così distratta/senza accorgersi che era sottratta/in tenebrose transazioni". Comunque, come sottolinea l'antropologo Roberto DaMatta, "la storia che, nel carnevale, i Brasiliani raccontano su loro stessi, per sé stessi, è una storia cantata e scherzosa, mai parlata" (DaMatta, 1983, p.112).

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3 - PUBBLICO VERSUS PRIVATO: "Oggi il samba è uscito cercando te"

Il carnevale brasiliense si realizza nella polarizzazione tra ambienti pubblici (le strade) e privati (i club). Però, anche quando si tratta di luoghi privati, per visibilità e pubblicità (nel senso di rendere pubblico), le feste diventano oggetto di attenzione dell'insieme di lettori del giornale Correio Brasiliense. Con questo, di conseguenza, acquisiscono anche connotazione pubblica. Inoltre sono feste frequentate da un tipo specifico di attori che abitualmente si riuniscono in privato (in gruppi selezionati) e che la stampa pubblicizza; di conseguenza, i lettori che non vi partecipano si informano di quel che vi succede e, forse, sono stimolati a partecipare, anche se soltanto virtualmente. 
Lo spazio pubblico (o sfera pubblica) è uno spazio simbolico e non si limita alla dimensione territoriale o geografica (Arendt, 1983; Habermas, 1984; Keane, 1995, Maffesoli, 1998). Lo stesso CB è strumento di questo spazio di apparenza e potere. Prima di tutto perché, nel nostro caso, è tramite esso che le manifestazioni carnevalesche diventano visibili per i propri lettori, che, necessariamente, non partecipano al carnevale popolare. Per questo pubblico lettore, solo ciò che è pubblicato dal giornale acquisisce connotazione di realtà. In secondo luogo perché questa pubblicità fatta dal giornale implica una selezione di temi, approcci, questioni, personaggi e fonti, e questo presuppone relazioni di potere. Inoltre, il discorso giornalistico stesso è portatore di meccanismi specifici di potere in grado di plasmare il senso (Berger, 1997).

È opportuno sottolineare la trasformazione che avviene nell'ambito pubblico in relazione alla pratica del carnevale. In questo periodo, la capitale, notoriamente costruita per cittadini dotati di "testa, tronco e ruote", subisce un trasferimento dal punto di vista della funzionalità (Maffesoli, 1998): spazi pubblici destinati al traffico, diventano provvisoriamente luogo della follia carnevalesca, e la polizia si incarica di impedire l'avvicinamento delle automobili. Questo ambiente pubblico, con la sua funzionalità invertita nel carnevale, acquisisce anche altre funzioni peculiari, come quella di creare un corpo collettivo in una fusione dionisiaca, un estasi collettivo che contagia il pubblico formato dai foliões - una "comunità emozionale" (Weber, 1999). Nell'ambito di questa nuova funzionalità dello spazio pubblico, evidenzia Maffesoli (1998), l'ambiente assume una funzione precisa, quella di creare un corpo collettivo, modellare un ethos, sull'esempio degli eventi musicali, sportivi o di consumo, oltre a feste ed incontri di microgruppi e tribù, retti dalla logica della simpatia. E' questa logica che ci permette di spiegare le situazioni di fusione ed i momenti di estasi, di natura orgiastica o dionisiaca. E' la logica della comunità emozionale, che riunisce piccoli gruppi per far vivere il "sentire comune", che rende possibile la "espressione del noi". I balli di carnevale nei club di Brasilia costituiscono esempi chiari di questo fenomeno, anche se si può contestare la loro natura dionisiaca e classificarli, con più sicurezza, di pseudo-dionisiaca o semi-dionisiaca. 

 

 

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4 - SIGNIFICATO COMUNITARIO DEL CARNEVALE A BRASILIA

Quello che possiamo capire dalla copertura del CB è che il significato comunitario del carnevale in Brasilia riflette la fragilità stessa della nozione di comunità, caratteristica inerente alla cultura della città. La capitale federale costituisce, in realtà, un centro urbano "polinucleato", con diversi settori abitativi, commerciali, alberghieri, bancari, di club, di ambasciate, etc., ma nessuno dei settori della città presenta la configurazione di "quartiere", nel senso convenzionale.

Come insegna Milton Santos (1982), lo spazio non è una mera un tela di fondo inerte e neutra. In effetti, l'organizzazione spaziale di Brasilia, che secondo Paviani (1996) costituisce uno strumento politico di segregazione sociale, diventa uno dei principali ostacoli alla formazione di una "comunità brasiliense". Così come il progetto architettonico della città ha sancito la "morte della strada" (Holston, 1993), forse ha avuto come corollario la fragilità del senso di comunità. Questo significa non soltanto che Brasilia sia una "città (suppostamente) senza incroci", il che sembra rendere difficile l'aggregazione degli individui, ma anche il fatto che ognuno abita in un'area settorializzata, che ha un'identità propria ed è pregna di forti elementi gerarchici, il che indebolisce la nozione di collettività. O, per lo meno, succede che - vista l'organizzazione della città per sezioni, con i servizi e funzioni della società "settorializzati" - si abbia l'impressione di un luogo in cui le persone si muovono molto per soddisfare i propri bisogni e assolvere ai propri obblighi, connotando una frammentazione nelle relazioni umane che, può non essere altro che una mera "impressione" che la città dà di sé.

Anche il carnevale della città sembra segmentato e settorializzato. Non esiste un carnevale di Brasilia, nel senso "tipico", egemonico, come a Rio, Salvador o Recife, che sia passato dal "popolare" al "nazionale", e, infine, dal "nazionale" al "tipico" (Canclini, 1983). Quel che esiste sono multiple manifestazioni carnevalesche, che risaltano la tanto nota e supposta mancanza di identità di Brasilia, opinione imprecisa che si basa sulla giovinezza della capitale (40 anni nel 2000). E il giornale, d'altra parte, nel caso del carnevale, non si preoccupa nemmeno di cogliere tutte le tendenze o settori che confluiscono. Il CB mette in evidenza esclusivamente due versioni: il carnevale di strada (realizzato nella "Passerella dell'Allegria" e finanziato e controllato dal governo locale) e le feste dei club, frequentate dalla classe medio-alta. Questa polarizzazione dimostra un approccio burocratico oltre che limitato.

Forse la ragione di questo si trova nel fatto che la maggioranza dei lettori del CB, tendono a trovarsi tra uno di questi due gruppi di foliões. Questo si giustifica nell'immagine fortemente sedimentata secondo la quale Brasilia è una città di funzionari pubblici, burocrati. Il gruppo di foliões dei club riunisce la cosiddetta "Corte", costituita, oltre che dal settore imprenditoriale e culturale, da alti dirigenti del settore pubblico e dai rappresentanti dei consolati. Insomma, l'obiettivo centrale della copertura del CB è il carnevale che interessa a queste fasce del pubblico. Muniz Sodré (1999) segnala che la stampa implica "una struttura discorsiva capace di produrre un determinato tipo di pubblico-lettore", visto che "quando seleziona un argomento in quanto notiziabile (escludendo automaticamente altri, ritenuti "non notiziabili") il giornale ottiene l'adesione di un certo numero di lettori, che costituirà il suo pubblico consumatore (p.136). Così, le manifestazioni carnevalesche delle città satelliti e dei dintorni appaiono solo in note marginali del quotidiano brasiliense. In queste località abitano operai, commessi e donne di servizio, tra altre professioni che non sembrano formare il pubblico-lettore preferito dal giornale.


 

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5 - COMMENTI FINALI: "E tutto finirà il mercoledì"

Le immagini mediatiche del carnevale del 2000 a Brasilia, secondo la copertura del CB, rivelano l'esistenza di referenti culturali multipli. In primo luogo si trovano i ritmi afro, rappresentati dalla musica bahiana, un riferimento palese al carnevale di Salvador. In secondo luogo, il samba ed il pagode, ingredienti basici della follia carioca e paulista. Il frevo viene in seguito, rappresentando i riferimenti culturali di Recife e Olinda.

Tutto questo dimostra che, culturalmente ed in termini di carnevale, Brasilia costituisce una sintesi del "mescolamento" di ritmi ed è espressione del Brasile stesso. Per quanto riguarda la razza e la cultura, è marcato principalmente dalla "interpenetrazione", come ricorda Gilberto Freyre (1940, 1971, 1977). Se il Brasile è il risultato di questo processo eclettico e sincretico di elementi culturali, Brasilia, sempre secondo Freyre (1968), è la massima espressione di questa mistura di tendenze e interpenetrazione di elementi culturali. 


La popolazione brasiliana è oriunda provenendo da tutte le regioni del paese, però nei reportage del CB sul carnevale non si trova alcun riferimento ai foliões provenienti da Bahia, Rio, S. Paulo e da altri stati. Si può quindi dedurre che, per il CB, i riferimenti culturali baiano, carioca e paulista, per esempio, sono considerati già parte integrante della celebrazione carnevalesca brasiliense, mentre Pernambuco sembra ancora un referente che riporta al migrante, l'"altro", che viene da lontano e ancora sente nostalgia della sua "terra". Si tratta di una visione erronea e parziale del giornale, poiché il frevo non è una novità nel carnevale brasiliense. Anzi, costituisce un referente comune, tanto significativo quanto gli altri, anche se la musica baiana e il samba siano già stati accettati e digeriti dal pubblico locale e nazionale, molto più del frevo, per merito della pubblicità, della moda e della disponibilità commerciale.

Si evidenzia, infine, un riferimento che è stato usato in tutti gli stati: l'allusione ai 500 anni della "scoperta". Come era prevedibile, nei club tale riferimento si è fermato alla decorazione degli ambienti: per esempio, l'entrata di uno dei club è stata trasformata in una grande caravella. La particolarità di Brasilia si trova principalmente nella satira prodotta dal Pacotão, nel cd "500 anni di rapina", con il suo " e infame D. Henrique, 'mulatinho' intrigante, che ha mangiato trippa di caprone ha consegnato il paese ai banchieri". Questa è stata senza dubbio una delle più autentiche manifestazioni della trasgressione di valori, di critica sociale e politica, associata, come detto, alle origini del carnevale e la sua inerente sovversione attraverso la risata.

All'arrivo del mercoledì delle ceneri, come ogni anno, tutta questa "ansimante epidemia" finisce in maschere strappate e "giorni senza sole che sorge". Però è proprio qui che merita di essere ricordato Vinicius: "

"Nel frattempo si deve cantare
Più che mai si deve cantare
Si deve cantare e rallegrare la città"

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BIBLIOGRAFIA

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CANCLINI, Nestor Garcia. As culturas populares no capitalismo. São Paulo: Brasiliense, 1983.
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[1] Dottore in Sociologia e specializzato in Comunicazioni. Docente del Corso di Comunicazione Sociale presso il Centro Universitario di Brasília (UniCEUB). Docente ricercatore associato del programma di specializzazione in Comunicazione dell'Università di Brasília (UnB).

[2] Dottore in Sociologia. Docente del Corso di Comunicazione Sociale del Centro Universitario di Brasília (UniCEUB).

[3] Laureato in Giornalismo e specializzando in Letterature Ispaniche dell'UNAM (Università Nazionale del Méssico).

 

 


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(em portugues)

O carnaval, o jornal e a cidade de Brasília


por:

Antonio Teixeira de Barros[1]
Rogério Diniz Junqueira[2]
Sebastião Guilherme Albano da Costa[3]


traduçao em italiano: Dulce Rosa Rocque e Claudio Samori





"Quem  foi  que  inventou o Brasil? /  Foi seu Cabral
No dia 22 de abril / Dois meses depois do carnaval"
(Lamartine Babo)



"Ó abre alas que eu quero passar": introdução


Brasília, a capital federal brasileira é comumente vista como uma cidade "futurística", "sem esquinas", "fria", "sem gente nas ruas", "sem identidade própria" etc. O estudo do carnaval brasiliense - uma festa que se dá longe dos holofotes e da atenção dos meios de comunicação nacionais e estrangeiros - pode ser um meio de se problematizar tais representações. Este ensaio analisa a cobertura do carnaval em Brasília pelo principal jornal local da capital, o Correio Braziliense (CB), no ano das celebrações oficiais do quinto centenário do "descobrimento" do Brasil.



1 TRADIÇÃO X INOVAÇÃO: "Eu organizo o carnaval/ eu inauguro o monumento no Planalto Central do país"


Vários estudiosos dedicaram particular atenção aos processos de domesticação e incorporação de aspectos da cultura popular brasileira pelos setores dominantes e ao papel desempenhado pelo Estado para assegurar homogeneidade a um discurso oficial que, transcendendo as contradições sociais, pudesse alcançar uma legitimidade mediante a apropriação de elementos simbólicos então transmutados em "símbolos da identidade nacional" (Ortiz, 1985; Oliven, 1986; Chauí, 1987). Um processo que se deu nos mais diversos planos (religião, culinária, esporte, música e dança) e que, guardadas suas especificidades, não se verificou só aqui, pois em não poucos lugares o "popular" viu-se transfigurar-se em "nacional" e este em "típico" (Canclini, 1983). Muniz Sodré, por sua vez, sublinhou particularmente a conv ersão gradual do carnaval brasileiro, antes vivido como uma expressão espontânea, um rito de celebração comunitária, em um espetáculo que se manifesta segundo as lógicas da indústria cultural, levando-o a perder grande parte de seu caráter de contestação psicossocial (Sodré, 1973).

Não surpreende, portanto, que a dimensão espetacular da celebração popular do carnaval seja o aspecto que alcança o primeiro plano da cobertura do CB. O jornal transformou o carnaval em "acontecimento midiático" (Katz, 1993), o que se percebe com a profusão de fotos, cores e recursos gráficos, elementos retóricos, além do texto apelativo e do conteúdo que prima pelo inusitado, que pode servir aos propósitos da lógica mídia-show, própria dos acontecimentos midiáticos.

Em outro estudo, Sodré (1996) sublinha que, no mundo contemporâneo, a realidade social dos indivíduos é constituída cada vez mais por acontecimentos jornalisticamente apresentados. "A notícia converte-se, assim, numa tecnologia, não simplesmente cognitiva, mas produtora de real - é a história que cria história. O real assim produzido aspira a uma visibilidade plena, em consonância com as tecnologias, sugerindo a identificação absoluta entre ver e crer" (p. 133).

O espetáculo é representado pelo CB como sendo "do povo", "da rua". Com isso, o jornal sugere que a população de Brasília que permaneceu na cidade durante o feriadão de carnaval esteve inteiramente envolvida no espetáculo. Todavia, ao lado dessa ênfase à participação do brasiliense no espetáculo carnavalesco, algumas poucas matérias registram as opções de pessoas que procuraram "fugir da folia". O jornal publicou roteiros de diversos retiros espirituais, videolocadoras que abriram 24 horas, passeios ecológicos e os cursos de meditação, tai chi chuan, oficinas de cerâmica e culinária natural. Tudo isso como opções para quem não desejava "cair na folia".

Se o jornal enfatiza o espetáculo e o apresenta como sendo de todo o povo de Brasília, ao mesmo tempo reconhece que muitos dos que moram na cidade preferem outros roteiros carnavalescos. Segmentos expressivos fogem desse espetáculo popular e preferem outras alternativas " sobretudo as místicas e esotéricas, uma marca cultural legítima da localidade".



"Je vous salue, Marly" : simbologia carnavalesca e cenário brasiliense


Os símbolos do carnaval de Brasília vão desde aqueles que, grosso modo, são comuns a todas as festas nos demais estados, aos símbolos específicos de uma cidade concebida e construída no âmbito de um projeto de mudança da capital que tem seus nexos indissociáveis com uma preocupação do Estado de garantir um espaço seguro e adequado, distante de pressões sociais (Visentini, 1985; Negrão de Mello, 1987).

Monica Rector (1989) assinala que a força simbólica do carnaval está na combinação de quatro importantes códigos: o verbal, o musical, o gestual e o dos objetos. Tal combinação favorece os jogos da proxemia (Maffesoli, 1998), os quais amenizam a distância que existe entre um ser humano e outro ou entre estes e um objeto. Portanto, ao favorecer as possibilidades de relação espacial entre pessoas e objetos, o carnaval faz com que adquira conotações que lembram o êxtase da sensualidade vivenciada em grupo, como nas antigas festas pagãs gregas e romanas.

Entre os símbolos ressaltados pelo código verbal carnavalesco podemos destacar a letra dos enredos e os slogans e frases de efeito expostos em faixas e cartazes pelos foliões de rua, como no exemplo: "Tive um palpite infeliz, joguei no bicho e deu Roriz" (Roriz é o governador do Distrito Federal). As faixas e cartazes destacavam os protestos verbais dos foliões quanto ao novo valor do salário mínimo, às mudanças na taxa de câmbio e à política educacional do governador do DF.

O código musical sempre é um dos mais utilizados pelo carnaval, e aqui revela-se especialmente importante, representando os diversos ritmos presentes na folia brasiliense: samba, frevo, axé, pagode e outros.

O código gestual está associado a outro elemento básico do carnaval: a dança. Esse código varia de acordo com o ritmo adotado, o ambiente e o tipo de manifestação carnavalesca (de rua, de clube ou de escola de samba). O gestual de rua é despojado e improvisado; o de clubes é mais comedido. No caso das escolas de samba, obedece a padrões de hierarquia: o abre alas, a comissão de frente, o mestre sala e a porta-bandeira, a rainha da bateria, as baianas, os passistas, alas que impõem formas específicas tanto de vestimenta como de diversidade dancística. O gestual dos blocos de rua, usando a terminologia de Monica Rector, prima pelo dionisíaco; já o de clubes, pelo menos em princípio, pelo mais comedido e apolíneo, embora essas categorias talvez já não sejam adequadas para delimitar o fenômeno carnavalesco de nossos dias. De toda sorte e in dubitavelmente, a festa ainda obedece a um ritual de gestos e dança.

Aliás, o ritual, como lembra Maffesoli (1998), é repetitivo e orientado para um fim e por isso oferece segurança a seus praticantes; sua função maior é reafirmar o sentimento que um dado grupo tem de si mesmo. Além disso, o ritual exprime um certo retorno ao mesmo, uma espécie de agenda cíclica. Através da multiplicidade dos gestos rotineiros, "o ritual lembra à comunidade que ela é um corpo. Sem a necessidade de verbalizar isto, o ritual serve de anamnese à solidariedade e, (...) implica a mobilização da comunidade" (p.25).

O código dos objetos assume importância singular na simbologia carnavalesca, tanto no que se refere ao cenário como aos personagens. A fantasia, a máscara, os instrumentos musicais, os carros alegóricos, os adereços do rei Momo, da rainha, o trio elétrico, a indumentária, as plumas e os paetês, a purpurina, a serpentina. Trata-se de um conjunto de objetos que se tornam, eles próprios, portadores do sentido do carnaval. Ademais, são todos objetos que transcendem a sua materialidade e se tornam transobjetos ou coisas-valores, ou seja, produtos culturais que carregam em si um conjunto de significados que configuram uma realidade que sempre vai além de seus limites físicos e funcionais (Baudrillard, 1977). É interessante perceber na noção de transobjet os uma filiação retórica, já que no caso dos objetos carnavalescos há uma intenção de chamar a atenção para a tradição e a simbologia.

No caso do carnaval brasiliense, outros elementos que poderiam conformar a noção de objetos também fizeram parte da simbologia daquele carnaval, como as cores verde e amarelo, em alusão aos 500 anos do "descobrimento" (uma ulterior reafirmação do "nacional", e indumentárias que remontavam à época da ocupação colonial. E, na mesma esteira, em pleno Planalto Central, não faltou nem a caravela portuguesa. Além disso, em um momento notório pelo seu desprendimento e pela incontinência erótico-sensual, o CB destaca também que o preservativo foi utilizado como ícone de um "carnaval seguro".

O principal cenário que em Brasília serviu de palco a todos os códigos acima mencionados foi a chamada "Passarela da Alegria", no Eixo Monumental, uma das vias públicas de maior tráfego de veículos em Brasília, que, durante o carnaval, cede lugar à multidão de foliões anônimos, diligentes súditos de Momo.

A abertura dos festejos carnavalescos, neste ano, foi realizada no Aeroporto Internacional de Brasília, em vez do tradicional espaço popular da Rodoviária do Plano Piloto, local de confluência de quase todos os itinerários dos ônibus urbanos. Aqui, podemos observar uma clara contradição entre a tentativa do jornal de construir uma representação de um carnaval para o "povo" e a política carnavalesca da administração local. Outras vias públicas do Plano Piloto, como o "Eixão", a "W3 Sul" e as entrequadras comerciais 203/204 Sul foram destinadas ao desfile de blocos como o "Pacotão", o "Galinho de Brasília", os "Raparigueiros" e a "Dona Baratona.



"... a gente não precisa que organizem o nosso carnaval...": o "Pacotão"

Merece destaque o bloco carnavalesco mais famoso e irreverente da capital: a já mencionada "Sociedade Armorial Patafísica Rusticana O Pacotão".

Conforme observam Valéria Carvalho e Moacyr Oliveira Filho (1998), o "Pacotã" surgiu em 1978, em pleno regime militar, fundado por um grupo de jornalistas saudosos dos velhos carnavais de rua, "do tempo em que o folião vestia uma fantasia e saía descompromissadamente brincando", sem as normas, regres e limites impostos pelos cada vez mais midiáticos desfiles das escolas de samba. Mas a irreverência e a originalidade do desordenado bloco conquistaram a simpatia da cidade e, mesmo em tempos de censura, a mídia não pôde negligenciá-lo.

Desde o início, a principal marca do "Pacotão" foi a sátira política. O próprio nome do bloco já é fruto disso. O "Rusticana" era uma referência à Cavalaria do general Figueiredo. "Pacotão" referia-se ao Pacote de Abril de 1977. Em suas faixas, marchinhas, o bloco faz críticas mordazes aos principais personagens e fatos políticos de cada ano. Foi assim em 1979, quando o bloco lançou seu maior sucesso, "A Marcha do Aiatolá" "Geisel você nos atolou,/ o Figueiredo também vai atolar,/ Aiatolá, Aiatolá, venha nos salvar,/ que esse governo já ficou gagá, gagá, gá, Geisel...". Não escaparam dos "pacoteiros" o caso Baumgarten, a inflação galopante, a campanha por "diretas já", as contradições da Nova República e os tropeços do que se seguiu. A crítica à censura durante o governo Sarney ficou imortalizada com o "Je vous salue, Marly" (Marly era o nome da primeira-dama). O incêndio na refinaria da Petrobrás na Vila Socó, em Cubatão (com centenas de mortos), também não passou desapercebida: "Petrobrás é fogo".

Inspirado na música de João Bosco, "Plataforma" ("...não põe corda no meu bloco, não vem com teu carro chefe, não afasta o pessoal, não tem lema, nem divisão, que a gente não precisa que organizem nosso carnaval..."), desde sua fundação, o bloco cumpre, desorganizadamente, nos domingos e terças de carnaval, seu tradicional percurso, sempre na contramão, pela "W3", iniciando seus "trabalhos" às 11 da manhã e sem nenhuma "previsão quanto à hora de fechar" (Negrão de Mello, 1987, p. 221).



Natureza da festa: "Hoje vou sambar na pista/ você vai de galeria..."

A segregação social, elemento fortemente característico da estrutura urbano-social de Brasília (Paviani, 1996), deixa suas marcas na folia carnavalesca no DF. E mais: o carnaval atua também no sentido de reforçar e legitimar essa estrutura urbana estratificada. De um lado, durante a festa, destina-se ao "povo" a "Passarela da Alegria", o "Eixã", a "W3 Sul" e as entrequadras comerciais do Plano Piloto. Do outro lado, as festas privadas, nos clubes, reúnem os colunáveis de Gilberto Amaral, o principal colunista social de Brasília.

A cada estrutura correspondem elementos próprios. A folia de rua é marcada pela espontaneidade, improviso, tradição, indiferenciação social e irreverência (de tendência dionisíaca). Aí o "Pacotão" é o símbolo maior dessa irreverência, com sátiras a políticos nacionais e locais. As festas de clubes são marcadas pelo requinte, luxo, organização, elegância e distinção social (de tendência apolínea).

Vejamos. O carnaval de rua reúne o "povão", ou seja, indivíduos anônimos que desejam simplesmente participar da folia ou mesmo pessoas publicamente reconhecidas no cenário social, político e cultural da cidade, mas que, neste contexto, aproveitam a possibilidade de transgredir a ordem, e desfilam como anônimos por três dias. Efetivamente, a rua torna-se o espaço do anonimato, em que, como lembra Roberto DaMatta (1983), o cidadão abdica de sua condição de pessoa, com seu status social, econômico, ou político e deseja ser apenas um mero indivíduo, mesmo que para isso tenha que usar disfarces ou fantasias. Nesse sentido, o carnaval de rua torna-se um espaço de indiferenciação social, de não distinção, no qual a regra é a troca de papéis, uso de máscaras e apetrechos que padronizam a pe rsonalidade do folião.

As festas dos clubes, ao contrário, como mostra a coluna de Gilberto Amaral, é o espaço por excelência da distinção social e econômica. Nelas, não há lugar para meros indivíduos, mas pessoas, todas buscando reconhecimento e reforço de seu prestígio. A festa de clube constitui, exatamente ao contrário da rua, um espaço para a distinção social, no qual o tipo de fantasia caracterizará o novo personagem, mas para ressaltar seu status. Trata-se de uma instância social apropriada para a ostentação de luxo, como destaca o próprio colunista. E esse destaque, de certa maneira, contraria a lógica do carnaval como um período transgressor e catártico, já que o carnaval de clube somente confirma normas sócio-econômicas (mesmo que o elemento catártico possa estar presente). É o que podemos observar com na c oluna de Gilberto Amaral: "...celebração maior da alegria do brasileiro, o carnaval é temporada aberta para o glamour e a beleza de nosso povo. Principalmente das mulheres (...) Brasília não faz exceção, apresentando um verdadeiro festival de bom gosto, criatividade, elegância e despojamento de todas aquelas que, além de serem destaque durante todo o ano, no carnaval desfilam sua exuberância pela cidade (...) É o que podemos ver e admirar nos belos rostos adornados pelas requintadas produções carnavalescas de nossas damas. Beleza, alegria e simpatia parecem saltar das fotos para iluminar o dia de todo o país" ("Carnaval, festa de todos", 07.03).

Não há dúvidas: estamos diante de representantes dos modernos "olimpianos", um elenco fulgurante de personalidades que, via indústria cultural, são transformadas em figuras paradigmáticas, cujo estilo de vida passa a ser admirado e objeto de imitação (Morin, 1977a). Heróis e heroínas cuja luz própria se confunde com as dos holofotes e refletores da mídia, para, como diz o colunista "iluminar o dia de todo o país". Essa "mitologia da felicidade", observa Morin, pode porém atingir outra fase, a da "problemática da felicidade", à medida que possam vir a ter lugar as desventuras amorosas ou as tormentas do tédio (Morin, 1977b, p. 109-113). No entanto, essa fase de "infelicidade dos olimpianos" não parece povoar as colunas de Gilberto Amaral. Afinal, é carnaval e, como observa DaMatta (1994), "como toda festa, o carnaval cria uma situação e m que certas coisas são possíveis e outras devem ser evitadas. Não posso realizar um carnaval com tristeza, do mesmo modo que não posso ter um funeral com alegria" (p. 71). Os dissabores podem esperar a quarta-feira de Cinzas.



2 TEMPORALIDADE: "Mas é carnaval... Amanhã tudo volta ao normal... hoje eu sou da maneira que você me quer"

O presente é a tônica do aspecto temporalidade na cobertura do CB, entendido, aqui, como o momento de realização da festa. O que é destacado é a alegria dos foliões, a energia, a disposição, o desfile das escolas de samba e dos blocos de rua e as festas nos clubes. O passado é evocado circunstancialmente, como no caso da referência aos 500 anos de "descobrimento" do Brasil. 

Outras formas que remetem ao passado são as matérias que relatam a história de vida de personagens básicos da folia, como o rei Momo, a rainha do carnaval, presidentes de escolas de samba, rainhas de baterias e outros. Há ainda duas matérias com referências claras ao passado. Uma que relata a história do carnaval e outra que apresenta um resumo histórico dos diferentes ritmos, como o frevo, o samba, o maracatu, as marchinhas, a batucada e a axé music.

Não há referências ao futuro, o que remete ao pensamento de Michel Maffesoli (1984, 1988). Em sua opinião, o homem está cada vez mais voltado para o atual, concentrado em seu tempo presente, uma característica do neotribalismo que caracteriza a cultura pós-moderna, marcada pelo "sentir comum", pelos momentos de comunicação e agregação social de natureza dionisíaca, sobretudo nas manifestações orgiásticas, como o carnaval, uma celebração típica do tempo presente e de natureza sensual e dionisíaca, nos termos propostos pelo autor citado.

Seja como for, a história do Brasil, sobretudo a partir dos anos de 1930, foi freqüentemente tematizada, satiricamente ou não, por exemplo, em marchinhas e em sambas-enredo de inúmeras escolas de samba. A marchinha de Lamartine e o "Samba do Crioulo Doido", de Stanislaw Ponte Preta, são claras ilustrações disso. E quem se lembraria, mais recentemente, do samba "Vai Passar", de Chico Buarque, que fala de um tempo, "página infeliz da nossa história/ passada bem desbotada na memória/ das nossas novas gerações", em que "dormia a nossa pátria-mãe tão distraída/ sem perceber que era subtraída/ em tenebrosas transações"? De todo modo, como bem sublinha o antropólogo Roberto DaMatta, "a história que, no carnaval, os brasileiros contam sobre eles próprios, para eles mesmos, é uma história can tada e brincada, jamais falada" (DaMatta, 1983: p.112).



3 PÚBLICO X PRIVADO: "Hoje o samba saiu procurando você"


O carnaval brasiliense realiza-se na polarização entre ambientes públicos (as vias públicas) e privados (os clubes). Entretanto, mesmo quando se trata de lugares particulares, pela visibilidade e publicidade (no sentido de levar a público), os bailes tornam-se objeto da atenção do conjunto de leitores do CB. Com isso, conseqüentemente, adquirem também conotação pública. Além disso, são festas freqüentadas por um tipo específico de atores que costumam se reunir em privado (em grupos seletos) e que a imprensa publiciza e, conseqüentemente, os leitores que não participam das reuniões informam-se do que ocorre nelas e talvez sejam estimulados a querer participar delas, ainda que apenas vicariamente.

O espaço público ou esfera pública é um espaço simbólico e não se limita à dimensão territorial ou geográfica (Arendt, 1983; Habermas, 1984; Keane, 1995; Maffesoli, 1998). O próprio CB constitui instrumento desse espaço de aparência e de poder. Primeiro porque, neste caso, é por meio dele que as manifestações carnavalescas se tornam visíveis para seu público leitor, que, necessariamente, não participa do carnaval popular. Para esse público, adquire conotação de realidade apenas o que é publicado pelo jornal. Em segundo lugar porque essa publicização feita pelo jornal implica a seleção de temas, enfoques, abordagens, personagens e fontes, e isso supõe relações de poder. Além disso, o próprio discurso jornalístico é portador de mecanismos específicos de poder capazes de plasmar sentidos (Berger, 1997).

É oportuno salientar ainda a transformação que ocorre na ambiência pública para a prática do carnaval. Nesse período, a capital, notoriamente construída para cidadãos dotados de "cabeça, tronco e rodas", sofre uma transferência sob o ponto de vista da funcionalidade (Maffesoli, 1998): espaços públicos destinados ao tráfego de veículos, provisoriamente tornam-se locus da folia carnavalesca, e a polícia encarrega-se de impedir a aproximação de automóveis. Esse ambiente público, com sua funcionalidade invertida no carnaval, adquire ainda outras funções peculiares, como a de criar e um corpo coletivo em uma fusão dionisíaca, um êxtase coletivo que contagia o público formado pelos foliões - uma "comunidade emocional" (Weber, 1999). No âmbito dessa nova funcionalidade do espaç o público, ressalta Maffesoli (1998), o ambiente assume uma função precisa, que é de criar um corpo coletivo, modelizar um ethos, a exemplo das reuniões musicais, esportivas ou de consumo, além das festas e encontros de microgrupos e tribos, regidos pela lógica da simpatia. É essa lógica que nos permite explicar as situações de fusão e os momentos de êxtase, de natureza orgiástica ou dionisíaca. É a lógica da comunidade emocional, que reúne pequenos grupos para vivenciar o "sentir comum", que torna possível  a "expressão do nós". As festas de carnaval nos clubes de Brasília constituem exemplos claros desse fenômeno, mesmo que se possa contestar sua natureza dionisíaca e classificá-la, mais seguramente, de pseudo-dionisíaca ou semi-dionisíaca. 



4 SIGNIFICAÇÃO COMUNITÁRIA DO CARNAVAL EM BRASÍLIA

O que podemos depreender da cobertura do CB é que a significação comunitária do carnaval em Brasília reflete a própria fragilidade da noção de comunidade, característica inerente à cultura da cidade. A capital federal constitui, na realidade, um centro urbano polinucleado, com diversos setores habitacionais, comerciais, hoteleiros, bancários, de clubes, de embaixadas etc., mas nenhum dos setores da cidade apresenta a configuração de "bairro", no sentido convencional.

Como nos ensina Milton Santos (1982), o espaço não é uma mera tela de fundo inerte e neutra. Com efeito, organização espacial de Brasília, que segundo Paviani (1996), constitui um instrumento político de segregação social, torna-se um dos principais obstáculos à formação de uma "comunidade brasiliense". Assim como o projeto arquitetônico da cidade acarretou a "morte da rua" (Holston, 1993), talvez tenha tido também como corolário a fragilidade do sentimento de comunidade. Isso significa que não é apenas o fato de que Brasília seja uma "cidade (supostamente) sem esquinas" que parece dificultar a agregação dos indivíduos, mas também o fato de que cada um reside em uma área setorizada, que possui uma identidade própria e é impregnada de fortes elementos hierarquizadores, o que enfraquece a noção de colet ividade. Ou, pelo menos, ocorre que o fato de a cidade ser organizada por seções, com os serviços e funções da sociedade "setorizados", resulta na impressão de um lugar em que as pessoas se deslocam muito para poder suprir suas necessidades cidadãs e cumprir suas obrigações, conotando uma fragmentação nas relações humanas que, em princípio, cabe ressaltar, pode não passar de uma mera "impressão" que a cidade imprime.

O carnaval da cidade também parece segmentado e setorizado. Não existe um carnaval de Brasília, no sentido "típico", hegemônico, como no Rio, em Salvador ou no Recife, que tenha passado do "popular" ao "nacional" e, por fim, do "nacional" ao "típico" (Canclini, 1983). O que há são múltiplas manifestações carnavalescas, ressaltando a tão propalada e suposta falta de identidade de Brasília, comentário por demais impreciso e que se apóia na juventude da capital (40 anos em 2000). E o jornal, de outro lado, no caso do carnaval, nem sequer se preocupa em retratar todas as tendências ou setores que confluem. Seu foco está exatamente em duas vertentes: o carnaval de rua (realizado na "Passarela da Alegria", e com o patrocínio e o controle do governo local) e as festas dos clubes, freqüentadas pela classe média alta. Esta polarização conota uma abordagem que, além de limitada, é burocrática.

Talvez a razão para isso esteja no fato de que os leitores do CB, em sua maioria, tendem a estar nestes dois grupos de foliões. Isso se justifica pelas imagens fortemente sedimentadas segundo as quais Brasília é uma cidade de funcionários públicos, burocratas. O grupo dos foliões dos clubes reúne a assim dita "Corte", constituída, além do setor empresarial e cultural, de figuras dos altos escalões do serviço público e dos representantes consulares. Em suma, é o carnaval que interessa a essas faixas de público que constituem o foco central da cobertura do CB. Muniz Sodré (1999) assinala que a imprensa implica "uma estrutura discursiva capaz de produzir um tipo determinado de público-leitor", uma vez que "ao selecionar um fato como noticiável (automaticamente excluindo outros, tidos como "não noticiáveis") o jornal obtém a adesão de um certo número de leitores, que vai c onstituir o seu público consumidor" (p. 136). Assim manifestações carnavalescas das cidades-satélites e do Entorno não aparecem senão em notas marginais do diário brasiliense. Nessas localidades moram os operários, comerciários e empregadas domésticas, entre outras profissões que, não parecem mesmo conformar o público-leitor preferencial do jornal.



5 COMENTÁRIOS FINAIS: "E tudo pra se acabar na quarta-feira"


As imagens midiáticas do carnaval 2000 em Brasília, de acordo com a cobertura do CB, revelam a existência de múltiplos referentes culturais. Em primeiro lugar estão os ritmos afros, representados pela música baiana, uma menção clara ao carnaval de Salvador. Em segundo lugar, o samba e o pagode, ingredientes básicos da folia carioca e paulista. O frevo aparece em seguida, representando os referentes culturais de Recife e Olinda.

Tudo isso demonstra que, culturalmente e em termos de carnaval, Brasília constitui uma síntese da "miscigenação" de ritmos e expressão do que é o Brasil. No que diz respeito a raça e cultura, é marcado especialmente pela "interpenetração", como lembra Gilberto Freyre (1940, 1971, 1977). Se o Brasil é resultado desse processo eclético e sincrético de elementos culturais, Brasília, ainda segundo Freyre (1968), é a expressão máxima dessa mistura de tendências e interpenetração de elementos culturais.

A população brasiliense é oriunda de todas as regiões do país. Entretanto, nas reportagens do CB sobre o carnaval da cidade, não há nenhum destaque para os foliões provenientes da Bahia, do Rio, São Paulo e outros estados. Assim, o que podemos inferir é que, para o CB, os referentes culturais baianos, cariocas e paulistas, por exemplo, já são considerados parte da celebração carnavalesca brasiliense, ao passo que Pernambuco ainda aparece como um referente que remete ao migrante, o "outro" que vem de fora e ainda sente saudades da "terrinha". Eis aí uma visão equivocada e parcial do jornal, pois o frevo não é novidade no carnaval brasiliense. Ao contrário, constitui um referente comum, tão significativo quanto os demais, mesmo que a música baiana e o samba já sejam explicitamente aceitos e digeridos pelo público local e nacional, muito mais significativamente do que o frevo, devido a fenômenos como a publicidade, a moda, a viabilidade comercial.

Cabe destacar, por fim, uma referência que foi a tônica em todos os estados: a alusão aos 500 anos do "descobrimento". Como era de se esperar, nos clubes, a referência aos 500 anos ficou apenas na decoração: uma entrada de um dos clubes foi transformada em uma grande caravela. A particularidade em Brasília está sobretudo na sátira protagonizada pelo "Pacotão", com o CD intitulado "500 anos de rapina", com seu "infame Dom Henrique, mulatinho inzoneiro, que comeu buchada de bode e entregou o país para os banqueiros". Esta foi, sem dúvida, uma das mais autênticas manifestações de verdadeira transgressão de valores, de crítica social e política, associada, como foi dito, às origens do carnaval e a sua inerente subversão pelo riso.

Quando chegou a quarta-feira, como a cada ano, toda essa "ofegante epidemia" terminou em fantasias rasgadas e "dias sem sol raiando". Mas é justamente aí que valeria lembrar Vinícius: "No entanto é preciso cantar/ Mais do que nunca é preciso cantar/ É preciso cantar e alegrar a cidade".



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[1] Doutor em Sociologia e mestre em Comunicação. Professor do Curso de Comunicação Social do Centro Universitário de Brasília (UniCEUB). Professor Pesquisador Associado do Programa de Pós-Graduação em Comunicação da Universidade de Brasília (UnB).

[2] Doutor em Sociologia. Professor do Curso de Comunicação Social do Centro Universitário de Brasília (UniCEUB).

[3] Licenciado em Jornalismo e mestrando em Letras Hispânicas pela UNAM (Universidade Nacional do México).